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Le 10 migliori interpretazioni di Valerio Mastandrea

Valerio Mastandrea
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Attenzione: evita la lettura se non vuoi imbatterti in spoiler di alcuni film interpretati da Valerio Mastandrea.

Classe 1972, quasi 52 anni, sguardo torvo ma dolce, barba spesso incolta, accento romano. Valerio Mastandrea, a Roma e non solo, è un’istituzione, un attore riconoscibile che senti di conoscere da una vita, da sentire vicino come fosse un amico. Non per la sua affabilità, né tantomeno per la sua presenza costante sui media; Valerio Mastandrea non è niente di tutto ciò. Ma è proprio la sua scontrosità benevola e il suo piglio semplice che lo fa amare da tutti. Noto ai più per una lungo elenco di film famosissimi, i più attenti lo ricordano anche per Fai bei sogni o per Tutta la vita davanti: chi invece lo ama alla follia, lo ricorda pure in L’odore della notte, capolavoro di Caligari. Valerio Mastandrea è un attore trasversale che ha sempre saputo coniugare la sua romanità con una universalità convincente. È sempre riuscito a uscire da Roma, pur rimanendo sempre se stesso, pur portandosela sempre dentro. Oggi, all’inizio del 2024, lo conosciamo tutti come Ivano, il marito di Delia di C’è ancora domani , film che ha stravolto tante regole e che ha confermato quello che alcuni ancora non sapevano, della bravura di Valerio Mastandrea.

C’è ancora domani

C'è ancor domani Valerio Mastandrea

È l’ultima fatica cinematografica di Valerio Mastandrea, che prende parte ad un film rivoluzionario che, grazie soprattutto alla sua regista Paola Cortellesi, riscrive le regole del cinema ma anche della nostra cultura. Valerio Mastandrea, in C’è ancora domani, è Ivano, il padre padrone che prima ancora di aprire gli occhi schiaffeggia sua moglie, Delia, donna timorata ma non timorosa. Siamo agli inizi degli anni Quaranta, nello specifico 1942, a Roma, in una Roma testaccina tutta tradizione e malinconia. È il dopoguerra e le risorse sono poche, soprattutto quelle culturali e intellettuali. C’è ancora domani, infatti, racconta una storia purtroppo ancora molto attuale, pur muovendosi in un’epoca non molto lontana. Mastandrea ha il ruolo più complesso, più controverso e più odiato di tutti: è il cattivo, quello vero. È un uomo figlio dei suoi tempi, che si adegua ad una società che violenta le donne, non solo fisicamente. Ivano è un uomo semplice, troppo semplice, conscio del potere che ha e poco cosciente delle sue fragilità. Valerio Mastandrea si assume la responsabilità di portare avanti un tale personaggio, facendone risaltare le sue stesse bruttezze, quasi a renderle la sua unica risorsa. Ci poteva riuscire solo lui, e Paola Cortellesi deve averlo saputo molto bene.

Siccità

Siccità Valerio Mastandrea

È un film del 2022, diretto da Paolo Virzì, con un cast semplice e perfetto. Valerio Mastandrea è Loris, un uomo dilaniato, come tutti gli altri, dalla siccità che affligge Roma e non solo ormai da tempo. Questo evento straordinario gli ha tolto il lavoro ed è estremamente stanco; la sua figura si staglia intorno a questa sola istanza in primis, la stanchezza, fisica e psicologica. Loris sembra vivere in un torpore continuo da cui si risveglia solo quando riesce a comunicare con sua figlia e con la sua ex moglie, di cui è ancora innamorato. Valerio Mastrandrea fa un lavoro dettagliato su Loris che, all’apparenza, può sembrare un uomo semplice e anche discutibile, a tratti, ma che invece si porta dietro un bagaglio di emozioni anche piuttosto intense. Questa volta la romanità non è importante, Loris potrebbe avrebbe potuto essere lo stesso in qualsiasi città, perché la sua figura si delinea attraverso le sue stesse scelte e attraverso le sue esperienze. Loris, senza saperlo, si spinge al limite e Valerio Mastandrea, in questo, è geniale nel farci comprendere come un uomo del genere abbia solo questa di opzione, per cercare di recuperare un minimo di interazione umana.

The Place

The Place

È, forse, il ruolo più strano e complicato che abbiamo mai visto fare a Valerio Mastandrea ed è, però, allo stesso tempo il ruolo che più ci fa capire quanto sia unico come attore. Non ha nome, in The Place, ha solo un volto anche piuttosto enigmatico; è, infatti, l’uomo misterioso che gioca con degli estranei e che funge da perno per l’intera narrazione del film. The Place, film del 2017 di Paolo Genovese, è un film onirico, controverso e molto particolare che manda avanti delle storie con un tipo di narrazione molto diversa da quella che siamo abituati a vedere nei film italiani. Ogni personaggio passa per l’uomo misterioso, Mastandrea, e ognuno di loro chiede un favore a quest’ultimo che lo esaudisce, a patto di una ricompensa indietro. Ma non sono mai ricompense personali, anzi sono brutali e malvagie (almeno all’apparenza), al limite della moralità. E il ruolo dell’uomo misterioso è proprio questo, quello di provare a far riflettere le persone che troppe volte sono talmente egoiste da non rendersi conto della vita stessa. Valerio Mastandrea con The Place fa un lavoro unico nel suo genere e unico anche per lui, che non ha mai avuto ruoli simili ma che è assolutamente perfetto nei panni dell’uomo enigmatico e imperscrutabile.

