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Distopia: Sliding Doors è la rubrica in cui immaginiamo come sarebbe andata se i personaggi delle Serie Tv avessero compiuto scelte diverse. Questa puntata è dedicata a Tredici.
Cosa sarebbe successo se Hannah Baker non si fosse suicidata? Riavvolgiamo il nastro e torniamo all’inizio di tutto, alla prima stagione della famosa Serie Tv.
Custodisco gelosamente lo smalto per unghie nel cassetto della mia stanza: è più di uno smalto, è il mio ultimo segnale su questa terra, il mio definitivo saluto a tutto quello che ogni giorno mi abbandona. Il mio errore? Piangermi addosso, abbassare la testa ogni volta che mi viene detto ciò che inizio a credere sia vero, non ribellarmi mai a quella fiamma che tutti accendono e con cui scelgono di darmi fuoco perennemente. Sono un corpo annientato da un ustione che viene rinnovata ogni giorno e adesso non so più tacere il dolore. Sono tutte le cose che mi hanno detto, e forse sono anche peggio. Io, Hannah Baker, sono diventata la barzelletta della mia esistenza, l’autocommiseratrice che piange tutte le sue lacrime immaginandosi futuri migliori, che però non arriveranno mai. Non arriveranno perché prima che arrivino loro, vado via io. Il futuro busserà alla porta e non troverà nessuno, solo un corpo spiaggiato su una cassa che oramai sarà chiusa già da qualche anno. Uno a zero per voi, direte, pensando di averla avuta vinta, pensando che finalmente ce l’avete fatta a uccidermi con le urla delle vostre azioni annientanti che ho dettagliatamente contato: sono tredici. Eppure, io, dico che è uno a zero per me, perché ovunque sarò non potrà mai essere peggio di qui, e forse sarà finalmente il posto in cui le guerre, quelle interiori e quelle che voi mi avete provocato con così tanta dedizione, faranno spazio alla pace. Quella sacrosanta, intoccabile, meritevole pace che tutti meritiamo, e che meritate anche voi anche se mi avete ridotta così. Un giorno la troverete e vi accorgerete che tutto quello che mi avete fatto non è valso a nulla, che sarebbe stato più proficuo girare l’angolo invece di venirmi incontro per urlarmi addosso. Capirete tutti i vostri sbagli, ma io sarò lontana in un mondo tutto mio costruito con dedizione e cemento.
Ho tredici motivi per farmi del male e provocarmi un dolore che mi farà male solo all’inizio, che mi farà urlare e poi – pian piano – solo addormentare. Tutto il contrario di ciò che avete fatto voi che, invece, avete iniziato a farmi male lentamente senza che io me ne accorgessi realmente e poi, solo dopo, mi avete fatta urlare dal dolore.
È una cosa semplice farsi male, è rimanere in vita evitando tutti gli ostacoli con la sopravvivenza a essere complicato. Non devo fare nulla di che, devo solo infliggermi del dolore e non fermarmi mai. Devo ripetermi i tredici motivi, e poi aspettare il momento giusto quando sarò sola a casa. Le tredici cassette sono pronte, e io sono pronta ad andare a gustarmi il mio ultimo atto di libertà di questa mia, quasi giunta al termine, vita.
Cammino lentamente, assaporo tutto, lo faccio per l’ultima volta e penso a quanto avessero ragione quei saggi che consigliavano di vivere come se ogni giorno fosse l’ultimo. Lo sto facendo, e mi sento più viva che mai. Non penso a Bryce, oggi. Non penso alle sue umide mani addosso a me, e neanche al suo modo di stringere. So che non potrà toccarmi più, e respiro. Mi siedo su una panchina, accanto a me c’è un’anziana signora. La guardo e penso che non diventerò mai come lei, che oggi il mio futuro finisce.
