Non c’è praticamente nessuno che ami le serie tv che non abbia almeno sentito nominare almeno una volta Doctor Who, la storia di un misterioso viaggiatore che viaggia con una caratteristica cabina blu in giro per lo spazio-tempo in compagnia di uno o più companion. Prodotta a partire dal lontano 1963, Doctor Who è nel Guinness World Record per essere la serie fantascientifica più longeva al mondo. E l’unico modo in cui ha potuto raggiungere questo risultato è stato grazie alla sua intrinseca capacità di rigenerarsi (letteralmente) ogni volta.
Nonostante questo, però, bisogna sottolineare che il percorso della serie non è mai stato lineare ma una vera e propria montagna russa fatta di alti e bassi. Quando gli ascolti si abbassarono nel 1989, la BBC decise di interrompere la produzione almeno fino al 2003, anno in cui Russell T. Davis decise di riportare Doctor Who a nuova vita. Tutto questo per sottolineare che il mito di una serie dagli ascolti stellari prima delle ultime tre stagioni non esiste. La verità è che chiunque abbia un po’ di dimestichezza con le serie tv sa che gli ascolti, sebbene siano molto importanti, non sono tutto. Soprattutto per una serie come Doctor Who che va avanti da 59 anni e ha fatto del cambiamento il nucleo centrale della sua identità.
“L’era Chibnall” di Doctor Who: declino o no?
L’Era Chibnall ha sicuramente avuto i suoi difetti, sono in molti a credere che Doctor Who non sia più lo stesso e i famosi ascolti un po’ gli danno ragione (non del tutto ma, di nuovo, non sono veramente così fondamentali nell’economia di una serie come Doctor Who). Qualcosa è sicuramente cambiato e ha avuto un impatto sui fan di tutto il mondo. Nonostante questo, però, ci teniamo a sottolineare che gli ultimi anni non siano da buttare e abbiano dei pregi che Doctor Who deve sicuramente continuare a considerare per il futuro.
Innanzitutto ha dimostrato che i cast numerosi non sono per forza un male. I “team TARDIS” sono molto interessanti per costruire dinamiche sempre diverse nel rapporto col Dottore e nell’approccio all’universo. L’idea poi il team sia composto da età, generi e etnie diverse è un ulteriore fonte di ricchezza, perché permette di costruire storie affascinanti sul background dei Companion e sull’eterno dibattito tra età anagrafica/età reale col Dottore (chi ha detto Wilfred Mott?). Inoltre non si può dire che l’era Chibnall non sia stata coraggiosa: tra Timeless Child, generazioni ignorate, il Master che distrugge Gallifrey e la morte di un personaggio nel pilota, Chibnall ha dimostrato che il coraggio è ciò che serve a Doctor Who per essere sempre attuale rispetto ai tempi.
Ma allora se ci sono degli elementi comunque positivi, perché ci sentiamo così spiazzati e perché parliamo di declino?
Non possiamo ignorare che qualcosa si sia effettivamente spezzato e dovrebbe essere ricucito per tornare a quel senso di familiarità che Doctor Who ha sempre trasmesso a noi fan. La verità è che forse possiamo riassumere tutto in poche, precise domande. Siamo a fine tredicesima stagione, ormai siamo rimasti con questo Dottore e quasi tutti i Companion per le tre canoniche stagioni. Quanto conosciamo il Tredicesimo Dottore? Quanto conosciamo Yaz, Ryan o Dan? Peggio, quanto ci importa davvero di loro? Il cuore di Doctor Whonon sono mai state davvero le avventure e lo dimostra la facilità con cui è possibile passare da un episodio storico a uno sci-fi a uno familiare o a uno di guerra.
Il cuore di Doctor Who sono il Dottore – in quanto portatore/portatrice di tutta una serie di valori, caratteristiche, storie – e le relazioni con i Companion, in quanto punto di vista nostro privilegiato all’interno di un mondo fantastico.
Negli ultimi anni in Doctor Who è mancata quell’anima che ne ha fatto una cosa così speciale. Un’anima fatta appunto di due metà che, nel tempo, si sono completate l’uno l’altra. Nel caso dell’Era Chibnall, entrambe le parti hanno molto sofferto e la scrittura poco brillante non ha fatto altro che puntare un riflettore sulla cosa. Partiamo dal Dottore: se di tutte le rigenerazioni possiamo definire alcune caratteristiche-tipo, il Tredicesimo Dottore resta ancora un po’ un mistero. La sua personalità è un mix dei Dottori precedenti e quest’inconsistenza si rivela anche nelle sue azioni e nei rapporti con tutti i personaggi: vivendo in cast molto ampi, questo Dottore è spesso il più passivo, il meno attento e il meno autoritario della stanza. E spegniamo subito le malelingue, non si tratta del genere del Dottore quanto della personalità, come Jo Martin ci ha chiaramente illustrato in pochissimo tempo.