Fai bei sogni

Fai bei sogni

Tratto dall’omonimo romanzo di Massimo Gramellini, racconta proprio la storia di Massimo, dall’età dell’infanzia fino alla sua carriera da giornalista. Valerio Mastandrea interpreta, quindi, per la prima volta un uomo in vita, un uomo da cui può trarre davvero l’ispirazione e che ha vissuto tutto quello che lui porta in scena. E lo fa magistralmente. Mette da parte la sua vena più ironica e romana, per interpretare un uomo che ha visto con i suoi occhi molte cose davvero brutte, che ha vissuto qualcosa che difficilmente si riuscirebbe a replicare. Eppure, Valerio Mastandrea lo fa con una leggerezza e con una semplicità quasi disarmante, raccontando la storia di Massimo in punta di piedi, con rispetto. Massimo si chiede, fin da bambino, come sia accaduta la morte della madre, deceduta in circostanze a lui misteriose e dolorosissime. Solo quando sarà adulto e avrà modo di fare le sue ricerche capirà davvero cosa sia successo e capirà che, nonostante parte della verità gli è sempre stata negata, quella morte lo ha già segnato in maniera indelebile e profonda. Così come Massimo Gramellini gioca con le parole, Valerio Mastandrea gioca con le sue emozioni, le rende leggibili e universali.

L’odore della notte

L'odore della notte Valerio Mastandrea

È uno dei più bei film della cinematografia italiana, è anche uno dei più complessi, come tutti i lavori di Claudio Caligari. L’odore della notte, 1998, si pone come secondo episodio di una ideale trilogia di Caligari, anticipato da Amore tossico e seguito da Non essere cattivo. Valerio Mastandrea, con L’odore della notte, compirà una scelta professionale ma anche personale, portando poi avanti il lavoro di Caligari, anche dopo la sua morte. Ne L’odore della notte è Remo, il protagonista, un poliziotto che di notte si trasforma in un piccolo criminale e utilizza l’espediente della rapina per cercare di emanciparsi da una società che non lo vuole né benestante (il lavoro di poliziotto non rende come pensava) né proletario (è nato e cresciuto in borgata, ma non sempre il rispetto che vorrebbe). Il film è liberamente ispirato al romanzo Le notti di arancia meccanica, di Dido Sacchettoni e, proverbialmente, Caligari porta avanti proprio una storia di violenza sulla scia di quella di Arancia meccanica. La violenza che si intreccia alla classe sociale, alla cultura del crimine e della rivalsa. Valerio Mastandrea, che sembra interpretare il ruolo definitivo della sua carriera, riporta perfettamente tutte queste sensazioni, in maniera struggente e convincente allo stesso tempo.

Tutti giù per terra

Tutti giù per terra Valerio Mastandrea

È un film generazionale, che ci racconta delle difficoltà che può affrontare, soprattutto a livello etico e psicologico, un ragazzo universitario che non sa bene cosa fare della sua vita. Valerio Mastandrea è Walter, studente di filosofia, disilluso e poco energico che non ama il mondo accademico e tutto quello che lì dentro gli si impone. Decide quindi di lavorare per il servizio civile e provare a rendersi utile, dando una mano a chi sta peggio di lui. Come fosse una metafora filosofica, Tutti giù per terra ci racconta che non basta cercare di essere buoni col prossimo per sentirsi meglio con se stessi, soprattutto se la buona azione si compie per un mero egoismo personale. Walter ha un solo punto fermo, che è la zia, ha un rapporto terribile col padre e con la madre, ha pochi amici e, in generale, non riesce a stare troppo in mezzo alle persone. Con ironia e anche leggerezza Walter affronta la vita a modo suo e Valerio Mastandrea, questa volta, sembra davvero interpretare se stesso, o almeno la sua ironica laconicità. Walter è infatti un perfetto specchio di Valerio Mastandrea nel 1997, anno di uscita del film, anno in cui Mastandrea stesso aveva esattamente venticinque anni.