<<Non c’è niente che possa toglierti quella faccia?>> Chiede lei donandomi – per un attimo – una sensazione nuova. Non me lo chiede mai nessuno, io non sono abituata a dare una risposta pronta e così rimango zitta accennando un sorriso. <<Una vecchia anziana come me non deve tirarti fuori le parole di bocca. Sii rispettosa ragazza, rispondimi.>> <<Non penso che sia così semplice.>> Rispondo io, trovando un’illusoria consolazione nel fatto che forse, così, tutto possa trovare un silenzio che mi permetta di non stare in una panchina da sola ma al tempo stesso anche di non ferirmi raccontandomi. <<Nulla lo è mai. La semplicità appartiene alle cose materiali. Scegliere di comprare una cosa, è un gesto semplice. Decidere di espellere il dolore semplicemente lasciandolo agire, no. Non è una cosa semplice.>> Mi accorgo non solo di non saper rispondere, ma anche di non saper parlare. Io non so più parlare, ho sprecato tutte le mie parole per registrare le videocassette, adesso mi sento vuota. Un corpo senza anima, prima ancora del tempo.
<<Lascia agire il dolore. Fatti ridurre in brandelli se è necessario, non pretendere la felicità adesso. Pretendila in futuro. Immagina un mondo in cui tutto, a un certo punto, si potrà risolvere. Nel frattempo, fai agire il dolore. Non sottrarti a lui. Dagli un senso.>> L’anziana che ho di fronte, di cui disconosco il nome, porta il capelli rialzati, una sciarpa che le avvolge il collo e un vestito a fiori. <<Non so dare un senso alle cose che mi accadono. Penso solo che siano un segnale, la dimostrazione che il mostruoso che ha toccato la mia vita non lo sopporto più..>> <<Oh, tesoro. Le cose che subisci sono il simbolo del tuo declino, il dolore è solo la dimostrazione che sei viva, che senti qualcosa. Non preoccuparti del dolore, preoccupati solo se ti accorgi di non sentire più niente.>>
Quei tredici motivi erano dolore, sono dolore per me e quello che adesso la donna a fiori sta dicendo mi sembra solo uno dei mille obiettivi che mi sono proposta in questi mesi: non sentire più nulla.
<<Quando avevo la tua età sopravvivevo. Evitavo le bombe, speravo di non morire. Cercavo di trovare il modo di fare qualcosa per arrivare al giorno dopo ancora integra, ma non dipendeva da me. Ma la speranza, quella, non mi ha mai lasciata.>> Guardo il vuoto e scopro che quello che volevo prima – qualcuno accanto che mi parlasse – forse adesso non lo voglio più. Mi sento arrabbiata perché il tempismo è sbagliato. Doveva accadere prima, non adesso che so cosa voglio. Mi dico che non c’è nulla di male nell’aprirmi, che posso permettermi una sana conversazione con qualcuno che – a differenza degli altri – non potrà farmi nulla, solo ascoltarmi. <<Ci sono questi miei compagni che…>> La signora mi interrompe subito e sorseggiando il the che ha accanto mi zittisce prima che io possa dire tutto quello che mi affligge, tutto quello che mi ha convinta a vivere ancora solo per oggi. <<Non raccontarmi cosa ti hanno fatto gli altri. Dimmi piuttosto cosa potresti fare tu rispetto a ciò che ti hanno fatto. Questo voglio sapere.>> Non lo so, la vera risposta è che io non lo so perché non me lo sono neanche mai chiesta. Ho tacitamente accettato di essere maltratta e bistrattata da tutti senza chiedermi mai quale potesse essere il mio contrattacco. <<Non so. Non ci ho mai pensato. Forse, solo sparire.>> <<Qualsiasi cosa ti sia successa, domani accadrà a qualcun altro. Non siamo mai i protagonisti delle cose, neanche di quelle brutte. Lo fanno a te, ma non appena avranno finito passeranno alla vittima successiva. Non sei importante per loro, non sei indispensabile. Non lo sei per nessuno.