Disincanto è stata descritta e presentata ai fan come una Futurama ambientata in una mitica terra di fantasia: Sbagliato.
Forse è questo concetto che rende il giudizio del nuovo prodotto targato Matt Groening così deludente. Il confronto con le stupende avventure di Fry e compagni risulta di base molto negativo per Disincanto e ci fa pensare che l’assioma Futurama uguale Disincanto sia errato più che mai. Tralasciando il tipico umorismo alla Groening e il disegno inconfondibile dell’autore americano, questi due show hanno poco o nulla in comune. Quindi se avete scelto di guardare le vicissitudini di Bean, Elfo e Luci per via del vostro amore sfrenato per Futurama o per I Simpson, questa serie potrebbe inevitabilmente avervi lasciato l’amaro in bocca.
Vediamo di capire i punti da cui partiva la serie: un cast spettacolare al doppiaggio, fra i tanti Eric Andre a dare la voce a Luci, un grande team di sceneggiatori e un budget milionario firmato Netflix. Insomma, c’erano tutte le potenzialità per pensare, sviluppare e produrre una grande serie. Nonostante tutto, l’incantesimo non è stato lanciato e Disincanto è rimasta una delusione cocente per tutti i fan di Groening.
Per capire per quale motivo lo show sia stato – e continui a essere – così deludente per gli affezionati, bisogna analizzare i vari punti dolenti del prodotto Netflix. Al primo posto, come punto deludente in Disincanto, troviamo la trama. La differenza più evidente rispetto a I Simpson e Futurama è proprio il formato della narrazione. Entrambe sono sitcom animate, ossia seguono uno stile preciso dove ogni episodio è unico, non presentano archi narrativi lunghi suddivisi su diversi episodi e sviluppano l’azione principale all’interno della singolarità dei 25 minuti che compongono la puntata. Disincanto si distanzia da ciò con una trama che si svolge lungo tutta la serie di 10 episodi. Non è una sitcom animata. È una serie animata fantasy di azione e avventura. Questo potrebbe – e in realtà dovrebbe – non far troppa differenza sullo spettatore, ma pare avere un impatto devastante sulla scrittura di Matt Groening.
È certamente interessante vedere come l’autore si distacchi dal banale archetipo della damigella in pericolo che si trova spesso nelle narrazioni fantasy tradizionali. Tuttavia la principessa Tiabeanie, più conosciuta come Bean, fatta eccezione il volersi ribellare al patriarcato dilagante, ha una posta in gioca molto bassa. Il suo obiettivo principale non è chiaro fino a circa metà stagione e le cose cominciano ad avere un senso ed essere interessanti solo alla fine della prima stagione. Troppo tardi.
Disincanto sarebbe stata sicuramente più avvincente se avesse dedicato meno tempo alla presentazione e più all’azione. La storia sarebbe dovuta iniziare in cima alle montagne russe e non all’ingresso del parco divertimenti. Questo tipo di narrazione di lunga durata si allontana pesantemente dallo stile di Groening, e sembra aver reso inutile la formula magica che ha reso grandi i suoi show.
Lasciamo da parte la trama, che fra le altre cose è quella che maggiormente subisce il decadimento della seconda e terza stagione, e concentriamoci sulla commedia. Le battute.
Disincanto ha un grande valore aggiunto: il talento vocale in parte in eredità da Futurama e in parte novello.
Abbi Jacobson direttamente da Broad City interpreta Bean, Eric Andre – Luci come già detto – e Noel Fielding nei panni di Stan il Boia.
Comici preparati ed irriverenti che andavano semplicemente lasciati liberi di agire, di ballare sulla sceneggiatura con le loro qualità. I fan si aspettavano un umorismo sulla falsariga di altre serie di animazione targate Netflix, come Big Mouth o BoJack Horseman, e invece sono rimasti delusi. Hanno ottenuto una comicità poco raffinata in alcuni punti, troppo docile, mai provocatoria a dovere. Una mezza spinta che non porta da nessuna parte e che, soprattutto, non porta nessuna risata. Sembra quasi che tutti i grandi comici entrati in cabina di doppiaggio per Disincanto siano stati sedati prima dell’inizio delle registrazioni.
Erano pochi e distanti fra loro i momenti veramente alti. Non apprezzabili in un contesto più ampio, purtroppo.
Non ci sono solo questioni tecniche e artistiche alle spalle della deludente comparsa di Disincanto nelle nostre vite. Anche il passaggio dalla trasmissione televisiva a Netflix potrebbe essere stato un chiodo sulla bara di questo show. Tutti i prodotti di Groening sono nati e si sono sviluppati in prima serata su Fox, quindi con un pubblico decisamente più adulto e con una fruizione completamente dettata dalla rete. Disincanto, invece, può essere vista in qualsiasi momento da chiunque, e questo in minima parte può aver inciso sull’orientamento del bacino d’utenza.
Detto questo, la serie aveva del potenziale dopo la prima stagione, poteva riprendersi dopo la seconda e necessiterebbe di un miracolo per restare a galla dopo la terza. Forse dovrebbe riuscire a distaccarsi da Futurama e da I Simpson, trovare la sua voce in mezzo alla marea e prendersi il suo tempo per emergere al meglio. In ogni caso, Disincanto non funziona in nessun modo nel suo stato attuale.