Il tempo è la chiave di tutto. C’è un tempo per seminare e un tempo per raccogliere, c’è un tempo per riflettere e uno per agire, e nelle Serie Tv il tempo è un’entità sovrana, che domina sulla trama, sui personaggi o, nel caso di Dark, domina e basta. Grazie a Dark ci siamo infilati nelle pieghe del tempo, abbiamo seguito i personaggi nelle loro (dis)avventure, abbiamo scoperto che lo scorrere del tempo non è una linea retta, ma un cerchio infinito, un serpente che si morde la coda, e che il futuro può influenzare il passato tanto quanto il futuro è una diretta derivazione del passato. Alla nostra mente è richiesto uno sforzo incommensurabile, gigantesco, per comprendere la vastità delle possibilità offerte dall’universo, e orientarsi tra i mille pericoli della curiosità umana è un’abilità che pochi possiedono.
Il finale di Dark ha la capacità di riunire i pezzi del puzzle che mancavano, lasciando comunque in sospeso alcune questioni, creando un quadro a metà dal quale si intravede la formazione di una grande storia. Tante domande si agitano nella nostra testa, mentre cerchiamo di venire a capo del groviglio che si è rivelata questa prima stagione.
Ulrich tornerà mai indietro dal 1953 in cui è tenuto in ostaggio dal suo antico (o nuovo) persecutore, il poliziotto che sembra aver fatto della sua distruzione una ragione di vita? Quali sono le vere motivazioni che spingono Noah a sperimentare la sua macchina del tempo su dei bambini? C’è forse una vera e propria organizzazione religiosa dietro di lui, e dietro quelle misteriose porte interdimensionali? Klaudia da che “parte” sta veramente? Che ruolo ha Bartosz all’interno del piano di Noah? Potrebbe essere, come nel caso di Jonas, che Noah sia effettivamente Bartosz proiettato avanti (o indietro) nel tempo? E ora che Jonas è nel futuro, resterà lì per diventare lo sconosciuto che abbiamo scoperto poi essere la sua versione adulta?
Ma passiamo al bilancio di questa prima stagione di Dark. Presentata ingiustamente come la copia di altre Serie Tv, Dark ha saputo affermarsi facendo leva sulle sue sole forze, allestendo una storia superbamente raccontata e costellata di dettagli e di intricati incroci di trama che si snodano nel tempo, nello spazio e nei legami tra i personaggi.
Facendo un uso impeccabile di luci, scenografie, fotografia, colonna sonora (una delle più particolari mai sentite), ha saputo immergerci totalmente nella storia e nell’atmosfera della Serie, che fa assolutamente fede al titolo: un’atmosfera grigia, malinconica, spaventosa a tratti, piena di misteri che si rincorrono di casa in casa, di famiglia in famiglia, sempre sotto una pioggia incessante nella quale i protagonisti ci appaiono piccoli, spaventati, insignificanti di fronte ai disegni di forze superiori e del destino. I rapporti tra i personaggi, mostrati nella loro veste più cruda, senza fronzoli, sono all’insegna dell’ipocrisia, del raggiro, dell’interesse: è proprio vero, “siamo una famiglia ma non sappiamo nulla di loro”, come dice Martha al fratello riferendosi ai loro genitori, che realizza essere estranei inquietanti ai loro occhi.
Dark, oltre a essere una grande prova di rigore nella scrittura e nella realizzazione di una Serie Tv, è una grande saga familiare ed emozionale che abbraccia i decenni, nella quale l’eco delle azioni dei personaggi non si spegne mai, ma riecheggia nelle varie epoche. Durante la magnifica scena finale, mentre da dentro le caverne Jonas con la sua macchina dà inconsapevolmente inizio a tutto, noi abbiamo davvero la sensazione che passato, presente e futuro siano l’uno a poca distanza dall’altro, e si ascoltino a vicenda.
Come un moderno Teseo, Jonas si cala nel tetro labirinto del tempo con la speranza di portare un po’ di pace nell’ordine delle cose e nella sua vita. Sappiamo che il suo tentativo di cancellare il wormhole formatosi nei cunicoli darà invece proprio origine a quest’ultimo, in una scena di sapore decisamente lynchiano. L’ennesimo paradosso di questa storia: il passato, per quanto si tenti di cambiarlo, si ripresenta sempre uguale, condannandoci a ripetere i nostri errori in un loop infinito. Quando riemergiamo insieme a Jonas dalle caverne, abbiamo la sensazione che qualcosa sia stato irrimediabilmente spezzato, e che i frammenti di tutto un intero universo fluttuino nell’aria malata e post apocalittica proprio come vediamo fluttuare la cenere attorno a lui.
Jonas è allo stesso tempo vittima e causa del mondo spento, malato che intravediamo nel finale di stagione di Dark, ma anche dei mondi del 1953, del 1986 e del 2019: lui, come tutti gli altri, è solo una pedina nei disegni imperscrutabili del destino, di cui Noah, Klaudia, e Jonas stesso da adulto, si faranno interpreti ed esecutori. Il tema dell’uomo solo contro la natura, caro al romanticismo, viene qui declinato in chiave fantascientifica, filosofica e psicologica quasi, con la ricerca della verità che diventa un viaggio alla scoperta di se stessi, e che ti fa scoprire che non si può mai davvero cambiare niente, per quanto ci si sforzi.
Questa vena tragica, che sposa l’apocalisse con l’intimità degli affetti e i misteri dell’universo, è quello che distingue Dark da tutte le altre Serie Tv a cui è stata (più o meno giustamente) accostata, ed è ciò che ci attira a lei e ci fa gridare al miracolo in un panorama televisivo in cui sembrava fosse stato detto più o meno tutto.
Dark è alla fine di questo viaggio, pur essendo in realtà soltanto all’inizio, e ci ha regalato un’opera sontuosa, capace di commuovere, di spaventare, di far pensare e di coinvolgerci su diversi livelli: l’aspetto fantascientifico, quello narrativo e, non da ultimo, l’aspetto emotivo. L’equilibrio tra detto e non detto del finale riesce a farlo funzionare anche come conclusione della Serie, che ci auguriamo comunque venga rinnovata.
Troppe sono le domande, le questioni irrisolte, troppa è la voglia di perderci di nuovo tra i fili ingarbugliati del tempo, di allungare la mano al di là del buco nero che si apre davanti ai nostri occhi come una ferita nera, infetta, come una strada senza uscita o una foresta misteriosa in cui ci avventuriamo per ritrovare noi stessi, ma dalla quale sappiamo anche che non usciremo mai più uguali a prima.