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Il simbolismo di Daredevil (spiegato attraverso i suoi piani sequenza)

Il boom delle serie Tv non è una moda. Non lo è mai stato. È frutto dei tempi che cambiano, della predisposizione del piccolo schermo a evolversi e a camminare sulle spalle dei giganti. Tipo il Cinema. E questo ha comportato, nelle serie Tv odierne, non soltanto una struttura più solida dal punto di vista narrativo e recitativo, ma anche una impostazione stilistica molto più ricercata. La fotografia, il montaggio non sono più standard, le inquadrature non sono più strette, a offrire allo spettatore una sola prospettiva, ma sono appunto più cinematografiche. Dai tempi di Twin Peaks, passando per Breaking Bad, Battlestar Galactica, fino ad arrivare a True Detective e a Daredevil i risultati sono esaltanti. L’esperienza è esaltante. E se ne sono accorti anche i vari Scorsese, Fukunaga, Allen, Johnson, veri e propri geni i quali, negli anni, si sono dilettati dietro la macchina da presa anche sul piccolo schermo.

Tra i tanti virtuosismi registici uno dei più complessi e affascinanti è senza dubbio la tecnica del piano sequenza (in inglese long take). Per chi non sapesse ancora di cosa si tratti, il piano sequenza consiste nella ripresa di una sequenza, generalmente lunga, tramite una sola inquadratura. Come spiega Alessandro Fazio nel suo paragone tra il piano sequenza della prima stagione di Daredevil e quello di True Detective si tratta molto banalmente «di scene che non subiscono il montaggio e quindi non sono tagliate». È evidente che la difficoltà di mettere in pratica una cosa del genere sia stratosferica. Ogni dettaglio nella ripresa, deve scorrere alla perfezione, altrimenti bisogna ricominciare da capo. Figurarsi quando il soggetto della sequenza è rappresentato da scene di combattimento, piene di comparse, come quelle che andremo ad analizzare di seguito, relativamente a Daredevil. Perchè se c’è una serie Tv che ha fatto del piano sequenza il proprio marchio di fabbrica, è proprio quella del Diavolo di Hell’s Kitchen.

Anche se, va specificato, non si tratta nella maggior parte dei casi di piani sequenza unici

La costante ricerca di perfezione nel linguaggio audiovisivo della Marvel, che si è tradotta al Cinema con il MCU e che ha raggiunto la sua summa in Avengers: Infinity War, anche sul piccolo schermo ha mostrato cose egregie (e altre cose molto meno, ma non è questo il caso di parlarne). E il top è stato raggiunto proprio con il diavolo mascherato. Ogni stagione ha un long take, ognuno col proprio stile e capace di sintetizzare le emozioni di Matt Murdock/Daredevil. Niente riesce ad essere adrenalinico, esaltando le caratteristiche del long shot, come le scene d’azione di questa serie.

Come accennato poc’anzi, tuttavia, è bene sottolineare che soprattutto i primi due piani sequenza (vale a dire quello della prima e della seconda stagione) non rappresentano effettivamente un unico piano, poichè la sequenza è fatta di piccoli tagli e un sapiente gioco di montaggio. Ciò non toglie una virgola alla bravura degli autori di questi virtuosismi registici, straordinari a sfruttare i giochi di luce nei quali interrompere la ripresa senza effettivamente darne percezione allo spettatore.

Il piano sequenza della prima stagione è la genesi del giustiziere

daredevil prima stagione piano sequenza

La prima stagione di Daredevil ci mostra tutta l’esuberanza di Matt Murdock, alla scoperta della sua nuova identità. Ciò traspare fin dai primi episodi, pertanto il piano sequenza del secondo episodio ha la funzione di risaltare proprio l’esplosione del Murdock giustiziere. E ci riesce alla grandissima. Il concetto di genesi viene espresso mediante due elementi, uno narrativo e uno stilistico.

Dapprima quello narrativo, consistente nel dover recuperare un bambino dal covo dei russi, intenzionati a venderlo sul mercato nero. Matt Murdock, rimasto orfano e cieco in tenera età e che sempre giovanissimo ha scoperto come sfruttare gli altri sensi, è particolarmente sensibile alla questione. Inoltre questo fascio di luce giallo, quasi “smarmellata” direbbero in Boris, esprime perfettamente il concetto di nascita, di ascesa.