>> Non avevo neanche mai pensato a questo. Non ero io in quanto Hannah Baker, ero io in quanto ragazza fragile, in quanto vittima. La signora vede la mia faccia perplessa, e continua <<Quando mi facevo spazio in un mondo fatto di guerre, non ero io perché ero io a rischiare la vita. Ero una persona qualunque, non ero la priorità neanche di chi tirava le bombe. Era una situazione drammatica che si divideva in vari frammenti giornalieri. Prima rischiavo la vita per la fame, poi per le bombe, poi perché se avevo un’influenza non avevo le medicine. Ma eccomi ancora qui, viva.>> Pian piano dentro di me si faceva spazio un angolo di luce vittima di un atto di bontà . Nessuno mi aveva mai tirato su da terra, nessuno aveva mai cercato di donarmi una speranza, neanche io stessa. Ma eccola adesso che si palesa, eccola adesso mentre si fa forte dentro di me e fuori da me. <<Trova la forza, chiunque tu sia e qualsiasi cosa ti sia successa. Non permettere la cattiveria e fai tutto quello che è possibile per evitare che riaccada. Devi chiedere la pace, almeno al tuo mondo.>>
Ma chi c’era davvero nel mio mondo? Mi sentivo una zingara che chiedeva l’elemosina in giro a cui tutti rispondono con sgarbo. Mi sentivo inaudibile, un programma incomprensibile anche con l’ausilio dei sottotitoli.
Forse il mio mondo non era altro che i tredici motivi per cui avrei dovuto farla finita. <<Voglio sparire. Io non riesco più>> Lo dissi quasi con un senso di liberazione, con la speranza di provare paura nel dirlo ad alta voce. <<Ritrovati. Non mollare, lasciati coccolare dalle lacrime e poi trova il modo. Sopravvivi, e poi inizia a vivere. Tu adesso stai male, ma poi – chissà come – la pace ti troverà , e se non ti troverà tu troverai lei, o almeno ci avrai provato. Vale più di mille altre cose. Ti sei mai chiesta quante cose lasceresti in sospeso se sparissi?>> <<Nessuna.>> <<E quel dolore che hai? Sicura che nessuno abbia provato la stessa cosa? Sicura tu non possa aiutare nessuno a superare le tue stesse malattie?>> Tasto dolente. La mia mente adesso aveva delle chiare immagini: quella di Bryce e quella di Jess e di tutte le altre mille ragazze. Andare via significava far vincere Bryce, significava non lottare per loro, neanche per me. Dentro di me la mia dipartita iniziava a essere un’idea sbagliata, un gesto che non mi assegnava alcun punto a favore. Voleva dire, forse, cambiare solo il posto in cui soffrire.
<<Hai ancora tempo. Hai la vita. Se c’è un modo, coglilo.>> Concluse la signora. Abbassai gli occhi, ancora una volta come sempre. Come quando mi facevano del male. Ed eccolo il momento: quello in cui capisci che per quanto la vita faccia schifo, non sei autorizzata e farlo tanto quanto lei. Quello in cui capisci che forse hai tempo, che sei a un passo dal potere cambiare le carte in tavola. Adesso iniziavo a vedere più chiaro, e questo perché avevo ricevuto finalmente quell’atto di bontà . Adesso mi sentivo più potente, la mia eroina. Potevo cambiare tutto, potevo riscrivere la storia a mio favore. Potevo dare un altro obiettivo a quelle tredici cassette.
<<Devo andare. Vorrei rivederla. Dove posso ritrovarla?>> Chiesi a quella che per me in quel momento era la mia di eroina <<Vai, cara. Non preoccuparti, ci rivedremo. Vai a fare ciò che devi con cuore e cervello.>> Non mi feci troppe domande, consapevole che l’avrei rivista senza troppi intralci e che quello sarebbe stato un momento trionfante perché le avrei raccontato tutto felice di farlo. Andai a casa e rovinai il piano organizzato delle mie tredici cassette. Le buttai tutte tranne una, quella di Bryce. La risentii forse tre o quattro volte. Era difficile sentire la mia voce raccontare tutto quello che mi avesse fatto. La mia avversione alla lotta stava per tornare a farsi viva, ma cercai di tramutarla solo in rabbia. Volevo arrabbiarmi, fare la cosa peggiore che potessi fargli. Stavolta non sarei stata zitta, avrei urlato lo stesso dolore che le sue mani mi hanno inflitto.
