Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler su Doctor Who.
Doctor Who è tornato, e stavolta è tornato sul serio. Dopo gli ultimi anni di crisi e diversi passaggi infelici sotto la gestione di Chris Chibnall, il passaggio a Disney col ritorno in cabina di regia dello storico showrunner dell’era moderna, Russell T Davies, ha “rigenerato” una delle serie più importanti di sempre. Possiamo dirlo oggi, a pochi giorni dalla conclusione della stagione che ha inaugurato il nuovo corso, ma possiamo dirlo ancora di più in prospettiva. I problemi, infatti, non sono mancati e il pubblico non ha apprezzato in toto le scelte fatte, ma è evidente che Doctor Who abbia tutto, ora, per affacciarsi alla serialità contemporanea con una credibilità ritrovata.
Non era scontato, affatto: Doctor Who sembrava essere ormai ingabbiata in un misero loop di mediocrità, senza mai affondare davvero ma non trovando più le chiavi per intercettare le esigenze di un pubblico in continuo rinnovamento. La gestione di Chibnall, audace ma fin troppo confusionaria, combinata con la scelta non troppo azzeccata di Jodie Whittaker, una grande attrice al posto e al momento sbagliato, avevano messo in discussione fortemente il futuro della serie, arrivata a un passo dall’oblio. Doctor Who, d’altronde, portava con sé da tempo le conseguenze di un mesto declino, dopo i fasti delle gestioni precedenti e dei Dottori interpretati da David Tennant e Matt Smith: la soluzione, in quel momento, era passata attraverso una rottura sostanziale col passato, portando a scelte divisive e a un rispetto del canon non sempre impeccabile, in nome di una spettacolarizzazione degli eventi spesso fine a sé.
Si spiega così il ritorno di Russell T Davies, l’uomo che più di ogni altro ha caratterizzato la seconda era di Doctor Who dopo lo storico capitolo conclusosi nel 1989.
Un uomo che conosce Doctor Who meglio di chiunque altro, e che ha il merito indubbio di aver portato una serie che sembrava morta e sepolta nell’età moderna (2005-2010). Fisiologico, allora, che si sia pensato a lui per traghettare la serie dall’era moderna a quella contemporanea, attraverso una restaurazione che si è combinata con una rivoluzione. Un occhio al passato e uno al futuro, senza mai dimenticare quanto di buono si è fatto negli ultimi diciannove anni: il mix, dall’equilibrio finora instabile, ha retto l’impatto e ci ha regalato alcuni tra i momenti più belli del New Who, dimostrando quanto questa straordinaria abbia ancora tanto da raccontare pur avendo 61 anni di vita alle spalle.
Cosa è cambiato, allora? Cosa ha funzionato davvero nella nuova stagione di Doctor Who? E cosa non ha funzionato, invece? Approfondiamo meglio la questione.
Tutto nasce da una premessa: quella che abbiamo visto nelle ultime settimane non è la quattordicesima stagione di Doctor Who, bensì un reboot. La sfumatura è sottile, visto che la serie tende ciclicamente al concetto di “rigenerazione” per natura, ma sostanziale: l’intento, chiaro fin dal primissimi minuti, è l’assecondamento del fandom storico, coccolato con innumerevoli riferimenti alle stagioni passate, ma soprattutto la ricerca di un pubblico nuovo. Un pubblico più giovane con un target d’età sensibilmente più basso, accompagnato per mano alla scoperta di una serie storica attraverso una struttura che ha tutti i crismi di un vera e propria stagione d’apertura. Tutto ciò, con un protagonista fortemente riconoscibile dal pubblico under 30 (ci arriveremo), e con una narrazione dalle caratteristiche più dinamiche rispetto agli ultimi anni.
Il passaggio è stato netto, ma graduale.
Molto intelligente è stata, in tal senso, la scelta di accompagnare la transizione dalla gestione Chibnall a quella Davies attraverso il volto più riconoscibile della serie, David Tennant. Un attore straordinario che ha costruito parte delle sue fortune sulla fenomenale interpretazione del Decimo Dottore, e che ha offerto una nuova spinta mediatica alla serie con un ritorno che non ha mai avuto il sapore agrodolce dell’operazione nostalgia. I due special che l’hanno visto protagonista, infatti, rappresentano un ritorno al futuro nel quale si è guardato al presente nella stessa misura in cui si è strizzato l’occhio ai bei tempi andati, garantendo così un ritorno a casa di parte del fandom che aveva abbandonato la serie nelle ultime annate.
