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Disincanto: di nome e di fatto

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Voglio essere artefice del mio destino

È uscita da pochi giorni su Netflix la prima parte di Disincanto, la nuova Serie Tv animata creata da Matt Groening, già famoso per le sue immortali creazioni: Futurama e I Simpson. Questa volta è il Medioevo a fare da sfondo alle simpatiche avventure che coinvolgono Bean, la principessa del castello, il suo fidato demone Luci e il suo amico Elfo. Nel nostro immaginario i secoli bui sono saturi di magia, cavalleria, creature fantastiche e bellissimi regni cosparsi di castelli. Matt Groening si arroga il diritto di pescare a piene mani nel pozzo di questo immaginario collettivo, per renderlo il fulcro portante di tutto lo show.

Disincanto è espressione dell’ultimo coraggioso atto di un uomo che vuole spogliarsi delle sue antiche vesti. Un abbigliamento ormai prefissato agli occhi di tutti, conseguenza di un prodotto -come sono stati I Simpson – incentrato sulla parodistica satira della società contemporanea americana. Questa volta l’autore vuole tentare una strada nuova, poco battuta, non priva di ostacoli. Gli stessi che dovrà affrontare la principessa in queste prime dieci puntate.

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La protagonista difatti è la figlia del Re di Dreamland, uno dei tanti fantastici regni di Disincanto. In lei abbiamo una figura femminile molto forte in piena crisi e ribellione adolescenziale. Una donna ormai adulta, disillusa dal mondo, annoiata e desiderosa di vivere al massimo ogni singolo momento della sua vita. Un’ode alla forza e alla tenacia femminile che fa di tutto per non piegarsi alle convenzioni sociali e alle sciocche regole e responsabilità derivanti da un ruolo che non ha scelto lei di rivestire. A farle compagnia un simpatico elfo verde di nome “Elfo” e un demone dal dubbio scopo, giunto a corte per “plagiare” la protagonista verso oscuri sentieri.

Il trio vivrà rocambolesche avventure condite da uno sprezzante humor dalle sfumature irriverenti e dissacranti. Difatti lo show è fortemente incentrato sull’ironia e sulla battuta pronta.

Sebbene nel complesso risulti piacevole e scorrevole, talvolta l’umorismo sprofonda nei clichè e nel “già sentito” con forzature evitabili. Nonostante ciò, riesce a divertire quanto basta per apprezzare ogni singolo episodio.

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Parlando di episodi, Disincanto risulta godibile e non privo di spunti di riflessione ben nascosti sotto il velo dell’umorismo. Si affrontano i problemi più ricorrenti nella società con gli occhi di un’adolescente che vuole spaccare il mondo. Alcol, droghe, punizioni ecclesiastiche, lavori umili e doveri politici sono solo alcuni degli elementi presi in esame. La principessa Bean non conosce la realtà del mondo, abituata alla noia della casa reale. A lei spetta una vita già decisa dai doveri regali. Sposare per fini politici un principe di un altro regno e occuparsi di possibili figli in una vita di ozio e ricchezza.

Tuttavia lo spettatore, in viaggio con la principessa e i suoi stravaganti amici, arriverà a mettere in discussione qualsiasi cosa, anche se stesso. Cambiare il proprio destino è possibile con la giusta determinazione e in Disincanto il messaggio arriva forte e chiaro divenendo più nitido man mano che ci si avvicina all’epilogo.

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Il trio protagonista è ben strutturato e ogni personaggio risulta psicologicamente delineato.

In Elfo abbiamo l’espressione dell’ingenuità e della spontaneità, l’innocenza tipica di una creatura tendenzialmente “buona” e abituata a vivere in un mondo privo di violenza e odio. Non concepisce la diffidenza e la rabbia verso il prossimo, mancanze che instaurano in lui un vuoto da colmare. In Luci, il piccolo demone, abbiamo il classico personaggio tendenzialmente “cattivo”. Colui che crea disordini e semina zizzania a destra e a manca.

Tutti e tre i personaggi si influenzeranno a vicenda, costruendosi la loro evoluzione caratteriale che diverrà espressione di tutto ciò che vivranno insieme. Elfo e Luci rappresentano le due facce della medaglia di Bean, che dovrà combattere con se stessa e decidere quale parte di lei far prevalere.

Ma non è tutto oro quel che luccica. Disincanto risulta molto semplice nella sua narrazione e con svariati momenti “morti” in ogni episodio. Inoltre si ha la percezione che ogni vicenda narrata sia forzatamente tirata per le lunghe, affaticando talvolta lo spettatore. Come se non bastasse, c’è poca originalità nell’elemento fantasy, che ricicla prepotentemente ogni tipo di stereotipo legato a quel mondo. È frequente anche l’abuso del citazionismo, soprattutto di Game Of Thrones e Hansel e Gretel.

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Parlando di note positive in Disincanto una menzione particolare va ai disegni. I personaggi non si discostano molto dallo stile già visto ne Simpson e in Futurama, ma le ambientazioni sono un incanto per gli occhi. Gli sfondi appaiono come piccoli dipinti dai colori accesi, spesso accompagnati da un’indefinita melodia medioevale perfetta per immedesimare lo spettatore nel contesto.

In attesa della seconda parte, Disincanto non ha deluso del tutto le aspettative.

Si presenta difatti come un prodotto leggero e adatto per il semplice desiderio di intrattenimento. Humor e azione riescono a equilibrarsi bene a vicenda, nonostante non manchino alcune pecche. Il grande neo risiede nella sua presunta “eccezionalità”.
In dieci puntate manca l’elemento che possa rendere speciale lo show, così come è stato pubblicizzato per mesi. Tuttavia il finale aperto ci lascia ben sperare nella sua continuazione.

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