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Desperate Housewives è una delle serie più sorprendentemente intelligenti che si siano mai viste

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A distanza di quasi dieci anni dalla sua epica conclusione, andata in onda il 13 maggio 2012 su ABC, Desperate Housewives sembra essere quasi scomparsa da ogni discussione riguardante le serie tv che hanno fatto la storia della televisione. La più longeva tra le produzioni che vedono un cast di protagoniste tutto al femminile è apparsa sul piccolo schermo nel 2004 e insieme a “Grey’s Anatomy” e “Lost”, anch’esse andate in onda per la prima volta su ABC in quella stagione televisiva, ha rappresentato una vera rivoluzione della serialità di massa, poiché finalmente uno dei tre grandi network televisivi statunitensi mandava in onda ben tre serie che sia la critica che il pubblico avevano subito riconosciuto come di qualità altissima, ma che per la prima volta erano anche facilmente accessibili per coloro che non avevano accesso ai costosi canali della pay tv americana, tra cui spiccava HBO, responsabile con I Soprano e The Wire della più importante rivoluzione nel mondo della serialità fino all’arrivo delle piattaforme streaming.

A distanza di 17 anni dal 2004, Grey’s Anatomy va ancora in onda tra plot twist degni delle peggiori telenovelas sudamericane e polemiche quasi quotidiane sulla presunta tossicità del set (l’ultimo scandalo, di cui vi abbiamo parlato qui, riguarderebbe proprio la protagonista Ellen Pompeo), mentre Lost si è concluso nel 2010 e ha da allora mantenuto solido il suo status di cult geniale e divisivo, tanto che ancora oggi non sembra essersi ancora spento il fuoco che alimenta le discussioni attorno al suo finale. Sommersa di premi e amatissima durante la sua messa in onda, “Desperate Housewives” sembra essere delle tre serie ABC quella andata in contro al più triste dei destini, quello dell’oblio. Un destino che il capolavoro di Marc Cherry non è riuscito a evitare nonostante la sua presenza prima su Netflix, quindi su Amazon Prime Video e Disney+, ma che da spettatori e amanti della serialità non possiamo accettare.

Perché Desperate Housewives è una serie che ancora oggi non ha eguali, la cui intelligenza sta nel coraggio di mostrarsi esattamente per quello che è: sopra le righe, satirica, contradditoria e tremendamente umana.

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Desperate Housewives è geniale fin dal titolo, che sembra quasi quello di un reality o di una soap opera, eppure racchiude perfettamente l’essenza della serie. Certo, è vero che nel corso delle otto stagioni della serie Bree, Lynette, Susan e Gabrielle spesso non sono nemmeno casalinghe e che la disperazione è solo una delle tante sfaccettature dell’inaspettatamente pirotecnica vita delle quattro, ma almeno all’inizio della serie quella della casalinga dalla vita apparentemente perfetta eppure perennemente insoddisfatta è la maschera che a modo loro indossano tutte le protagoniste e che inizia a crollare solo quando l’amica della porta accanto Mary Alice Young si suicida all’improvviso, lasciandosi dietro una scia di segreti destinati a rivelare al piccolissimo microcosmo di Wisteria Lane fino a che punto si può arrivare a fingere di vivere una vita diversa dalla propria, fino a che punto si arriva a mentire a se stessi prima ancora che agli altri pur di non turbare un’apparenza di perfezione destinata irrimediabilmente a sgretolarsi.

Le casalinghe disperate ci vengono presentate ingannevolmente come stereotipi, ognuna corrispondente a un archetipo di donna che siamo stati abituati a vedere rappresentato in televisione fin dai suoi inizi. Gabrielle Solis è introdotta come una femme fatale che dispone del suo fascino per ottenere tutto ciò che desidera, Bree Van de Kamp è la perfetta donna di casa, l’angelo del focolare a cui fa da contraltare Lynette Scavo, che per la maternità ha rinunciato a una carriera che non fa che rimpiangere, mentre Susan Mayer è la neo-divorziata un po’ goffa che tutti compatiscono. Lentamente Desperate Housewives ci porta a ribaltare completamente la nostra opinione su tutto quanto crediamo di sapere sulle protagoniste, rivelando l’uso costante e cosciente che le quattro fanno delle maschere che faticosamente indossano ogni giorno pur di non rivelare le crepe che si nascondono nelle loro vite borghesi, dietro i muri delle villette monofamiliari che abitano, dietro le bugie che si raccontano per andare avanti ogni giorno.

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La commistione di generi che caratterizza Desperate Housewives concorre a creare una narrazione capace di dare spazio e intrecciare le diverse esperienze umane delle protagoniste, dando vita a un microcosmo che per certi aspetti è fuori dalla realtà come la conosciamo nella nostra quotidianità, ma che risulta complessivamente come una delle più complete, assurde, profondamente realistiche caratterizzazioni di cosa significa essere donna mai andate in onda. Ci vuole un’intelligenza sottile e una sensibilità rara nella scrittura dei personaggi e delle situazioni per saper creare il perfetto equilibrio di commedia dai toni della satira sociale, dramma che rimanda parodisticamente al mondo delle soap opera e mistero degno dei migliori gialli di Agatha Christie, eppure Desperate Housewives nelle sue otto stagioni è riuscita quasi senza eccezione a dosare perfettamente questi tre elementi, sfruttandoli sì per tenere lo spettatore incollato allo schermo, ma soprattutto per dare maggiore spessore all’esperienza di vita di Bree, Lynette, Gabrielle, Susan e tutte le decine di personaggi che incontrano durante la serie..

Nonostante ogni stagione si sviluppi intorno a un mistero principale e preveda l’introduzione di nuovi personaggi e quindi nuovi segreti, nuove maschere e nuove dinamiche, gli otto lunghissimi capitoli di Desperate Housewives sono studiati brillantemente non solo per fare in modo che lo spettatore non percepisca mai una ripetitività di fondo della serie, ma soprattutto intessendo la trama complessiva della serie facendo sì che nessuna storyline venga mai lasciata con un finale in sospeso. Tutti i segreti delle protagoniste e dei personaggi che orbitano loro in torno vengono allo scoperto, ma lo fanno nei momenti più inaspettati, anche a distanza di centinaia di episodi, quando ormai sia noi che i nostri beniamini seriali pensavamo che si fosse tutto risolto. Se è vero che il tempismo dello svelamento delle verità nascoste dalle casalinghe disperate è legato anche all’esigenza di lasciare gli spettatori a bocca aperta, una visione più attenta della serie dimostra come l’intreccio sia stato costruito in modo da non permettere l’esistenza di buchi di trama, dimostrando ancora una volta l’immensa qualità di una serie solo all’apparenza frivola.

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Capace di essere delicata e spietata allo stesso tempo, come lo sono spesso i personaggi che ne popolano l’universo, “Desperate Housewives” come le sue protagoniste si nasconde fin troppo spesso dietro una maschera. Infatti, pubblicizzata come una serie basata su colpi di scena e torbide storie passionali, l’opera di Cherry è in realtà un ritratto minuzioso e fedele – sebbene con qualche perdonabile licenza poetica per amore dell’intrattenimento – della natura umana e soprattutto della complessità dell’esperienza femminile in un contesto borghese e solo sulla carta idilliaco. Otto stagioni praticamente perfette che hanno portato a un finale soddisfacente, che conclude tutto quanto rimasto in sospeso lasciandoci sbirciare ancora una volta nel futuro di Bree, Gabrielle, Lynette e Susan, ora finalmente libere di vivere una vita che non sia una recita.

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