Tutto questo confluisce poi nel piano sequenza effettivo, completamente girato in spazi angusti, un corridoio e alcune stanze. La telecamera sembra seguire Matt da lontano per poi avvicinarsi pian piano, raggiungendo il suo apice nel momento in cui il Diavolo entra in una stanza e la porta si chiude alle sue spalle, lasciando fuori la telecamera e, di conseguenza, noi stessi. Ma la bellezza della scena è possibile solamente se tutti gli interpreti chiamati in causa riescono a far risultare credibili le scene di lotta. Cosa che avviene, per ben 5 minuti, con una facilità quasi imbarazzante (si veda nella gif in alto con quale tempismo l’oggetto contundente colpisca il russo accorrente).

Il piano sequenza della seconda stagione è la piena affermazione del Diavolo di Hell’s Kitchen

daredevil

Il piano sequenza della prima stagione condivide con quello della seconda la sfera di emozioni che vengono comunicate allo spettatore. Ansia, claustrofobia, iperventilazione e una sola domanda: il giustiziere mascherato riuscirà a farcela? Dal punto di vista scenico, invece, al netto delle similitudini, ci sono alcune differenze significative. Balza subito all’occhio come vi siano meno soggetti in scena ma molto più scontro fisico. Effettivamente il long take n.2 colpisce per la capacità di coniugare tutte la parti in causa.

Questa volta Daredevil deve affrontare un’intera banda di biker, all’interno di un casolare. I corridoi ristretti sono, parzialmente, rimpiazzati da un ulteriore gioco di prestigio: le scale. L’impostazione diventa, così, alla stregua di quella di un videogioco. Vari piani dell’edificio, vari livelli di difficoltà accompagnati da avversari sempre più forti. La telecamera riesce a seguire le peripezie del Diavolo lungo le scale fino al raggiungimento dell’ultimo nemico, quello che possiamo definire, in termini videoludici, “il boss”.

Qui entra in gioco una nuova differenza rispetto al long take n.1. Quella del climax. Nella prima stagione Matt ha una pausa iniziale, nel momento in cui si rende conto di dover affrontare una mole indefinita di nemici. È una sorta di quiete prima della tempesta. Qui il climax coincide con la pausa prima del “boss” (come sottolineato anche dall’assenza di sonoro). In questo caso, inoltre, il colore predominante è il rosso, il colore del Diavolo, all’apice della sua potenza.

Il piano sequenza della terza stagione si può riassumere in una sola parola: conflitto

daredevil terza stagione

E arriviamo all’ultimo dei tre piani sequenza. Qui il comparto tecnico è riuscito a fare qualcosa che sembra quasi riduttivo definire “capolavoro”. Ma per comprenderlo appieno dobbiamo prima di tutto contestualizzare lo stato d’animo di Daredevil. Un Daredevil che, dopo i fatti narrati ne I Defenders, ha un rapporto estremamente conflittuale con la sua duplice identità. Matt Murdock ripudia se stesso, preferendo essere esclusivamente il giustiziere. Ma a sottolineare come egli sia condannato a vivere questa contraddizione interiore, il protagonista della scena d’azione non è il vigilante mascherato ma proprio Matt Murdock, in borghese. Val la pena sottolineare il lavoro immane compiuto da Charlie Cox, qui per forza agente in prima persona, senza possibilità di trincerarsi dietro alla controfigura. E infatti le sue scene d’azione sono contrassegnate da un maggior materialismo nei colpi e un minor utilizzo delle piroette. Il che ci sta super bene data la condizione del personaggio in quel preciso frangente della storia.

Bellissimo come ogni piano sequenza declini il concetto di rabbia in maniera differente. Nella prima ha un’origine legata a un intento salvifico, mentre nella seconda è quasi una prova di forza. Qui Matt/Devil è incazzato, incazzato fino all’autolesionismo per ragioni personali. Ha perso tutto e ha bisogno di trovare uno scopo. Dà tante botte quante ne riceve, perchè non c’è tecnica o lucidità a guidarlo: solo rabbia. I momenti di pausa sono due: dopo aver affrontato i primi nemici, quando realizza quanti detenuti abbia assoldato Fisk per eliminarlo, e quando si accorda con il capo degli albanesi per imbastire la sua vendetta, sempre contro Kingpin. Eppure non c’è un reale climax se non al termine di quei quasi 5 minuti di violenza brutale e primitiva.

Ma ancora una volta il divino (qui inteso con quell’elemento privo di ogni logica per quanto di difficile attuazione) è riscontrabile nei dettagli: Matt che termina dietro la brandina in infermeria e scompare strategicamente dall’inquadratura. Giusto il tempo di insanguinarsi la faccia con del sangue finto, in vista dei colpi sul viso che prenderà da lì a qualche secondo. Poesia.

E qualcuno le chiama “solo serie Tv sui supereroi”?

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