Distopia è la rubrica in cui ci immaginiamo i futuri distopici delle Serie Tv, provando a proiettare le storie tanti anni dopo la loro conclusione televisiva.
Londra, 2030. Dieci anni dopo la scomparsa di Sherlock Holmes.
La pioggia fitta e sottile si abbatte sulle strade affollate della capitale, sulla grigia cappa di fumo che si alza dalle abitazioni in stile vittoriano. Il Tower Bridge è avvolto dalla nebbia, la famosa Torre si staglia tra la fuliggine di una giornata uggiosa e trafficata. Le vie della capitale sono vestite a festa, tra poche settimane la regina compirà 104 anni e i sudditi si preparano a celebrare questo ulteriore traguardo della sovrana più longeva della storia del regno. Nell’aria c’è una strana elettricità, la si percepisce osservando il passo sostenuto dei londinesi che attraversano al semaforo con la testa bassa e il respiro affannoso. Qualcuno infila il piede in una pozzanghera, dilatando in mille cerchi concentrici l’immagine riflessa di un Big Ben all’apparenza inviolabile eppure così drammaticamente vulnerabile ed esposto.
Il primo decennio post Brexit non è stato una passeggiata per il Regno Unito. Disordini, proteste, manifestazioni di dissenso si sono allargate a macchia d’olio in tutto il Paese. La criminalità ha esteso le sue maglie a settori che prima operavano nel pieno rispetto della legalità, i reati hanno subito un costante aumento nel corso degli anni: omicidi, rapine, sequestri di persona, furti e risse tra gang rivali si sono moltiplicati, rendendo Londra una città sempre meno sicura. Una serie di delitti incomprensibili si è consumata nella capitale. La polizia brancola nel buio, come spesso accade negli ultimi anni.
Scotland Yard annaspa nella ricerca dei criminali, sommersa da una sequenza impressionante di delitti scollegati e scissi tra loro. L’ispettore Lestrade ha risentito molto della scomparsa di Sherlock Holmes, il celebre investigatore che sapeva offrire alla polizia soluzioni che non sarebbe mai riuscita ad afferrare da sola. Nessuno sa che fine abbia fatto il famoso detective. Non una notizia sulla sua morte in tanti anni, non un indizio che riconducesse a lui, nessuna traccia del suo passaggio, il 221B di Baker Street completamente abbandonato e tuttora disabitato.
La signora Hudson, proprietaria dell’edificio, si è trasferita a Parigi da sette anni, dove ha iniziato a pubblicare Le avventure di Sherlock Holmes e John Watson, una raccolta di racconti per bambini. Molly Hooper si è sposata e ha messo su casa con la famiglia a Kensington e di Sherlock non ha voluto più sentir parlare. Molti credono che sia morto, altri che sia impazzito. Qualcuno sussurra persino che suo fratello Mycroft lo abbia rinchiuso in una prigione psichiatrica insieme a sua sorella Eurus. Ma c’è anche chi crede che ci sia lui dietro quei pizzini misteriosi rinvenuti sulle scene del crimine, che offrono la soluzione del caso sotto forma di filastrocche per bambini.
L’ispettore Lestrade si è rassegnato alla scomparsa di Sherlock Holmes. Londra stessa ha capito di doverne fare a meno.
Nel 2020 John Watson, l’amico e fedele compagno dell’investigatore più famoso del mondo, è morto, stroncato da un terribile virus di cui ancora nessuno conosceva nulla. Sherlock da allora non si è più ripreso. La sua è stata una morte altrettanto lenta e inevitabile. Uno degli uomini più intelligenti del Paese, lo stesso che aveva risolto un’infinità di casi e sbrogliato inestricabili matasse, non era riuscito a salvare il suo migliore amico. Il suo unico amico. Per quanto abbia scavato a fondo nella sua testa alla ricerca di una soluzione, alla fine anche Sherlock si è dovuto arrendere all’incapacità di comprendere, all’illogicità e insensatezza di certi aspetti della vita che non si piegano al ragionamento razionale, ma sfuggono, si vaporizzano e ci rendono impotenti dinanzi a qualcosa di più grande e ineluttabile.
Sherlock non si è mai ripreso dalla morte di John. Dopo il funerale si è chiuso in un silenzio ostile, impenetrabile. Ha passato ore ed ore a suonare il suo violino, cascando e rialzandosi infinite volte tra le note di melodie sempre più tristi e malinconiche. Stavolta non c’è nessun trucco sotto. Nessun falso suicidio, nessun brillante escamotage, nessuna exit strategy. Niente di niente. Watson è morto e nessuna straordinaria intuizione riuscirà a riportarlo indietro. Persino una mente geniale, dinanzi all’inesorabilità della morte, non può far altro che stare a guardare. E continuare a soffrire. Così, senza John Watson, neppure Sherlock Holmes aveva più motivo di esistere.
