L’ultima, in ordine di tempo, è Biancaneve con Rachel Zegler e le sette “creature magiche” (sulle quali si è fatto un clamoroso passo indietro, facendole tornare nani), ma l’elenco è lungo. La tendenza di Disney di rivisitare i propri stessi grandi film è cominciata in sordina, con l’operazione di rifacimento dei titoli più importanti iniziata nel 2010, via via proponendo versioni sempre più rimaneggiate dei propri classici, provocando vere e proprie crisi di nervi nei fan.
Le polemiche per l’eccessivo rimaneggiamento di Biancaneve hanno portato Disney a ritardare il rilascio del film di un anno, in modo da evitare una figuraccia al botteghino e poter apportare tutte le modifiche necessarie per non peggiorare ulteriormente l’umore dei fan, sul piede di guerra dopo l’annuncio che i nani sarebbero stati sostituiti da non meglio precisate “creature magiche”. Il live action con protagonista la Zegler, in questi giorni in sala con Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente, slitterà a marzo 2025 anziché uscire la prossima primavera.
La prima immagine ufficiale del live action, rilasciata in concomitanza con l’annuncio dello slittamento della prima del film, ha rasserenato gli animi: i nani ci sono, niente creature magiche gender fluid come avevano paventato, col coltello tra i denti, i commentatori web nemici dell’ideologia woke. Certo, una sparuta minoranza ancora obietta che la scelta di assegnare il ruolo di Biancaneve a Rachel Zegler vada in netto contrasto con la descrizione del personaggio presente nella fiaba originale: ma per la Disney il pericolo di flop è passato e Biancaneve sarà l’ennesimo grande successo al botteghino, anche grazie alle polemiche.
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La scelta iniziale di sostituire i nani con personaggi fatati è in linea con la presa di coscienza da parte di Disney, che negli ultimi anni si sta impegnando molto affinché le “sue” fiabe siano quanto più inclusive possibile. Il punto è che in quelle fiabe non c’è proprio niente che appartenga a Disney, ma in compenso c’è tanto di quello che compone il substrato antropologico e culturale della civiltà umana.
Biancaneve, Cappuccetto Rosso, Cenerentola, la bella addormentata nel bosco sono qualcosa di più di semplici film: sono archetipi, voci che sussurrano all’inconscio dell’essere umano da generazioni, che costituiscono l’essenza più profonda dell’uomo e ci accompagnano nel viaggio di scoperta di noi stessi e della vita. Che sia più o meno possibile rimaneggiare o riprogrammare un archetipo, non spetta a noi dirlo: ma sicuramente è alquanto improbabile che ci riesca Disney in una manciata d’anni.
La massiccia operazione di rifacimenti cominciata da Disney nel 2010 ha due motivazioni: in primis il fatto che i film prodotti generano incassi monumentali e, con i sequel, il successo si protrae nel tempo. Ma c’è anche l’aspetto legato al copyright, in scadenza per molti titoli che appartengono al catalogo d’oro di Disney.
E qui arriviamo alla motivazione più sottile che ha spinto Disney ad andarci giù pesante con le modifiche dei propri capolavori.
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L’azienda di Topolino non punta solo a ottenere incassi stellari, vuole sostituire i propri titoli più vecchi con altri nuovi di zecca. I live action hanno l’obiettivo di rimpiazzare i vecchi film storicamente e culturalmente, crescendo una nuova generazione di spettatori con pellicole più in linea con i valori della società odierna.
E dunque via i gatti dai tratti asiatici de Gli Aristogatti, via l’hangover di Dumbo, si salvi chi può dalla Alice svampita e ingenua del cartone e benvenuta Alice guerriera, così come Ariel interpretata da Halle Bailey punta a sostituire nell’immaginario collettivo l’iconica sirenetta dai capelli rossi.
Non è interesse di chi scrive criticare né elogiare questa scelta, così come chi la condivide o la osteggia: ogni spettatore è libero di farsi la propria idea liberamente, senza imposizioni da parte di chi scrive di film così come di chi li produce e li rimaneggia. Quello su cui è interessante puntare il focus è che non esiste nessuna evoluzione che non preveda un contraddittorio: e forse, pur con tutto la loro portata sociale e culturale figlia di un’altra epoca e di una sensibilità radicalmente diversa da quella odierna, le fiabe “vecchie” erano davvero meno inclusive di quelle “nuove”?
La differenza la fa l’occhio dello spettatore, chiamato a inquadrare storicamente e culturalmente ciò che vede, che si tratti di uno stereotipo razziale o di una visione limitante e patriarcale del ruolo femminile.
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Pensare che il pubblico del 2023 sia così limitato o ipersensibile da non saper interpretare e decifrare ciò che vede, alla luce dei cambiamenti che intercorrono tra la società che ha partorito i classici Disney e quella odierna, è un pensiero a dir poco offensivo. Forse i genitori di oggi non hanno il tempo e gli strumenti per dare ai propri figli una lettura e una spiegazione di ciò che vedono? Forse un ventenne non è in grado di comprendere da solo che non tutto ciò che viene mostrato in un film deve per forza rispecchiare la realtà? Forse, ma ciò non si risolve buttando via metaforicamente il bimbo-film con l’acqua sporca-cornice culturale e storica nella quale sguazza.
Invece di riscrivere le fiabe del passato, avrebbe più senso acquisire gli strumenti giusti per rileggerle criticamente e crearne di nuove.
Zootropolis e Onward dimostrano come sia possibile sviluppare con successo nuove idee da zero, creando storie davvero inclusive figlie del nostro tempo, invece di rimescolare senza sosta nel passato. Rivedere “criticamente” i classici d’altri tempi, inoltre, non può che fare bene ai più piccoli, abituati a un tipo di narrazione cinematografica decisamente concitata e meritevoli di essere avvicinati anche a una più “lenta” e artigianale.
Dunque, ben vengano le versioni “riviste e corrette” delle fiabe, le note a margine sulle conformazioni fisiche dei nani e le appendici sull’autodeterminazione delle principesse: ma torniamo anche ad apprezzare senza troppi sensi di colpa la vetusta insensibilità delle fiabe d’antan. Accendiamo la tv e, per una volta, spegniamo i giudizi.
Giulia Vanda Zennaro