Per molti rispondere alla domanda se si preferiscono le serie tv o i film è impossibile e anche un po’ ingiusto, come se si potesse scegliere fra mamma e papà. Il fatto è che se una volta il cinema, considerato la settima arte, veniva visto come qualcosa di un po’ più nobile rispetto alla proposta televisiva, negli ultimi anni la qualità dei prodotti proposti dalle serie tv ha decisamente ribaltato la faccenda, facendo si che grandi artisti come Woody Allen o Spike Lee si avvicinassero a questo linguaggio. Anche se a ben vedere il processo non è poi così recente, I Segreti di Twin Peaks di David Lynch risale agli anni ’90 e costituisce un vero caposaldo nel mondo della serialità, ma prima di lui, Hitchcock aveva già capito il potenziale delle serie tv con la sua Alfred Hitchcock presenta nel lontano 1955.
Le serie tv si sviluppano in un arco temporale più lungo rispetto al film e ciò implica storie più articolate, personaggi più strutturati e una certa evoluzione e crescita di entrambi. Difficile non vederci un’opportunità per un grande regista, alla luce soprattutto degli ingenti investimenti, che sono possibili grazie al crescente interesse del pubblico verso il mondo seriale. Il problema però è che quest’opportunità va saputa cogliere e non è così scontato che un grosso nome sia sufficiente per far emergere e galleggiare una serie tv nel mare di offerta che abbiamo oggi, ma d’altra parte tanto più sarà altisonante il nome abbinato alla serie, tanto più grandi saranno le aspettative del pubblico. Un po’ un’arma a doppio taglio insomma.
Per un David Lynch osannato dalla critica abbiamo anche un Woody Allen che ne esce un po’ ammaccato e un regista capace di portarsi a casa l’ambita statuetta degli Academy, potrebbe essere lo stesso che rischia di vedere cancellati mesi di lavoro per ascolti insoddisfacenti.
Ecco 5 casi clamorosi che lo dimostrano.
1 Woody Allen: Crisis in 6 Scenes
Ideata, scritta, girata e interpretata dal grande regista Woody Allen. Crisis in Six Scenes potrebbe tranquillamente chiamarsi crisi già dalla prima scena. E diciamolo è una di quelle crisi da cui è davvero difficile riprendersi, anzi considerando che dopo questo tentativo il regista non si è più cimentato in serie tv, forse non si riprenderà mai. La serie ci riporta negli anni ’60 a New York, città sempre amata da Allen, e fa un interessante parallelismo fra gli sconvolgimenti che la guerra in Vietnam ha portato negli Stati Uniti e quelli di una piccola famiglia medio borghese dopo l’arrivo di un ospite inaspettato. Tutto molto interessante sulla carta, tutto molto da Woody Allen sempre sulla carta, ma sul piccolo schermo tutt’altro. Alcuni critici l’hanno giudicata inguardabile, il pubblico non l’ha premiata e Allen per primo ha liquidato il suo lavoro come un esperimento per il quale a un certo punto aveva finito le idee. Il linguaggio cinematografico del regista non regge lungo le sei brevi puntate della serie, rendendola noiosa e con troppi pochi spunti per tenere lo spettatore agganciato alla storia. Il nome aveva creato grandissime aspettative e si sa, più alto è il piedistallo più forte è il botto quando si cade.
2 Spike Lee: She’s Gotta Have It
Restiamo a New York per fare la conoscenza di Nola, artista di talento che rifiuta qualsiasi tipo di etichetta e costrizione, e dei suoi tre amanti, che al contrario, sono un cumulo di cliché e stereotipi. Spike Lee racconta per due stagioni l’emancipazione femminile e denuncia le disparità sociali e culturali fra i due sessi, riprendendo storia e personaggi del suo primo grande successo cinematografico Lola Darling. Il film a metà degli anni ’80 ebbe sulla cultura dell’epoca l’effetto di una deflagrazione: mai prima si era vista una protagonista di colore, per di più donna, vivere come le pare in un mondo comandato da uomini bianchi. La declinazione anni 2000 ha funzionato abbastanza bene nella prima stagione, più per la critica che per il pubblico, ma purtroppo la parabola discendente per questa serie era iniziata e, a soli due mesi dalla messa in onda della seconda stagione, Netflix decise di eliminare definitivamente il progetto per il numero di spettatori non soddisfacente rispetto all’investimento che era stato necessario. Come Allen anche Spike Lee è un grande regista con una cifra stilistica personalissima e ben riconoscibile ed è stato in un certo modo coraggioso nel voler coniugare il suo messaggio nel linguaggio delle serie tv. Forse non è avvenuto nella maniera più efficace possibile, ma a ogni modo She’s gotta have it rimane una serie tv fuori dagli schemi e davvero molto originale.
