Doctor Who ci ha abituato ormai da tempo alle sue teorie complicate. Prodotta dalla BBC a partire dal lontano 1963 grazie al lavoro pioneristico di Sydney Newman, è diventata negli anni un vero e proprio fenomeno cult, entrando di diritto nel Guinness World Records come la serie fantascientifica più longeva del mondo. Basata su una struttura wibbly-wobbly e in onda quasi ininterrottamente da ben cinquantasette anni (con una sola lunga pausa intercorsa tra il 1989 e il 2005), viene facile capire perché il suo mondo è popolato da teorie fantasiose, sviluppate con l’intento di unire i puntini di un universo bellissimo e spaventosamente complesso
Se qualcuno ancora non conoscesse la serie, possiamo riassumerla così: Doctor Who racconta la storia di un viaggiatore del tempo e dello spazio, chiamato il Dottore. Egli appartiene alla razza superiore dei Signori del Tempo, in grado di vedere e modificare la complessa struttura del tempo alla quale tutte le creature dell’Universo sono connesse. Dall’alto di questa infinta conoscenza, il Dottore decide di viaggiare per occuparsi della “manutenzione” dell’Universo, scegliendo una compagna alla quale mostrarne le bellezze grazie al TARDIS.
La rigenerazione: un trucco per fregare la morte
I Signori del Tempo vengono descritti come una specie superiore, molto antica e tecnologicamente avanzata. La capacità di osservare i movimenti non lineari del tempo e di poter resistere alla vista delle fratture del suo tessuto li porta a diventarne i custodi. Il tempo è per loro assolutamente relativo e scorre in maniera diversa rispetto a tutte le altre creature. Tuttavia, nonostante questo, i Signori del Tempo non sono immortali e sono soggetti alla morte come chiunque altro. Essi possono, però, estendere la loro vita attraverso un processo pseudo-biologico di rinnovamento cellulare chiamato Rigenerazione. In caso di ferite o rischio di morte, l’intero corpo cambia in ogni sua più piccola parte (persino nelle fattezze e nel sesso), guarendo e ringiovanendo le cellule.
La rigenerazione venne introdotta in Doctor Who solo nel 1966. All’epoca William Hartnell, che ritraeva il primo Dottore, lasciò per motivi di salute e si rese necessario trovare un escamotage che potesse permettere alla storia di andare avanti. Il passaggio da una rigenerazione all’altra, quindi, prevede una serie di cambiamenti anche psicologici e caratteriali che rendono il personaggio ancora più interessante. Tuttavia è possibile tracciarne di tratti comuni che ne rendono la coerenza interna.
Una teoria: la rigenerazione come risultato degli eventi
Il processo di rigenerazione non ha mai presentato delle regole specifiche e, anzi, nella serie classica esso si presentava ancora più casuale. Ancora celebre è la rigenerazione di Romana, una Signora del Tempo compagna del quarto Dottore, che si rigenera molte volte mentre nel frattempo prova vari outfit. La scelta fu, come detto, molto criticata perché non mostrava la rigenerazione come l’evento catartico, misterioso ed emozionale alla quale i fan erano abituati.
A partire dal revival della serie in onda dal 2005, Doctor Who ha cercato di dare una sorta di continuità alla rigenerazione, stabilendo delle caratteristiche più precise. Da allora la rigenerazione è sempre stata trattata come un evento fondamentale nella vita del Dottore, una non-morte che “sembra come morire” e cambia tutte le carte in tavola: personalità, sensazioni, persino relazioni. Essa non è più consapevole, ma sempre più subita come fato inevitabile e ineluttabile.
Ma è davvero così? La teoria che sosterremo prevede che ogni rigenerazione non sia affatto casuale, ma anzi sia inconsciamente guidata dal Dottore in base al vissuto della rigenerazione precedente. Cercheremo di spiegarla non solo attraverso gli episodi, ma anche i simbolismi disseminati qua e là dagli sceneggiatori.
Il Nono Dottore – Il reduce di guerra
Il Nono Dottore è colui che dà il via al nuovo Doctor Who del 2005, dopo che gli autori decisero saggiamente di marcare la distanza con la serie classica attraverso lo spartiacque delle Guerre del Tempo. Ci troviamo di fronte a un reduce, un soldato ferito ed arrabbiato affetto da PTSD.
Il Nono è la rigenerazione che più di tutte deve la sua salvezza alla compagna: Rose appare nella sua vita con la sua giovinezza e la sua voglia di vivere, salvando il Dottore non solo letteralmente ma anche psicologicamente. Il Nono passa dalla disperazione del pilota, dalla rabbia di “Dalek”, alla felicità dell’ultimo episodio, dove si rigenera ormai in pace con se stesso e con quello che ha dovuto fare durante la Guerra. La sua rigenerazione è tranquilla, senza drammi, senza rimpianti. Il Dottore ha riacquistato la fiducia in se stesso e nel suo operato, riconoscendo l’importanza della sua compagna.
