Doctor Who è una delle serie tv più longeve di sempre e il merito di ciò va al costante rinnovamento di personaggi e storie operato dagli showrunner, pur cercando comunque di mantenere i contatti con la sua tradizione e la sua storia. Però, se il passaggio da Russell T Davies a Steven Moffat ha funzionato alla grande, quello tra quest’ultimo e Chris Chibnall… non proprio. Certo, ha avuto molto coraggio nello scegliere il primo Dottore donna nella storia – e Jodie Whittaker, bene o male, ha fatto un buon lavoro con Thirteen – o a inserire la rivelazione sul Bambino senza tempo, dando uno scossone brutale all’origine del nostro gallyfreiano preferito, o ancora a non considerare i nemici storici del Dottore, provando a crearne di nuovi. Al netto di questo, però, c’è veramente molto di rivedibile.
La riduzione degli episodi, che nella tredicesima sono stati addirittura solo 6, non ha aiutato una scrittura già di per sé blanda, che tratta sì di tematiche importanti (dal riscaldamento globale alla salute mentale, passando per razzismo, inquinamento e sfruttamento lavorativo) ma lo fa in maniera goffa, noiosa o estremamente retorica. Sì, stiamo pensando tutti a Orphan 55, un concetto geniale sviluppato malissimo, diventando un’autentica occasione sprecata. Thirteen è stato a lungo un mistero, senza quella caratteristica tipica che lo facesse emergere come Dottore, apparendo più passivo e meno accessibile. I companion non erano per niente approfonditi, tanto che sembravano vivere solo per dare al Dottore un senso di appartenenza, e ci importava poco di loro Così, è venuta meno una delle anime di Doctor Who, ciò che Davis aveva reso centrale già dal 2005: la relazione tra Dottore e companion.
E il TARDIS? Ridotto a banale mezzo di trasporto senza cuore. Ci sono mancati persino i nemici storici e, soprattutto, l’aria di casa di Doctor Who. E ora, dopo il fallimento di Chibnall, la serie tv è a un bivio fondamentale.
È la sua ultima chance e, infatti, non è un caso che sia stato richiamato Russel T. Davies a risollevarne le sorti. Colui che Chibnall ha tentato inutilmente di emulare; colui che già salvò la serie riportandola in vita nel 2005. L’unico tra gli showrunner a trovare l’equilibrio perfetto tra umorismo e commedia, tragedia e gioia, azione e avventura, storia e dramma; a essere adatto per grandi, per piccoli, per tutte le età. Infatti, Moffat a tratti divenne troppo complesso per i giovanissimi; Chibnall optò per storie più semplici e banali, per poi inserire riferimenti che solo i fan della serie originale degli anni 80 potevano capire, eliminando così una grande fetta di pubblico. Davies, poi, ha sempre saputo come emozionarci o forse ci siamo dimenticati di Bad Wolf e del suo ritorno? Impossibile. I nostri cuori sono ancora spezzati.
Già l’annuncio del ritorno di Davies alla guida di Doctor Who ha riacceso la speranza e riportato l’attenzione verso una serie tv ormai ombra di sé e che stava lentamente cadendo nel dimenticatoio, anche a causa di una pubblicità non all’altezza e di una programmazione irregolare. I social vennero invasi da Doctor Who come non lo erano da parecchio tempo, grazie al susseguirsi di notizie bomba, come il suo acquisto da parte della Disney che, non solo distribuirà la serie fuori dal Regno Unito e dall’Irlanda, ma ha un capitale da cui attingere ben maggiore rispetto alla BBC, sia in termini di denaro che di utenti. I casting, poi, hanno fatto esplodere il web, soprattutto per il sessantesimo anniversario dello show: ad esempio, Neil Patrick Harris ha tutta l’aria di essere uno di quei classici villain che tanto amiamo, oltre a essere un’ottima mossa per accaparrarsi il pubblico americano e internazionale, data la fama dell’attore; il ritorno di David Tennant e di Catherine Tate ci ha letteralmente fatto urlare di gioia. Se ci pensiamo, sono due mosse che celebrano la serie classica e quella nuova, permettendo la riconquista del pubblico più “anziano” dello show. Ma Davies ha guardato anche al futuro, dando il ruolo di protagonista a un attore giovane, nuovo e amato come Ncuti Gatwa.