3 Alfonso Cuaròn: Believe
Believe è una serie con un discreto biglietto da visita: prodotta da J.J. Abrams, ideata dal premio Oscar Alfonso Cuaròn, può vantare la presenza nel cast di attori come Kyle MacLachlan. È bastato tutto questo per permetterle di avere successo? Purtroppo no. Al termine dei primi tredici episodi, Believe viene cancellata senza possibilità di appello. I fan ci hanno provato, hanno raccolto firme, promosso petizioni, diffuso hashtag, ma niente ha permesso a questa serie fanta-thriller di sopravvivere. Cuaròn si cimenta anche in questo caso con atmosfere un po’ dark, sfruttando l’innocenza dell’infanzia per far leva sull’emotività dello spettatore, che non potrà non affezionarsi a Bo durante la sua lunga Odissea attraverso gli Stati Uniti. La prima puntata della serie, che vede alla regia Cuaròn stesso, aveva suscitato un grandissimo interesse nel pubblico, che probabilmente attirato dai famosissimi nomi che abbiamo già citato, ha assistito alla puntata d’esordio con un certo interesse, ma non è bastato. Il secondo episodio non si è avvicinato, a livello di pubblico, neanche vagamente ai numeri del precedente e in effetti lo show non si è mai più ripreso, vedendo calare sempre di più l’interesse nei confronti di questa storia. Impossibile nascondersi dal flop e dalla conseguente cancellazione.
4 M. Night Shyamalan: Wayward Pines
Che Shyamalan sia un regista a cui piace passeggiare in luoghi misteriosi e sorprendenti non è una novità. Film come Il Sesto Senso, Signs o The Village sono perfetti esempi di opere non convenzionali, affascinanti, inspiegabili e coinvolgenti che hanno fatto breccia nel cuore di molti cinefili. Sono film dagli aspetti così particolari, ma allo stesso tempo plausibili e così ben costruiti, da proiettare il pubblico in atmosfere cupe e inquietanti impossibili da dimenticare. Insomma sono dei mistery per davvero, non di quelli che arrivati a metà film si è già capito perfettamente dove si vuole andare a parare. Forse sono stati questi i presupposti che hanno reso Wayward Pines quasi una serie evento, con l’ambizioso obiettivo di proporsi come una moderna versione di Twin Peaks. Shyamalan ne è produttore esecutivo e credeva davvero nel progetto, tanto da essere anche il regista del pilot. Ma il suo tocco non è bastato e negli Stati Uniti l’esordio della serie ha raggiunto ascolti davvero mediocri, una cosa come l’1% di share nella fascia di pubblico compresa fra i 18 e i 50 anni. Anche la critica non è del tutto convinta e alterna giudizi entusiasti ad altri tutt’altro che positivi. Gli ascolti però sembrano migliorare con il susseguirsi delle puntate. La Fox se lo fa bastare e decide di riprovarci con una seconda stagione un po’ a sorpresa, considerando che il progetto era stato pensato come una miniserie. In effetti il rinnovo si è ben presto rivelato una pessima idea: la seconda stagione ottiene degli ascolti decisamente deludenti oltre a critiche altrettanto dure e sebbene finisca con un cliffhanger notevole, resterà per sempre un’opera incompiuta.
5 Gus Van Sant: Boss
Gus Van Sant e le sue due nomination agli Oscar dovrebbero essere un presupposto talmente buono da sancire un trionfo senza se e senza ma. Nella serie tv Boss invece il ma c’è ed è talmente pesante che nel giro di due sole stagioni ha spinto la serie verso una cancellazione certa e definitiva. Boss racconta la storia del sindaco di Chicago (che vede l’attesissimo ritorno in tv di Kelsey Grammer, quello di Frasier non uno qualsiasi), un uomo al centro di una notevole rete di potere e intrighi, a cui è stata diagnosticata una malattia degenerativa del sistema nervoso, malattia della quale è ben deciso a non far parola con nessuno, nemmeno con gli affetti più cari. Gus Van Sant ci credeva, oltre a dirigerne il pilot, ne è stato anche produttore esecutivo: ha controllato la sceneggiatura, supervisionato le riprese, monitorato ogni aspetto della realizzazione della serie, inclusa la promozione. Boss è buona, in teoria anche molto buona. Viene riconfermata per una seconda stagione, riceve qualche nominations agli Emmy e incassa critiche positive dagli esperti del settore, ma tutto questo, a sorpresa, non basta. Il pubblico non la premia, gli ascolti sono insoddisfacenti, in pochi ne parlano, in pochissimi se ne appassionano e la serie viene clamorosamente cancellata, annegando fra l’altro, in un mare di polemiche a sfondo politico. Forse non lo meritava.