Non tutte le rigenerazioni necessitano di essere arroganti o autoritarie, ma tutti i Dottori condividono un certo charme che attrae naturalmente tutti i presenti e una personalità brillante che abbaglia.
La mancanza del Dottore si sente in moltissime scene, dove spesso il ruolo del leader viene preso da un personaggio secondario appena conosciuto di cui non ci importa. Questo si riflette in negativo sull’altra metà dell’anima di Doctor Who, ossia i Companion. Il rapporto tra un Dottore di questo tipo e i suoi Companion ne risulta poco naturale, farraginoso, limitato. Graham spicca più di altri per prova attoriale, personalità e background, ma anche lui come Ryan, Yaz e Dan cade nella trappola: c’è poca emozione, c’è poca naturalezza, c’è poco vero legame. Questo porta alla costruzione di un rapporto che non ci fa empatizzare con i Companion, che non hanno approfondimento né vera crescita. La cosa si cristallizza soprattutto con Yaz, che paradossalmente è la Companion più longeva del NewWho (3 stagioni intere) ma anche quella di cui conosciamo e ci interessa meno.
Parte del problema è dovuto al fatto che i cast di supporto sono troppo grandi, mangiano tempo alla relazione Companion-Dottore che dovrebbe essere centrale. Nessuno di questi Companion spende un tempo doverosamente lungo col Dottore, nessuno di loro è mai da solo con quest’incarnazione e ciò ci porta a chiedere perché davvero si sentano legati a lei. A questo si aggiunge che tutti gli elementi rappresentativi che facevano di Doctor Who… Doctor Who in questa stagioni sono stati carenti: i nemici storici (che anche quando sono rappresentati sembrano… alieni a noi che li conosciamo da tanto tempo), Gallifrey e i Timelord (che quando escono, sono completamente rivoluzionati), la TARDIS, ridotta a mero mezzo di trasporto senza anima. L’unica vera eccezione è il Master, che rimane il punto più forte di quest’intera era.
La scrittura, come abbiamo accennato, non ha aiutato a “camuffare” i difetti. Tuttavia non possiamo dare tutte le colpe alla sceneggiatura, perché è stata in realtà altalenante (migliore la dodicesima stagione sull’undicesima, per esempio) e sicuramente non così tanto peggiore di altre stagioni (ricordiamo alcuni episodi della prima e seconda stagione). Il fatto è che Doctor Who funziona su un delicato equilibrio di elementi e quando quelli principali – Dottore e rapporto con i Companion – vanno male, tutti gli altri vengono risaltati in negativo.
A questo poi si aggiunge la palese mancanza di buone prove attoriali (non ce ne vogliano, ancora una volta è Graham a spiccare su tutti) e soprattutto la mancanza di chimica all’interno del team che ha reso i dialoghi molto meccanici. Non a caso una delle parti più interessanti dell’era Chibnall si trova proprio nell’infamante episodio sul Timeless Child, perché anche se l’idea rompe con la mitologia di Doctor Who, la chimica tra il Master e il Dottore è veramente buona e solleva automaticamente tutto, compresa la scrittura.
Ma allora cosa dovrebbe fare Doctor Who per rigenerarsi davvero a nuova vita? Potrebbe sembrare che abbiamo parlato d’altro, ma sottolineare cosa non ha funzionato in precedenza, e soprattutto cosa ci è mancato davvero negli ultimi anni, rende davvero lampante tutto. Ci è mancato una TARDIS che sapesse di casa, uno o più Companion che portassero avanti le nostre domande, i nostri dubbi e ci mostrassero le grandezze dell’universo con occhi meravigliati, un Dottore più emozionalmente coinvolto, soprattutto un rapporto con i Companion più onesto, profondo. Insomma, quello che dovrebbe fare Doctor Who è in fondo semplice:
Ritrovare la sua anima più vera, le sue emozioni più viscerali, al di là della semplice lista di cosa “fare” o “non fare” per scrivere di Doctor Who. Al di là del compitino scritto, del CGI e delle avventure, il cuore della serie è nei suoi sentimenti più reali, quelli che portano furia, pianti, scontri, rimorsi e sofferenza ma anche passione, gioia, brillantezza. Come hanno ben dimostrato Graham con il suo delicato amore per Grace e la follia del Master, le cose che restano sono sempre le emozioni più vere perché è di quelle poi che è fatta la nostra umanità.