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Ritmo, divertimento e misteri: la seconda parte di Disincanto intriga e convince più della prima

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La chiamano seconda parte, ma in realtà i dieci episodi di Disincanto appena rilasciati da Netflix vanno a chiudere la prima stagione, trasmessa la prima volta nell’agosto del 2018 sulla stessa piattaforma. La serie tv di Matt Groening, l’ideatore dei Simpson e di Futurama, è stata rinnovata per altri venti episodi, che verranno trasmessi in due blocchi da dieci, rispettivamente nel 2020 e nel 2021, e che andranno a comporre la seconda (e ultima?) stagione.

Disincanto continua a seguire le avventure della principessa Bean e dei suoi inseparabili compagni: Elfo, prontamente resuscitato per questa seconda parte, e il demone Luci, ritrovato in splendida forma.
Dopo il finale della prima parte, ci volevano almeno un paio di episodi di “riassestamento”. Dopo il caos lasciato dalla vecchia regina Dagmar, la mamma di Bean, e la semi distruzione di Dreamland, le prime tre puntate cercano di rimettere ordine nella trama e di collocare tutti i personaggi di nuovo al proprio posto.
Siamo a Maro, la città di Dagmar che ricorda vagamente la Meereen di Daenerys Targaryen, e Bean incontra per la prima volta la famiglia di sua madre. Mentre, dall’altra parte, Dreamland è un deserto di sudditi pietrificati in cui Zøg si aggira da solo in cerca di compagnia.

Il ritmo è subito velocissimo: gli zii materni di Bean cercano di incastrarla, sua madre la manipola e la inganna, ma lei riesce a scoprire l’imbroglio, liberare Luci e a fuggire dalla città. Già che c’è, fa anche un salto all’inferno per resuscitare Elfo, torna a casa, si riconcilia col padre e, con il sangue degli elfi di Elfwood, riporta alla vita gli abitanti pietrificati di Dreamland. Tutto in tre episodi, quelli che occorrevano per riportare la narrazione al suo corso naturale.

Poi Disincanto torna ad essere quello che è: un’avventura esilarante e piena di trovate spassose, in un mondo fiabesco e medievale. Quello che serviva a Matt Groening per esplorare uno stadio temporale che la sua penna non aveva ancora toccato, il passato.

Tornano le taverne, i giochi dei dadi, i teatri dalla vaga impronta elisabettiana, i vicoli sudici e chiassosi che hanno sempre contraddistinto l’ambientazione di Disincanto, quella strada verso casa che “è sempre in salita”.
A Dreamland si sogna più intensamente che altrove. Sarà per questo che le avventure della principessa Bean si colorano delle tinte più accese della fantasia groeninghiana.

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Cavalieri, avventurieri, pirati, maghi e imbroglioni, navi e finti draghi volanti: tutto si combina perfettamente in un racconto che risulta essere molto più lineare e godibile di quello della prima parte. E, probabilmente, anche più divertente.

Ci sono elementi di assoluta novità, talvolta anche spiazzanti, come il salto temporale nel “mondo della scienza” o le trame oscure di personaggi che complottano qualcosa di ancora indecifrabile.
Alcuni punti oscuri rimangono (di cosa parlava la profezia su Bean a proposito della salvezza della città di Maro? Cos’è di preciso “quella cosa” che gli elfi credono di aver trovato a Dreamland? Quale è la vera natura della regina Dagmar? Il viaggio nel futuro di Bean apre a nuovi scenari per la trama o resterà fine a sé stesso? Perché tutti sembrano cospirare per la deposizione di re Zøg e la caduta del regno? Che fine ha fatto la regina Oona?) ma questi verranno probabilmente chiariti e approfonditi nella seconda stagione.

Dove andrà a parare Disincanto in futuro non lo sappiamo. Quel che è certo è che, per il momento, possiamo godere appieno di un prodotto che porta il marchio inconfondibile di Groening, con tutto il suo carico ironico e no-sense, il solito tocco irriverente – basti pensare alle battute su Dio al limite della blasfemia o al sistematico disprezzo di qualsiasi forma di tradizione e convenzione – e un tuffo in un mondo sovraccarico di immaginazione e umorismo.

Per tutto il resto, non ponetevi domande, altrimenti “dovremmo improvvisare pericolosamente a c***o”. Parola di re Zøg.

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