Perfetti sconosciuti

Perfetti sconosciuti

Il film lo conosciamo tutti, è diventato un cult del cinema italiano soprattutto per il tipo di narrazione, unica nel suo genere, e per un ottimo cast di cui fanno parte alcuni tra gli attori italiani più talentuosi in assoluto e che ha, infatti, convinto tutti. Di questo cast fa parte, proprio per questo, anche Valerio Mastandrea, nei panni di Lele. Lele è un uomo semplice, quasi poco interessante, uno come tanti; è sposato con Carlotta, hanno due figli, e sua madre vive in casa con loro. Ma, in Perfetti Sconosciuti, tutto si mette in discussione, ogni vita può ribaltarsi e sembrare, in un attimo, straordinaria, complessa. Quindi scopriremo, nel corso del film, grazie all’espediente della messa in mostra dei telefoni cellulari, tantissime cose su Lele e sul suo rapporto con la moglie, nonché su alcuni vizi che si porta dietro. Ma scopriremo anche una parte sensibile su cui, a prima vista, non avremmo mai giurato. Perfetti Sconosciuti ha segnato un’epoca cinematografica ma anche sociale, portando allo scoperto il problema fondamentale dei device che ci accompagnano ogni giorno: la privacy, per la prima volta veramente messa in discussione. Anche stavolta Mastandrea prende parte alla storia, interpretando la normalità in modo eccezionale.

Tutta la vita davanti

Tutta la vita davanti Valerio Mastandrea

È uno dei più bei film di Paolo Virzì, un film del 2008 che racconta uno spaccato del nostro paese piuttosto problematico e complesso, come era e come è il mondo del lavoro. Valerio Mastandrea, uno dei coprotagonisti oltre ad una bravissima Isabella Ragonese, è Giorgio, sindacalista di un’azienda che di call center, nota tra le altre cose per sfruttare i suoi dipendenti. Il lavoro di Giorgio sarebbe quello di tutelarli ma parte dei suoi problemi derivano proprio dal suo senso di inadeguatezza personale che sfocia anche in ambito lavorativo. Si innamora subito di Marta, la protagonista del film, della sua spontaneità e della sua intelligenza. Ma anche stavolta non riuscirà ad uscire da quello schema mentale che lo blocca a tal punto di non riuscire a concedersi la verità; mentirà quindi a Marta e, nel frattempo, anche a se stesso, compromettendo nuovamente alcuni legami creatosi. Valerio Mastandrea e il suo Giorgio, in Tutta la vita davanti, sono l’elemento estraneo nella vita di Marta, già di per sé non molto lineare. L’attore romano riesce a portare in scena tutto quel senso di colpa che molti di noi hanno, semplicemente nel non riuscire ad essere se stessi, né tantomeno compresi da una società che ci impone regole spesso poco chiare e poco inclini alla nostra individualità.

I moschettieri del Re

I moschettieri del Re

Il film di Giovanni Veronesi è un sogno, letteralmente ma anche figurativamente. La storia di D’Artagnan e i Tre Moschettieri, dalla penna di Alexander Dumas, la conosciamo tutti. È una storia di eroi e di regine, di battaglie epiche e di viaggi lunghissimi. Nel nostro caso, troviamo tutto questo ma in chiave molto più italiana, molto più leggera, divertente e concreta. Valerio Mastandrea è Porthos, l’ultimo moschettiere che D’Artagnan va a recuperare per compiere un’ultima missione per conto della Regina. Come tutti gli altri compari, anche Porthos è ormai sfatto, non fa altro che bere e assumere oppio, per cercare di non ricordare la vita che fu. Ma con i suoi compagni di avventura di risolleverà e re intraprenderà la sua amata vita da moschettiere. Valerio Mastandrea non ce lo immaginiamo facilmente in un film in costume, con la calzamaglia e i capelli lunghi, con la spada e il cavallo. Eppure, Mastandrea è in grado di stupire continuamente e, anche in questo particolarissimo scenario, riesce ad ottenere credibilità, facendo, oltretutto, molto ridere e riuscendo a rimanere integro nel suo ruolo e nella sua personalità di attore. Tutti per uno e uno per tutti, Valerio Mastandrea fa per tre anche da solo!

Diabolik

Diabolik Valerio Mastandrea

Negli inusuali panni di un Ginko malinconico, Valerio Mastandrea dimostra di essere in grado di saper essere davvero molto versatile come attore. Il suo Ginko, che insegue un Diabolik interpretato da Luca Marinelli nel film del Manetti Bros, è un ispettore amareggiato, quasi svogliato ma che allo stesso tempo riesce a non perdersi mai d’animo. È un uomo laconico, non sorride mai, ha in testa solo il suo lavoro, e soprattutto la risoluzione del caso in cui è coinvolto Diabolik. Valerio Mastandrea, nel primo episodio della saga dei Manetti Bros ma anche nei successivi, ci restituisce un Ginko diverso ma anche uguale a come siamo abituati a conoscerlo: mantiene alcune delle prerogative del personaggio, senza però snaturare se stesso e le sue caratteristiche attoriali, che tanto funzionano e tanto amiamo. Con Diabolik Valerio Mastandrea dimostra più che versatilità, dimostra di essere pronto a mettersi in gioco, in ogni modo possibile. A patto di avere sempre una sua riconoscibilità, che è ciò che gli permette di lavorare così bene su ogni personaggio che affronta. Se per Ginko ogni indagine è una sfida in più, per Valerio Mastandrea ogni personaggio è un’occasione in più per stupirci.