A questo pensa l’ispettore Lestrade mentre fissa nella mente i particolari della nuova scena del crimine. Un altro morto ammazzato, un altro corpo rinvenuto sulle rive del Tamigi. Perché sempre lo stesso copione? Perché le vittime sono sempre uomini ben vestiti e stimati dell’alta società londinese? C’è evidentemente un filo che unisce tutti i puntini, che lega tra loro ogni omicidio, ogni ritrovamento, ma Lestrade non riesce a venirne a capo. Mentre prova a decifrare le tracce rinvenute sul luogo del ritrovamento, alza la testa e la vede: è una ragazzina con i capelli biondi e lo sguardo vispo. Potrebbe avere quindici anni al massimo, ma indossa abiti ricercati ed eleganti. Passeggia accanto al cadavere come se nulla fosse, per niente impaurita dallo sguardo fisso della vittima e anzi quasi incuriosita da tutto quel casino. Lestrade non ha dubbi, è la stessa ragazzina che la settimana prima aveva ficcato il naso su un’altra scena del crimine.
Quando la ragazzina si accorge dello sguardo dell’ispettore puntato addosso, inizia a correre. Lestrade decide di seguirla. Non è semplice, perché l’età inizia a farsi sentire e la biondina invece scappa e si infila nei vicoli con agilità e scioltezza. Il vecchio poliziotto continua a correre con la milza in fiamme e il respiro corto e, quando ormai è certo di averla persa, la vede infilarsi in un cancello con gli infissi verdi e arrugginiti. Spinge la porta cigolante e si infila nell’edificio, fatiscente e decrepito all’esterno, disordinato ma in qualche modo raffinato all’interno. Segue i rumori che provengono dal piano superiore e si infila in una stanza con la porta socchiusa e una debole luce artificiale riflessa sulle pareti. Quando vi si intrufola dentro, i suoi occhi si ritrovano dinanzi a ciò che non avrebbero mai potuto immaginare. Dappertutto, sulle quattro pareti, sul soffitto, sul pavimento, ci sono gli indizi degli omicidi del Tamigi messi l’uno accanto all’altro, collegati da un filo rosso che rende improvvisamente chiara la correlazione tra i diversi casi.
–Zio, hai già risolto il caso?
-Certo, piccola Rosie. Te l’ho scritto in un’altra filastrocca. Vediamo quanto ci metti a risolverla, stavolta.
Le filastrocche! Quelle che avevano aiutato Scotland Yard a risolvere, negli anni, una serie di omicidi altrimenti incomprensibili? Lestrade spinge la testa oltre il cono d’ombra e lo vede: cappello a quadri con paraorecchie, riccioli neri, fronte spaziosa, sguardo magnetico. Una barba folta e ispida gli copre il volto, ma sotto la peluria il sorriso è sempre lo stesso, quello sottile e scaltro di un tempo. Possibile che sia lui? Possibile che sia rimasto tutto questo tempo defilato, a raccogliere indizi sui casi più strani e fornire le soluzioni sotto forma filastrocche per ragazzini? A guardarla bene, Rosie ha lo stesso sguardo serioso del povero John Watson. La bocca si spalanca per articolare un pensiero, ma non ne esce nulla.
–Ce ne hai messo di tempo, Lestrade!
Sherlock Holmes è lì, davanti a lui. È sempre stato lì, anche se tutti avevano smesso di cercarlo. Sparito dalle scene del crimine, rotto ogni rapporto con la polizia, Sherlock si era ritirato a vita privata, sparendo dai radar di Scotland Yard, lontano da tutti quelli che lo avevano conosciuto. Non c’erano più né Watson, né Mary, né James Moriarty, così il detective in pensione aveva deciso di dedicare tutta la sua vita alla piccola Rosie, la figlia del suo migliore amico. Ma un’intelligenza così viva ed esuberante non può essere messa a riposo. Così l’ombra di Sherlock ha camminato indisturbata a caccia di indizi proprio nei panni di Rosie, la bambina cresciuta con uno zio un po’ strano, allergico ai sentimenti e pronto a trascinarla all’interno del suo traboccante palazzo mentale.
La storia è sempre quella. Ma la verità è raramente pura e mai semplice.