Il ritorno al futuro ha così schiuso le porte per la nuova stagione, poggiata in gran parte sulle spalle di Ncuti Gatwa. Il talentuoso attore britannico, già ammirato in Sex Education, ha dato vita a un Dottore molto diverso rispetto ai predecessori. La sua interpretazione, carismatica e ricca di personalità, ha offerto una dimensione nuova al personaggio, più emotiva e “umana”, carica di sensualità e fluidità. Un passaggio coraggioso, ma ben calibrato: il nuovo Dottore è figlio di una scelta narrativa strutturata e coerente col tenore che la serie ha sempre avuto, valorizzando una capacità inclusiva che Doctor Who ha nel Dna, fin dagli anni Sessanta. Gatwa ha il merito gigantesco di aver fatto suo il personaggio fin dal primo momento, cucendolo sulle sue caratteristiche senza mai andare fuori dai canoni di un character che ha segnato fortemente la storia delle serie tv.
Altrettanto azzeccata la scelta della companion, finalmente appropriata dopo anni di personaggi impalpabili.
MIllie Gibson ha bucato lo schermo, esaltando tutto il potenziale della sua Ruby Sunday. Anche qua, non era scontato: il ruolo della companion, una co-protagonista a tutti gli effetti, era stato sminuito parecchio nel corso delle ultime stagioni, e rappresenta uno dei fulcri centrali di Doctor Who. Davies lo sa bene, e per questo ha scommesso sulle qualità di un’attrice che farà parlare parecchio di sé nei prossimi anni: la parabola del suo personaggio, drammatica ma carica di speranza, ha caratterizzato fortemente la stagione.
La risoluzione finale del mistero legato alle sue origini non ha appagato parte del fandom, sentitosi “fregato” dalla trasformazione della sottotrama in un elemento quasi associabile a un MacGuffin, ma la spiegazione offerta a corredo dal Dottore dovrebbe essere più sufficiente per motivare al meglio la natura di un passaggio narrativo del genere. Il suo arco, oltretutto, non si concluderà col finale di stagione andato in onda negli scorsi giorni (e da noi recensito così): dopo alcune esitazioni iniziali, infatti, Millie Gibson è stata confermata per la prossima stagione. Una grande notizia: il suo personaggio ha tutto per diventare una delle companion migliori di sempre.
Non sono mancati, però, i problemi.
Al di là del passaggio legato alla tram a di Ruby, alcuni episodi non sono stati apprezzati granché dal fandom storico della serie: il finale di stagione, in particolare, è stato criticato (anche da noi) per la tendenza alla risoluzione semplicistica del conflitto con un villain storico della serie, il redivivo “Dio della Morte”, e per alcune forzature intraviste qua e là nel doppio episodio. La sostanza dell’analisi globale, però, resta. Se da un lato permane un certo scetticismo da parte di una sezione del fandom, ancora scottato dalle gestioni precedenti, dall’altra è innegabile il cambio di passo che ha segnato la nuova stagione di Doctor Who, tornata finalmente a far parlare di sé.
Le ambizioni sono rinnovate e le premesse per risolvere le principali criticità della stagione ci sono tutte. A patto che il pubblico si approcci alla serie con la necessaria dose di pazienza, dote troppo spesso assente tra gli spettatori contemporanei. Doctor Who, d’altronde, è in onda tra alti e bassi dal lontano 1963, e ha vissuto tanti passaggi fallimentari almeno quanti sono stati i suoi trionfi. La storia della serie sembra rispecchiare, per certi versi, quella del suo protagonista carismatico, passato attraverso la gloria e le cadute coi tratti di chi attraversa la storia e ne è allo stesso tempo una vittima.
Alcuni tra i commenti letti nelle ultime ore sono poco incoraggianti. Cosa sarebbe successo se si fosse fatto altrettanto nel 2005, quando la prima stagione del New Who non fu all’altezza delle aspettative? Sarebbe stato giusto focalizzare l’attenzione sui limiti, senza intravedere il potenziale offerto? No, senza alcun dubbio.
Così dovrebbe valere oggi: diamo tempo alla nuova Doctor Who, perché stavolta l’ha meritato sul serio.
Facciamolo davvero: la dimostrazione di vitalità offerta dovrebbe essere sufficiente per meritare ulteriore credito e non buttare tutto al vento. Vogliamo crederci, allora. Questa incredibile storia, in fondo, è anche un atto di fede. E non basteranno alcuni episodi negativi per svalutare quanto di buono si è fatto. Bentornato tra noi, allora: ci eri mancato.
Antonio Casu