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Doctor Who e “il tempo per indignarsi”

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Terzo episodio (scritto da Sarah Dollard, “Face the Raven”) di questa nuova “Daviesiana” decima stagione. Daevisiana perché senza dubbio Doctor Who ha messo, ora come ora, da parte il suo tono più cervellotico per tornare un po’ alle origini, con gli episodi stand-alone che vedono il Dottore e la companion visitare un luogo, affrontare il nemico e di nuovo via. Il tutto condito con una buona dose di critica alla società e lezione morale.

Ricollegandosi direttamente agli ultimi istanti dello scorso episodio, questa volta Doctor Who ci porta nella Londra del periodo della Reggenza, esattamente nell’anno 1814. Il Dottore e Bill si confrontano con un mostro che giace sotto il ghiacciato Tamigi, un uomo senza umanità e un gruppo di orfani usciti direttamente dalle pagine di Charles Dickens (che, come i fan ricorderanno, è apparso due volte in Doctor Who). La puntata pone un nuovo tassello nel rapporto tra il Dottore e Bill che comincia a conoscere sempre più il suo tutor e a rendersi conto che non è solo uno scorbutico scozzese.

A noi spettatori sembra di vivere un déjà vu sia per la struttura della puntata (ne parlerò tra poco) sia per le tematiche affrontate. L’oscuro Dottore che porta sulle sue spalle il peso di centinaia di vite salvate e altrettante perse e sacrificate e adesso anche un giuramento che potrebbe essere legato direttamente a un vecchio amico-nemico del passato (bussare tre volte non vi dice niente? …).

Il Dottore e Bill formano finalmente un dinamico duo in questo terzo episodio che riporta alla mente direttamente Seven e Ace

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Do you want to help me? Or do you want to stand here stamping your foot? Because let me tell you, I’m two thousand years old. And I’ve never had the time for the luxury of outrage.

Regola numero uno: the Doctor lies.
Il Dottore e Bill arrivano in un momento piuttosto oscuro della storia, specialmente quella inglese. Povertà e razzismo sono solo due delle piaghe della società, allora come oggi. Si perché Doctor Who (in questo parlo di era “daevisiana”) può anche viaggiare nel tempo ma rimane sempre un acuto testimone di quei problemi presenti anche nella società di oggi.

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Niente di più vero, ancora una volta attraverso un modo fantascientifico la Serie ci parla di qualcosa di completamente concreto. La storia non è come ce la raccontano o ce la descrivono nei film perché non a tutti fa comodo ricordare che Gesù non era così bianco e Maria non era così bionda. Mentre Bill guarda quello che la circonda con occhi nuovi, entusiasti e pieni di curiosità, per il Dottore è solo un altro giro di giostra, non è la prima volta che visita la Londra vittoriana, non sarà l’ultima. Il male che lo circonda non lo tocca come Bill … o almeno così dice.

Lui e Bill arrivano a casa di Lord Sutcliffe per informazioni e il Dottore raccomanda a Bill di non essere impulsiva come suo solito, di lasciarlo parlare perché ora come ora il tatto è l’unica arma possibile. Logico, freddo, pratico. Si fino a che Bill non viene chiamata “thing” e a quel punto torna il Dottor Disco in tutto il suo splendore

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Il tatto c’è stato, potente su tutto il lato sinistro della faccia di Lord Sutcliffe. Twelve in versione action è sempre un piacere considerato che all’inizio dell’ottava stagione non ce lo saremmo mai aspettato. Il logico Dottore non è immune alle emozioni, non lo sarà mai per quanto voglia farci credere il contrario. Ormai non ci caschiamo.

Dice di non avere tempo per i bambini, i monellacci di strada che provano a rubargli lo screwdriver. Logico, freddo, pratico. Poi rende uno di loro l’erede del non compianto Lord. Il Dottore non rimane indifferente di fronte a un bambino che piange, storia vecchia. E soprattutto il Dottore dice di non avere tempo per indignarsi … così lui pensa.

Human progress isn’t measured by industry. It’s measured by the value you place on life. An unimportant life. A life without privilege. The boy who died on the river, that boy’s value is your value. That’s what defines an age, that’s… what defines a species.

In questa puntata ci viene regalato un altro monologo bellissimo di Twelve, che porta in superficie quel profondo rispetto per la vita e la sua devozione nel proteggerla. Il compito del Dottore, ma soprattutto il desiderio di aiutare, lo stesso che porta il TARDIS a non andare mai dove VUOLE essere ma dove DEVE.

