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Orphan Black Distopia: Sliding Doors – La Neoluzione al potere

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Distopia: Sliding Doors è la rubrica in cui immaginiamo come sarebbe andata se i personaggi delle Serie Tv avessero compiuto scelte diverse. Questa puntata è dedicata a Orphan Black e si propone di raccontare il seguente scenario: cosa sarebbe successo se Sarah (Tatiana Maslany) non fosse riuscita a uccidere Westmorland e la Neoluzione avesse realizzato i suoi programmi di dominio?

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“È con immenso orgoglio che annunciamo alla Nazione che il progetto Legio è pronto per entrare in fase di attuazione. Tempistiche prodigiosamente brevi per un risultato storico, che va ad aggiungersi a quelli già ottenuti dai nostri scienziati con i progetti—”

Quando sente risuonare i passi di Kira, Sarah si affretta a recuperare il telecomando per spegnere la televisione. Il viso bionico del Presidente viene coperto dalla distesa di nero che inghiotte le immagini della conferenza, interrompendo il consueto appuntamento settimanale con la propaganda neoluzionista.

Scoprire di essere il frutto di un esperimento di laboratorio finisce inevitabilmente per rivoluzionare la tua concezione di assurdo, ma persino da membro del clone club Sarah fatica a credere che a capo del governo ci sia un cyborg che si rivolge ai cittadini con una gracchiante voce metallica e un volto parzialmente rivestito d’acciaio.

Sono lontani i tempi in cui il Dyad era costretto ad agire nell’ombra e a muoversi in punta di piedi; ora il suo vessillo sventola apertamente sul tetto degli organi istituzionali e niente sembra in grado di sradicarlo da quella postazione privilegiata.

Orphan Black

Forse se Sarah fosse riuscita a uccidere Westmorland la situazione non sarebbe degenerata a tal punto. Forse se non si fosse lasciata incantare dalle sue provocazioni come da un serpente ammaliatore e avesse fracassato la sua brutta, viscida faccia, il Dyad sarebbe crollato come un castello di carte colpito da una folata di vento. Forse sarebbe accaduto, o forse no. Forse farlo fuori avrebbe significato soltanto tagliare una delle teste dell’idra e farne spuntare altre tre al suo posto. Forse lei e le sue sorelle sono impegnate in un gioco che non possono vincere, e il massimo risultato a cui gli è concesso di aspirare è non finire come Beth.

Beth.

Il nome penetra nella coscienza di Sarah come una lunga lama affilata. Prima che abbia il tempo di affondare maggiormente il colpo, la voce di Kira ne fa dissolvere il suono. “Non l’hai ancora comprato!” obietta con petulanza, portando le sopracciglia di Sarah ad aggrottarsi.

“Di che cosa stai parlando?”

“Dello specchio!” esclama Kira. “Non ne abbiamo neanche uno.”

“Ti ho detto che non ci serve.”

È una bugia che Sarah va predicando da quando si sono trasferite in quel minuscolo appartamento ai bordi di una periferia dimenticata da Dio e dagli uomini. La verità è che non vuole vedere il proprio riflesso allo specchio, perché farlo sarebbe come guardare in faccia Beth e ricordarsi di averla delusa; sarebbe come affrontare Alison, Cosima e Helena e il fatto di averle abbandonate; sarebbe come costringersi a fare i conti con se stessa, e Sarah preferisce decisamente lasciarli in sospeso.

È stanca, troppo stanca persino per guardarsi allo specchio.

Orphan Black

Se S. ci fosse le direbbe che in realtà è soltanto vigliacca, ma S. non c’è, e Sarah si sente autorizzata a zittire la voce che la sprona a rimettersi in piedi, a tornare dalla sua famiglia, a riprendere la lotta che ha inconsapevolmente intrapreso quando ha visto un’altra se stessa gettarsi sui binari di un treno in corsa. In fondo è soltanto nella sua testa che la sente risuonare; nella realtà non ci sono più rimproveri dispensati al fine di smuoverla, né occhiate di sbieco lanciate per redarguirla, né carezze rilasciate per darle coraggio: S. ha portato tutto via con sé.

S. è morta e una miriade di nuovi progetti è nata sotto l’egida del governo neoluzionista: Legio, Eva, Vitruvio; padri e madri di prototipi destinati ad essere ripetuti in sequenza per formare una classe di soldati perfetti in battaglia, di donne predisposte all’obbedienza, di ingegneri capaci di elaborare le più sofisticate delle tecnologie. Il Dyad ha fatto tesoro dei suoi sbagli; Sarah e le sue sorelle gli hanno messo i bastoni tra le ruote per via della loro irriducibile individualità, ed è per questo che i nuovi cloni ne saranno sprovvisti. Saranno uguali fuori e dentro, gocce d’acqua senza storia né identità; semplici fotocopie.

“Non possiamo permetterlo” aveva detto Cosima, raccogliendo l’immediato assenso di Felix e delle altre. Sarah aveva taciuto sommessamente, con il cuore già rivolto verso quell’altrove dove si è diretta nel pieno della notte, dopo aver prelevato Kira dal suo letto senza darle spiegazioni. S. avrebbe ragione: è vigliacca, non stanca.

“Come fa a non servirci uno—?”

Sarah mette Kira a tacere con un gesto perentorio della mano. Gli anni passati nel mirino del Dyad le hanno insegnato a tenere i sensi vigili e la guardia alta. Con il salto che la Neoluzione ha compiuto, i segreti covati dal DNA suo e di Kira non possono che essere una preda ancora più ambita. Potrà essersi arresa, ma se c’è una cosa che non smetterà mai di fare è proteggere sua figlia.

Quando il silenzio torna a essere intaccato da quel rumore impercettibile, Sarah si volta fulmineamente nella direzione da cui è provenuto. È allora che la vede: una sagoma scura che Sarah finisce ad aggredire ancor prima di averla identificata. L’afferra per le spalle e la spinge contro il pavimento, buttandolesi addosso con tutto il suo peso. Tiene bloccato l’intruso con un braccio mentre estrae il coltello che si premura di avere sempre indosso per far fronte ad eventualità come quella. Quando lo brandisce nell’aria, il richiamo di Kira interviene a frenare il colpo pronto ad essere sferrato.

“Mamma, ferma! È—” La realizzazione colpisce Sarah un istante prima che Kira le dia corpo. Il viso pallido, il cespuglio di ricci biondi, gli occhi— perfettamente identici ai suoi. “—Helena.”

Sarah ripone il coltello e si rimette in piedi, consentendo a sua sorella gemella di fare lo stesso. Si ritrovano una di fronte all’altra, immobili e tese, separata da una spessa barriera di silenzio. “Come stanno i gemelli?” vorrebbe chiedere Sarah, ma non si sente in diritto di farlo. Se non fosse andata via, non avrebbe bisogno di domandare per saperlo.

“Che ci fai qui, testa di rapa?”

Helena la fissa intensamente e Sarah sostiene il suo sguardo. Eccolo qui, lo specchio che ha provato così ostinatamente ad evitare.

“Rachel ha un modo per fermarli.”

Non si può scappare da se stessi; Sarah avrebbe dovuto impararlo molto tempo prima.

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