Ecco che ogni epoca di Doctor Who verrà onorata, il che è perfetto per un anniversario, ma è anche ottimo per introdurre la nuova stagione e rendere lo spettacolo nuovamente accessibile a tutti.
Parlando proprio di Gatwa, lo stesso Davies rivelò alla BBC che, nonostante avesse già in mente chi scegliere, l’attore ha fatto un’audizione folgorante, rubando la scena in pochi secondo e facendo esclamare allo showrunner:
“Il futuro è qui, ed è Ncuti!”
Già avevamo visto il suo talento poliedrico in Sex Education, tanto che per tantissimi fan lui ne è la parte migliore. Nel suo Eric è riuscito a coglierne l’umorismo spavaldo, l’arguzia sottile, la sua sensibilità profonda, le sue emozioni; insomma, ogni possibile sfumatura del suo personaggio. Ncuti ha una grande presenza sullo schermo (cosa fondamentale per essere il Dottore), una gamma emotiva enorme, carisma e ironia da vendere. Attrae il pubblico più giovane e dei social, svecchiando una serie che, magari, non avevano nemmeno mai sentito nominare; le sue caratteristiche fisiche, di orientamento, psicologiche e attoriali lo rendono un Dottore che mai avevamo visto, permettendo così di dare una nuova profondità a un personaggio così vasto, complesso e di cui sembra sia già stato detto tutto.
C’è anche un ultimo aspetto da considerare nell’ottimo casting di Gatwa, anche se non sappiamo se o quanto sia voluto.
Le rigenerazioni del Dottore non paiono casuali, ma guidate da fattori quale, ad esempio, il senso di colpa. Nine, superando il suo trauma grazie a Rose, è diventato in Ten una figura più romantica, attraente e di cui lei si innamora subito. Il suo vivere troppo a lungo, però, lo trasforma in una persona egoista, egocentrica e con un leggero senso di onnipotenza. Così Eleven, pur mantenendo la gioventù e il bell’aspetto, inizia ad avvertire la sua età secolare. Ma comprende l’effetto che ha sulle donne, soprattutto con Clara; allora in Twelve evita tutto ciò che riguarda Ten ed Eleven, diventando più vecchio, meno umano e totalmente concentrato sul suo lavoro. Era un “pazzo con una scatola” e a lui andava bene. Tra le sue missioni, c’era la riabilitazione del Maestro, adesso Missy. Rigenerandosi prima di sapere se l’avesse compiuta, non sorprende che sia diventato con Thirteen tutto quello che voleva che Missy fosse: una gentile Timelord, che ha smesso di essere malvagia e si è dedicata alla protezione di chi ne aveva bisogno.
Thirteen è stato un Dottore incerto su di sé e le sue origini e l’unica a dargli risposte e sostegno è stato il Fugitive Doctor di Jo Martin. Era geniale, brillante, sicuro di sé, sapeva quando agire e quando tirarsi indietro e, cosa più importante, era in grado di superare le conseguenze delle sue azioni in un modo in cui il personaggio di Whitaker non avrebbe mai potuto. Data la sua importanza per Thirteen, Fourtheen potrebbe esserne il risultato. O forse siamo noi a essere affascinati da questo possibile collegamento? In ogni caso, possiamo immaginarci un Dottore tagliente, a volte brutale, capace di accettare le conseguenze delle sue azioni se è per una causa più grande – come il Fugitive, che speriamo di rivedere prima o poi, o Twelve – ma con più energia di Thirteen. Potrebbe ereditare qualcosa anche da Ten ed Eleven, soprattutto in termini di compassione ed energia data l’età, trasformandosi in qualcosa di totalmente nuovo, ma comunque familiare.
Però queste, probabilmente, sono solo delle nostre supposizioni. Doctor Who, adesso, ha tutti gli elementi per sfruttare al meglio la sua ultima chance, o le conseguenze potrebbero essere letali. Non resta, allora, che aspettare e sperare che Davies faccia il miracolo. Ancora una volta.