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Dear White People 4 – la Recensione dell’ultima brillante stagione

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Disponibile su Netflix dal 22 settembre, Dear White People arriva al suo epilogo trasformandosi in serie musicale, rinnovandosi senza snaturarsi.

Il quarto volume della fortunata serie diretta da Justin Simien ci catapulta immediatamente in un futuro (non troppo) distopico, in cui ritroviamo (tra nuovi virus e mascherine futuristiche) i protagonisti Sam (Logan Laurice Browning) e Lionel (DeRon Horton) ormai adulti. Lionel è diventato uno scrittore di successo a seguito della pubblicazione del suo libro in tre volumi “Dear White People” a cui però manca il quarto, quello che dovrebbe raccontare dell’ultimo anno, il Senior Year, alla Winchester. Per farlo, Sam propone di creare, fianco a fianco, libro e serie tv musicale, come “Arthur Clarke e Stanley Kubrick per Odissea nello spazio“, iniziando così a ripercorrere attraverso flashback il loro ultimo anno.

Il quarto volume diventa così una metanarrazione di Sam, e la serie che vediamo è quella ideata dalla sua stessa protagonista, che la trasforma in serie musicale poiché il loro senior year è stato caratterizzato dalla preparazione dello show di fine anno, il Varsity Show, un controverso musical la cui realizzazione viene affidata, per la prima volta, alla minoranza afroamericana del College. Sorgono a questo punto le prime divergenze all’interno dello stesso gruppo etnico, tra chi vede un’opportunità nella realizzazione dello show e chi l’ennesima mossa razzista. Viene dunque a galla uno dei temi centrali dell’intera stagione, quello dell’eterna lotta tra integrità e compromesso. I vari protagonisti infatti, attraverso i 10 episodi monografici che compongono la serie, dimostrano come siano tutti, in qualche modo, scesi a patti con i loro principi, perché per combattere il sistema devi prima farne parte. A sottolineare quest’aspetto in particolare ci pensa il nuovo personaggio di Iesha Vital (Joi Liaye), matricola attratta alla Winchester proprio dal lavoro di attivismo perpetuato da Sam fino a quel momento, ma dalla quale rimane delusa nel momento in cui risulta così tanto integrata a quella società che condannava. Questo spinge Sam a porsi nuovi interrogativi e attuare importanti scelte, anche sul piano sentimentale.

Dear White People

Parallelamente alla vita al Campus, vediamo anche un improbabile (ma super attrattivo) reality show chiamato Big House, a cui partecipa Coco (Antoinette Robertson) in rappresentanza della Winchester. Questo espediente narrativo viene utilizzato dalla serie sia per mettere in luce le reali dinamiche razziali che esistono negli show televisivi, sia come metafora estremizzata della vita al college, in cui talvolta l’apparenza nasconde ben altro, come dimostra Joelle (Ashley Blaine Featherson) nella sua fittizia perfezione. Joelle si ritrova divisa tra medicina e chiesa, tra fede e credenze, arrivando a mettere in dubbio ogni cosa, persino il suo rapporto con Reggie (Marque Richardson), impegnato nella realizzazione di un’app, la New Green Book, per la sicurezza degli afroamericani. Ma il punto focale del film di Sam rimane proprio Lionel, a cui, essendo gay afroamericano, non è mai stato dato risalto nella sua totalità, e uno dei due aspetti è sempre stato messo in secondo piano, anche da lui stesso nei suoi libri (vi riproponiamo anche questo articolo che spiega perché Dear White People è una lezione di attualità a cui tutti dovremmo partecipare)

Altro elemento innovativo introdotto dall’ultima stagione è l’inserimento di alcune scene post credit, che mostrano in modo via via più chiaro la presenza di oscuro personaggio che si aggira fuori al Campus, regalando alla serie un incredibile colpo di scena sul finale e l’ennesima importante lezione su tematiche estremamente attuali quali la sicurezze nelle scuole/università, il possesso di armi, l’antitesi tra eroe-vittima che talvolta è estremamente labile, e dimostrando come spesso tutti gli occhi siano puntati dal lato sbagliato (Big House).

Dear White People 4 è riuscita nella titanica impresa di trattare ancor più tematiche delle stagioni passate, senza rinunciare neppure per un momento alla sua ironia, focalizzandosi anche sugli aspetti contraddittori che esistono tra le minoranze stesse e tra gli stessi attivisti (“se avessimo una dipendenza dalla lotta?”). Ma l’aspetto che più colpisce è sicuramente quello tecnico, che si esprime in tutto il suo potenziale proprio nelle parti musicali. Seppur non vista di buon occhio dai puristi della serie, la scelta del regista di rendere il finale di stagione una serie musicale va intesa come provocatoria poiché, in qualsiasi show, gli afroamericani “hanno sempre dovuto esprimere i propri sentimenti attraverso un ballo o una canzone”. Con questa scelta, Simien da al pubblico di Carissimi bianchi esattamente ciò che questo si aspetta dalla comunità afroamericana, dimostrandosi assolutamente coerente con quanto è stato fatto per l’intera serie e per tutte le stagioni. Coerenza che viene mantenuta anche nella costruzione della “metaserie”, sviluppata da Sam attraverso personaggi brechtiani (così presentati da Lionel) intendendo per brechtiano il momento in cui l’attore guarda fisso in camera (elemento caratterizzante l’intera serie in tutte le stagioni). Il principio fondante di Brecht però è quello che viene definito “straniamento”, ossia un distacco da parte dell’attore dal suo personaggio, ottenuto proprio grazie all’elemento musicale, in modo che la recitazione risulti artificiosa e lo spettatore non riesca a immedesimarsi totalmente in quel personaggio; in questo modo ne deriva una critica oggettiva ed è dato massimo risalto alla questione sociale che intende presentare la serie.

La coerente e perfetta chiusura del cerchio, inoltre, è data proprio dall’evoluzione che hanno tutti i personaggi che, nonostante i numerosi dubbi sul futuro al momento della laurea, riescono a trovare la propria dimensione nel futuro, non necessariamente attraverso un successo professionale ma grazie all’avvenuta consapevolezza personale. Nella scena finale, in cui sono tutti in piedi di fronte alla camera e guardano dritta in essa, sono loro a guardare noi, come a rimarcare che il ruolo fondamentale nella serie l’ha sempre avuto lo spettatore: il potere di cambiare il mondo è nostro.

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