Rose, prima di andarmene, volevo solo dirti che sei stata fantastica. Assolutamente fantastica. E sai una cosa? Lo sono stato anch’io!
E, analizzato il suo trascorso, non è una sorpresa il fatto che decida di rigenerarsi in un Dottore più giovane e felice, innamorato di Rose e in grado di attrarla.
Il Decimo Dottore – L’essere umano che soffre
Il Decimo Dottore è ancora oggi uno dei più amati, non solo per il numero di anni trascorsi in Doctor Who (in totale cinque tra stagioni e speciali vari), ma anche per la sua caratteristica principale: l’umanità. È fuori dubbio che con la sua complessità questo Dottore sia riuscito a mettere d’accordo tutti, empatizzando sia con i pregi che con i difetti dell’essere umano. Come detto, il Decimo “nasce” dalla relazione con Rose e proprio da Rose viene definito durante il suo intero arco vitale: quando è con lei è spensierato, felice, innamorato.
Vale la pena sottolineare come ironicamente questo Dottore abbia vissuto una vita brevissima in termini di rigenerazione, solo tre anni. Sono tre anni intensi, durante i quali perde Rose (due volte, la definitiva la vede in un futuro felice senza di lui), poi si fa davvero umano e soffre ancora una volta, di nuovo gli si pianifica un avvenire che non vivrà mai. Perde Donna per colpa indiretta e allo stesso modo “perde” Martha. Da umano e giovane qual è, questo Dottore è egoista, egoista al punto da rigenerarsi due volte nello stesso corpo. Viaggia costantemente tra il delirio di onnipotenza tipico di una vita giovane e la sofferenza della sua umanità. Eppure non può farne a meno: quando è il tempo di rigenerarsi, reagisce con rabbia verso l’ingiustizia di aver vissuto così poco.
Come sintesi di tutto, la sua rigenerazione è brutale, arrabbiata, solitaria, distruttrice. E il TARDIS, simbolo del passato e della sua identità, esplode.
Non voglio andarmene!
L’Undicesimo Dottore – Il vecchio bambino
L’Undicesimo Dottore nasce simbolicamente tra le fiamme del TARDIS, pronto a lasciarsi dietro il passato fatto di sofferenze. Più volte viene sottolineato come l’Undicesimo sia il Dottore “che dimentica”, come dirà il Momento nello speciale dei 50 anni di Doctor Who, la rigenerazione che ha cercato di omettere il suo passato. Quasi in parallelo la serie cambia tutto: nuovo TARDIS, nuovi compagni di viaggio, addirittura nessun personaggio del ciclo precedente apparirà nel nuovo ciclo, quasi come se la serie stessa avesse deciso partecipare a questa rinascita. L’Undicesimo fa quindi tabula rasa, cercando di ritornare innocente, nuovo, bambino. E in quest’ottica si può capire il suo naturale legame con i bambini, nel tentativo di proteggere loro e il suo fanciullo interiore di pascoliana memoria.
Però, se la parte più candida del Dottore si lega ad Amelia, quella sofferente ancora esiste ed è rintanata nelle aree più inaccessibili del suo animo. E qui si notano le zone d’ombra, quella parte più oscura che il Dottore fatica a trattenere: gli scoppi d’ira più frequenti, il Dreamlord di “La scelta di Amy”. L’Undicesimo è bravo a distrarre se stesso e gli altri con i giochi di prestigio e il caos di cui si contorna, ma è chiaro che in lui c’è molto altro. E quando perde di nuovo la sua nuova famiglia, qualcosa in lui si spezza.
Il Dottore ritorna a vivere solo grazie a Clara, gettando il seme che si trasformerà in un rapporto ingombrante. Intanto, però, l’Undicesimo torna a vivere e soprattutto invecchia. Vale la pena sottolineare che questa è l’unica rigenerazione che sperimenta la vecchiaia, il lento scorrere del tempo nella mente e nel corpo. Così questo eccessivo Dottore conosce la solitudine e fa pace con e stesso e il suo passato. Il discorso finale serve a testimoniarlo: bisogna ricordarsi cosa si è vissuto, ma bisogna andare avanti senza rimorsi.
Bisogna continuare a muoversi, non bisogna però dimenticare tutte le persone che siamo stati prima. E io non dimenticherò mai niente di quello che ho vissuto. Neanche un giorno. Lo giuro. Ricorderò quando il Dottore ero io.
Così la sua rigenerazione è veloce, velocissima, brusca. E si rigenera in un Dottore vecchio, perché è la vecchiaia l’amica che gli ha insegnato così tanto.
Il Dodicesimo Dottore – Il burbero gentile
Il Dodicesimo Dottore è il secondo che si rigenera con una compagna al fianco e, così come il Decimo, si lega eccessivamente a Clara al punto da sviluppare una relazione di co-dipendenza. Clara come Rose ha avuto un ruolo fondamentale, perché è stata quel collegamento con la realtà che il Dottore spesso perde quando è in balia delle sue emozioni più intense.