Senza fare nomi, senza coinvolgere nessuno andai a raccontare tutto quello che mi era successo. Non dissi il nome delle altre ragazze coinvolte, dissi solo il mio. Sapevo quanto una ferita così grande non potesse avere il diritto di vivere sulle bocche degli altri. Se le altre vorranno, io sarò accanto a loro. Se vorranno, le accompagnerò io a parlare. Altrimenti questa sarà la mia lotta anche nel loro silenzioso nome. Non voglio nulla, solo liberarmi. Provare a farcela. Solo qualche ora fa il mio destino era segnato da qualcosa che non mi avrebbe dato alcuna possibilità , mentre adesso mi sento viva, forte, pronta ad affrontarmi e affrontarlo.
Parlo senza sosta da un’ora, racconto tutto ai poliziotti. Mi chiedono i più piccoli dettagli. Ricordarmeli mi uccide. Forse avrò una crisi di panico. <<Le mani…si..e poi mi ha stretta. Non potevo muovermi. I miei polsi..>> Un bicchiere d’acqua, poi un altro. Mi asciugo il sudore freddo e poi prego che tutto questo finisca, che le domande le facciano presto a lui. Lui che adesso è all’oscuro di tutto. Lui che pensa che Hannah Baker in questo momento sia nella sua cameretta da sola. Non sa che mentre lui vive la sua giornata malsana naturalmente, io lo sto massacrando. Sto tremando, ma questo tremolio significa che lui piangerà . I brividi e le gocce di sudore non sono altro che il mio concreto atto di libertà .
Hanno chiamato i miei genitori. Ho detto tutto, anche i miei pensieri e le mie volontà di qualche ora fa. Ho raccontato ogni singola cosa. Ho fatto ascoltare la cassetta, ho fatto tremare il pavimento con le mie urla di fronte all’ennesimo dettaglio. Hanno chiamato i miei genitori così che anche loro potessero conoscere tutto questo, era forse il mio metodo più semplice per dirgli che la figlia che stanno guardando ora, qualche ora fa stava morendo e qualche giorno fa invece veniva calpestata, abusata, trattata come una pezza da pavimento.
Hanno detto che le indagini inizieranno. Bryce Walker tra qualche momento sentirà il mondo crollare addosso proprio come l’ho sentito io.
È passato un mese dal mio primo atto di coraggio. Bryce è sotto accusa e le cose non gli stanno andando bene. Altre ragazze hanno parlato, anche Jessica ha parlato. Io vado in terapia: ho scoperto quanto parlare mi stia facendo bene. Adesso mi sento meno sola, adesso ho capito che alcune delle cassette che ho registrato avrei anche dovuto dedicarle a me. Avrei dovuto prendere il coraggio a quattro mani e dirmi che stavo sbagliando anche io qualcosa, com’è successo con Clay. Qualche volta ci incrociamo nei corridoi, facciamo finta che non sia successo nulla e ci limitiamo a guardarci. Io lo so che in quegli sguardi ci sono tutte le parole che non riusciamo a dire, ma non è il momento adesso di forzare la cosa. Adesso ho bisogno di tempo per metabolizzare tutto quello che è successo, quei tredici motivi che ho lasciato andare. Ora devo camminare lentamente verso la speranza di star davvero bene, nel frattempo custodisco il dolore come mi ha insegnato quella signora che mi ha salvato la vita. Mai più vista, a proposito. Qualche volta mi capita di pensare che non sia mi esistita, che quel pomeriggio ho immaginato tutto, che fosse solo frutto della mia immaginazione. Qualsiasi sia la realtà , sono salva. Sono Hannah, Hannah Baker in diretta e stereo, e sono viva.