“Ben oltre le idee di giusto e di sbagliato c’è un campo. Ti aspetterò laggiù.”
Gialal al-Din Rumi
Probabilmente è Gialal al-Din Rumi – uno dei massimi autori della letteratura mistica persiana – a raccontare con questo verso una delle storie che più è riuscita a imporsi sullo schermo negli ultimi anni, una di quelle storie per cui non esiste un finale e – tacitamente – semplicemente ci si aspetta. Martha e Jonas sono i polmoni di Dark: indispensabili, infattibili, impossibili da separare ma costantemente divisi. Non esiste un tempo in cui possono convivere con il peso dell’altro sulla spalla ma esiste sempre il modo di respirare grazie a quel sentimento che, anche se distrugge, li rianima sempre dandogli una speranza, la possibilità di pensare che alla fine si troverà un modo.
I rapporti umani sono una montagna russa continua che ci costringe a salire e a scendere senza mai aver la possibilità di decidere quando andare su, o quando andare giù. A volte le cose non sono semplici, e non fanno altro che dolore. Eppure, da questa sofferenza, alla fine ne esce sempre qualcosa ed è questo il vero obiettivo di Dark. Non sempre ciò che viene fuori dalla sofferenza deve trovare un senso o deve essere qualcosa che ci renderà felici: nel finale tutto si distrugge cessando di esistere. Quello è il tipico momento in cui pensi “Tutto questo casino per distruggere?” e speri che arrivi un finale alternativo che possa regalarti l’epilogo che volevi, quello più felice, quello che ti conferma che hai fatto bene a scegliere questa serie. Eppure, se ti fermi un attimo e ci pensi, capisci che quella distruzione era necessaria, che distruggere è un processo creativo e implica anche aver costruito, e a volte basta questo. Martha e Jonas hanno abbandonato il campo distruggendosi, annullandosi, rivelando che sapersi lasciare andare – a volte – è un’opzione troppo sottovalutata.
Davvero pensate che basti interrompere un’interazione per mettere fine a un legame? Non è così semplice. A volte, una cosa così, può essere simile a una sanguisuga che ti si attacca addosso senza intenzione di staccarsi e, per quanto ti faccia male, una parte di te sarà sempre contenta di non potersene liberare perché rappresenta un’ancora, qualcosa a cui aggrapparsi per continuare a sperare, anche se sai che nulla diventerà reale. Jonas ha costruito forsennatamente tutte le sue illusioni durante i suoi viaggi temporali cercando di trovare sempre la chiave per fare meglio, per fare di più, per dedicarsi al ritorno nella realtà anche se una parte di lui ha sempre saputo che non sarebbe successo.
Era Martha: era lei a dargli sempre uno spunto, un motivo, una ragione per cui rischiare tutto. Non c’era mai, ma era come se ci fosse ed è qui che Dark ci dà una lezione che per lo più cerchiamo sempre di ignorare.
Siamo dei dislessici sentimentali il più delle volte. Non sappiamo parlare e cerchiamo di fare del nostro meglio con la sola arma della presenza, ma Dark tutto questo lo toglie dimostrandoci che non esiste nulla di più forte delle cose che si provano realmente. Essere tangibili, concreti, non implica sempre tutto: a volte un sentimento, anche se taciuto o lontano basta per mantenere vivo un legame, anche se destinato alla distruzione, anche se già distrutto.
Jonas e Martha distruggono, si annientano e con loro lo fanno tutte quelle speranze miste a consapevolezze che durante il loro viaggio li hanno rianimati, uccisi, poi fatti unire e svanire. Amare e lasciarsi fa paura il più delle volte, ma in Dark questa conseguenza dell’amore sembra quasi naturale, sembra doverosa. Ha l’aria di una storia moderna che decide di reinventare il proprio concetto di lieto fine con l’obiettivo di far comprendere che in realtà un addio non determinerà mai la fine di un legame. Jonas e Martha si sono amati in silenzio in due epoche diverse, in due posti che non possono convivere, in un caos che cercava di andare contro la natura del mondo e che gli imponeva l’assenza dell’altro, eppure – guardandoli – non hanno mai smesso di esistere.
Jonas e Martha, Martha e Jonas: un amore finito e destinato alla fine già da un tempo immemore, la consapevolezza di doversi lasciare andare ma anche la sicurezza che tutto questo non non annullerà nulla perché c’è un campo oltre le idee di giusto e sbagliato, e loro – in qualche modo – si ritroveranno lì, anche se si sono lasciati andare.