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If you care so much, tell me how many people you’ve seen die.
I don’t know. I care but I move on.

2000 anni e il peso del mondo sulle spalle.

Un peso che Bill inizialmente non riesce a comprendere e scambia per cinismo e freddezza. Quando il piccolo Spider muore, nessuno si aspettava che il Dottore non lo salvasse o che reagisse così ma è successo perché in Doctor Who la gente muore, anche i bambini, e non siamo di fronte all’emotivo Eleven ma a un Twelve logico e pratico che è rimasto per miliardi di anni dentro una gabbia costruita su misura per lui, anche se probabilmente non ricorda più perché.

Anche se non ricorda Clara, la perdita di lei e di tutti gli altri nel suo cuore esiste ed è quella che l’ha segnato che non lo fa reagire; se reagisse ogni volta, non avrebbe tempo di salvare il mondo. Un Dottore che arriva a una decima stagione con un bagaglio emotivo e non solo decisamente più ingombrante rispetto agli inizi. Logico, freddo, pratico … mai neppure nei prossimi 2000 anni!

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Bill è la companion giusta per questo Twelve perché a differenza di Clara non spinge sull’acceleratore, non lo mette in dubbio e ne tira fuori il lato più umano.

Bill ha il rispetto di un’alunna e la dolcezza di una ragazza che prende per mano il Dottore e si fa guidare da lui, non vuol dire che non abbia carattere ma si relaziona con il Dottore senza metterlo in discussione. Una companion che dopo questo terzo episodio mi sento di promuovere a pieni voti.

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Il Dottore mette alla prova Bill facendole capire cosa significhi essere lui e le terribili, drastiche scelte che in casi estremi è costretto a prendere. Il fatto è che il Dottore è in giro da molto tempo e ormai sa che la vita è una grande area grigia, proprio come lo è lui:

I am not a good man. And I’m not a bad man. I am not a hero. I’m definitely not a president and no, I’m not an officer. You know what I am? I am an idiot! With a box and a screwdriver, passing through, helping out, learning. I don’t need an army. I never have! Because I’ve got them. Always them! Because love, it’s not an emotion. Love is a promise and he will never hurt her.

Un altro monologo bellissimo che serve solo a riprova di quanto detto finora, non è che al Dottore non importi ma a un certo punto si è chiamati a scegliere il minore tra i due mali. Anche se il Dottore afferma di aver perso il conto sappiamo che non è così, lo sappiamo dai tempi di “Day of the Doctor“.

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E Bill viene chiamata a fare una scelta in una situazione disperata, viene chiamata a scegliere per l’umanità … e fa la scelta giusta, non perché scelga la strada più facile ma perché sceglie quella rischiosa, mortalmente pericolosa e per questo umana.
Negli occhi di Twelve a fine episodio, quando guarda una raggiante Bill e le dice che è stata lei a salvare Londra e gli orfani, vediamo la fiducia nell’intera umanità. Sì, a volte è vacillata, ma è per questo che esistono le companion, per ricordare al Dottore il giuramento per eccellenza, quello di rispondere ed aiutare.

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Un episodio che alcuni hanno definito un “The Beast Below” 2.0.

Si è vero, ci sono palesi riferimenti a quella puntata, l’intera struttura può essere messa confronto con l’episodio di Doctor Who con Eleven ed Amy Pond. Ci sono anche riferimenti evidenti a “Kill the Moon”, la volontà di Twelve di far decidere Bill, come allora Clara.

I don’t know the answers. Only idiots know the answers, but if your future is built on the suffering of that creature, what’s your future worth?

Ma questo episodio non è una copia. bensì un’evoluzione di entrambi. Se nella 5×02, Eleven vede solo una scelta possibile, dettato dalla rabbia e dal risentimento, e tocca ad Amy intervenire e agire da umana, nell’episodio 8×07, invece, Twelve lascia Clara sola fiducioso della sua scelta. In “Thin Ice“, il Dottore si dimostra più empatico (come ho detto prima non bisogna mai dimenticare che l’intera Serie è un progredire, quello che è successo non scompare semplicemente ma lascia i suoi strascichi e la sua impronta nell’animo del Dottore) e si permette a Bill di compiere una scelta ma non la lascia sola, non vola via.

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Una puntata che ricalca quanto già visto finora: il cattivo non è davvero cattivo, una companion che riveste il ruolo di grillo parlante, un Dottore pronto ad ascoltare anche se con qualche riserva e in generale una via di mezzo con l’era Davies, che potrebbe essere maggiormente approfondita.

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