E proprio il fatto che sia Clara la prima a non riconoscerlo metterà il Dottore in angoscia: questa è la rigenerazione della crisi d’identità. Già dall’inizio il Dottore perde pezzi di sé, aspetto simboleggiato dal fatto di non riuscire a guidare il TARDIS. La riscoperta interna passa attraverso delle domande che pone sia a Clara che a se stesso, fin dal primo episodio: si chiede per la prima volta della sua faccia, si chiede se è un uomo buono, mette in discussione la sua intera esistenza. Il Dodicesimo ha un percorso travagliato ma formativo. Indeciso nella prima stagione, pronto a sperimentare nella seconda, decisivo nella terza, fino ad approdare alla sua vera natura: un professore anziano e saggio che insegna le meraviglie dell’Universo alla sua studentessa. Nel suo viaggio di riscoperta importante è l’incontro con il Master/Missy, che sarà un incontro di mutuo cambiamento e non più uno scontro. Dalla crisi d’identità del primo episodio si arriva al sacrificio sulle parole di “Io sono il Dottore” dell’episodio finale. Una presa di posizione rafforzata dall’incontro con la prima incarnazione nello speciale di Natale.
Ma nel frattempo il Dottore perde Clara, perde Bill, perde Missy: il senso di colpa torna a bussare alla sua porta insieme a quell’identità ingombrante. E insieme all’identità torna l’odio per se stesso, tratto che non l’ha mai abbandonato. Il Dottore spende secoli della sua vita a lottare, a uccidersi e rigenerarsi, a fare i conti con i lutti da lui provocati. Così arrivano la stanchezza e la voglia di morire.
La rigenerazione del Dodicesimo è stanca. Il Dottore è stanco di perdere tutti, di essere un gentile senza ricompensa, di lottare con se stesso. Più che una rigenerazione, è una resa: lascia andare il Dottore perché non può fare altrimenti, con la speranza (non a caso sono le ultime parole di Bill) che tutto possa tornare alle origini, quando tutto era più semplice e felice. E infatti il suo discorso finale è un “back to basics”.
Iniziamo con i fondamentali: non essere mai crudele, non essere mai codardo. Ricorda: odiare è sempre stupido, amare è sempre saggio. Cerca sempre di essere simpatico, ma non mancare mai di essere gentile[…] Ridi forte, corri veloce, sii gentile. Dottore… ora ti lascio andare.
E si rigenera in una donna, perché il Dodicesimo Dottore è quello che più di tutti ha vissuto su di sé l’approccio diverso dell’animo femminile: l’ha visto con Clara, con Bill ma soprattutto con il Master/Missy, nel percorso di redenzione che ha riportato indietro il suo migliore amico, che è sempre stato qualcosa di più.
Il Tredicesimo Dottore – La viaggiatrice distaccata
Il Tredicesimo Dottore è quindi una donna, pronta sì a vivere un’altra rigenerazione ma senza tutto il carico emozionale passato. Il Tredicesimo è un Dottore distaccato soprattutto dal suo passato, distacco simboleggiato dall’allontanamento del TARDIS che più di ogni altra cosa rappresenta la sua identità di Timelord. Si ritorna quindi alle origini: un viaggiatore dello Spazio e del Tempo che mostra ai suoi compagni le bellezze dell’Universo, senza nessuno dei mille nemici della vita passata, senza l’ingombrante presenza del suo titolo. Tutta la fama e la pomposità del Dottore, cresciute nel corso del tempo dal Decimo in poi ed entrate in crisi con il Dodicesimo, con questa incarnazione scompaiono.
La cosa si riflette suoi nuovi compagni che non conoscono nulla del suo passato, della sua importanza nell’Universo, del suo ruolo nel cosmo. Colpito dal vissuto precedente, il Dottore preferisce essere più passivo e defilato, sceglie di osservare la realtà con l’ottica della viaggiatrice non giudicante, lasciando gli eventi avvenire intorno a sé, cercando di intervenire il meno possibile. Lo stesso distacco da se stessa e dalla realtà lo riflette nel rapporto con i compagni, che è più freddo e distaccato del solito. Certo, un “fam” gli scappa comunque perché il Dottore non può frenare a lungo quella che è la sua vera natura, non può impedirsi di provare sensazioni molto umane, compresa l’affezione.
Noi sappiamo, come lo sa il Dottore, che la sua identità è troppo forte e scomoda per essere messa da parte. Così, quando il Master torna a bussare alla sua porta, è tutto il suo passato che ritorna più forte e prepotente di prima. Questa volta persino in maniera più radicale del solito: la storia di Doctor Who viene profondamente scossa e il Dottore viene forzato, ancora una volta, ad affrontare se stesso.
Chissà cosa lascerà questa volta. E, soprattutto, chissà se e come plasmerà la prossima rigenerazione.