L’ultimo atto di Disincanto non è andato esattamente come ci aspettavamo e ci siamo rimasti male perché avremmo voluto qualcosa di più. Sicuramente quando la prima stagione del cartone fece il suo debutto su Netflix nel 2018, le opinioni e le critiche furono parecchio contrastanti. Tra chi, infatti, accolse la serie tv di buon grado apprezzando lo spirito inventivo di Matt Groening e chi, invece, ha sempre reputato il progetto confuso, superficiale e poco accattivante. Con il passare delle stagioni, Disincanto è però riuscita a trovare la propria strada e la propria identità venendo apprezzata cautamente sia dal pubblico che dalla critica. Con la quarta stagione, abbiamo assistito a un netto balzo qualitativo. La narrazione si era fatta più coesa puntando a una trama verticale preponderante, assente nelle altre creature di Groening. Proprio con Disincanto, infatti, il papà di Futurama ha voluto sperimentare un nuovo approccio all’animazione, non solo in termini contenutistici ma anche estetici. Di fatto, Disincanto è la figlia più estroversa e ribelle immersa tra tavolozze di colori pastello e mille sfumature dagli scenari stravaganti, passando per una pop culture da cui Groening attinge a piene mani.
La quinta parte della serie tv inizia esattamente lì dove ci eravamo lasciati un anno e mezzo fa: dopo essere stata gettata in mare dalla madre, Bean viene salvata dalla sua amata Mora la sirena che la porta via. I suoi amici devono così proteggere Dreamland e unire le forze per impedire alla malvagia regina Dagmar di realizzare il suo piano. Nel frattempo, Re Zøg è in missione a Steamland per salvare i suoi figli e per ridare un senso alla propria vita. Il destino di Dreamland è appeso a un filo sottile, solo Bean può fermare sua madre una volta per tutte, ma per farlo dovrà prima imparare a usare i propri poteri. L’ultima parte di Disincanto approfondisce quindi i legami tra i personaggi principali mentre volti familiari fanno nuovamente capolino. Avventure, magia, risate e intrighi sono sempre all’ordine del giorno confermando tutti i lati positivi del cartone. Ma il finale sarà stato all’altezza?
ATTENZIONE! Se non avete ancora visto la quinta parte di Disincanto vi consigliamo di tornare più tardi.
La lotta tra Bene e Male si prepara a scoppiare in quel di Dreamland, anche se non manca il tempo per salutare personaggi vecchi e nuovi e tutti i luoghi fantastici che abbiamo imparato a conoscere in questi anni. Disincanto chiude, dunque, i battenti e lo fa in maniera strana. Se da un lato la percezione che un progetto durato anni ci stia salutando c’è eccome, dall’altro, l’effetto malinconia non è poi così sentito. Soprattutto nella conclusione, lo show perde l’occasione per dirci addio come si deve affrettandosi a chiudere le varie storyline e a dare il lieto fine a tutti i suoi personaggi. Il risultato così non è dei migliori, e anzi, a dirla tutta, l’intera quinta e ultima stagione del cartone è probabilmente la peggiore di tutte. Un inizio lento lascia il posto a uno svolgimento confuso in cui i nostri beniamini sembra stiano solo prendendo tempo in attesa della battaglia finale. Battaglia che dura il tempo di un’unica breve puntata, prima di tornare alle solite dinamiche viste e riviste.
Contrariamente alle altre stagioni, la quinta sarà quella che ricorderemo quasi sicuramente di meno, nonostante sia l’ultima, il che è un paradosso considerato come sia, tutto sommato, la stagione più coesa di tutte. Le prime stagioni del cartone ricalcavano, infatti, molto di più il modello episodico de I Simpson o Futurama, mentre è a partire dalla quarta stagione che Disincanto preme l’acceleratore sulla trama verticale. In questa ultima tornata di puntate, gli episodi conclusivi sono totalmente assenti. Dieci episodi, dunque, che compongono un’unica storyline, senza deviazioni dal percorso che non siano funzionali alla trama centrale stessa. Il macro evento, ovvero la battaglia contro Dagmar, unisce i vari protagonisti sparsi tra Dreamland e Steamland, divisi all’inizio della stagione ma poi riuniti per le puntate finali.
Una conclusione a metà è quindi la grande pecca di questa quinta e ultima parte, ma ci sono indubbiamente anche diversi aspetti positivi.
A cominciare dai personaggi. I nostri beniamini – Bean, Luci ed Elfo, crescono notevolmente, maturano e in quest’ultima stagione hanno avuto perfino margine di miglioramento. Soprattutto Luci, che rimane, a mani basse, il miglior personaggio dello show, l’unico che si sia evoluto al 100% dall’inizio della storia a oggi. Per la prima volta il gruppo non è unito: elemento di novità che ci permette di osservarli sotto una luce nuova e situazioni tali per cui devono riuscire a cavarsela senza poter fare affidamento l’uno sull’altro come al solito. Insomma, la serie tv rende omaggio ai suoi protagonisti mostrandoceli un’ultima volta nel migliore dei modi. Anche tutti i personaggi secondari non sono da meno. Ognuno dei volti più familiari ha la possibilità di vivere i propri quindici minuti di celebrità, senza fungere da riempitivi fine a loro stessi. Satana, Oona, Odval, la ragazza Mocio e Alva sono solo alcune delle menzioni d’onore che vanno fatte in questa stagione. Tutti hanno contribuito a rendere Dreamland un posto tanto fantastico quanto assurdo, al quale ci siamo inevitabilmente legati.
Una quinta stagione che vuole tirare le somme su quanto visto e raccontato. Non solo con i personaggi ma anche con i luoghi. Tutti ma proprio tutti i posti che abbiamo visitato con Bean in questi anni vengono rispolverati per un ultimo saluto: facciamo un salto a Steamland, tra i vicoli bui e la “stienza” steampunkiana, passiamo poi da Meru, dalle sue dune e dalla sua magia esotica, superiamo la Foresta Incantata, le grotte di ghiaccio, i cieli del Paradiso e le fiamme dell’Inferno e concludiamo il nostro viaggio lì dove tutti ha avuto inizio, a Dreamland.
Il legame con la storia e l’amore per questi eccentrici personaggi, ci permettono di sorvolare più facilmente sui vari buchi di trama e sulle storyline lasciate a metà. Il punto debole del cartone continua a essere l’umorismo, a volte davvero troppo infantile e ripetitivo. Piuttosto che concentrarsi su alcune efficaci battute, Disincanto opta per la risata spicciola e la comicità nonsense che manca il bersaglio 9 volte su 10. Esclusi alcuni piccoli escamotage come la rottura della quarta parete, le citazioni e l’autoreferenzialità, il cartone non riesce a strapparci un sorriso duraturo o a regalare momenti memorabili. Insomma, una stagione che poteva fare molto di meglio e che ha invece preferito percorrere strade già battute lasciandoci con la bocca ancora più amara.