È il 22 giugno del 1983 quando a Roma si perdono le tracce della quindicenne Emanuela Orlandi, che da quel giorno diviene la protagonista di uno dei casi di cronaca più tristemente noti della storia italiana. Un caso che si può definire anche internazionale, essendo Emanuela una cittadina vaticana. Sono passati ormai quarant’anni dalla sparizione della ragazza, quarant’anni durante i quali la sua famiglia non ha smesso di sperare e di cercare tracce, storie, indizi che possano nel migliore dei casi riportare Emanuela a casa, nel peggiore permettere di conoscere la sua sorte e di darle un degno luogo di riposo. Di tracce, storie e indizi ce ne sono stati tanti in questi quattro decenni, alcuni più altri meno credibili e realistici, tutti sicuramente tasselli di una storia molto più complessa e intricata di quanto si potesse immaginare al momento della scomparsa. Una storia che la docuserie Vatican Girl: la scomparsa di Emanuela Orlandi ha cercato di racchiudere in un racconto di tre puntate, non sempre semplice da guardare ma sicuramente necessario.
La complessità di una storia vera
La forza di un documentario come Vatican Girl sta prevalentemente nel modo in cui si è deciso di raccontare la storia narrata: per la maggior parte del tempo a parlare sono persone che in un modo o nell’altro hanno avuto un ruolo nella vita o nella scomparsa di Emanuela. I resoconti della storia e le brevi ricostruzioni video sono solo un accompagnamento alle loro voci. C’è prima di tutto la famiglia Orlandi con Maria, la madre di Emanuela, le sue sorelle e Pietro, quel fratello che ha fatto della ricerca della giovane e di tante altre persone scomparse in altri luoghi e tempi la sua ragione di vita. Ci sono poi avvocati, giornalisti e coloro che a diversi livelli e in diversi momenti hanno indagato su un caso del quale non si sa ancora abbastanza. Ma ci sono anche – e questa è la differenza rispetto a tante altre docuserie – le testimonianze di persone che negli anni sono state legate alla scomparsa di Emanuela: Marco Accetti, che si è autoaccusato del suo sequestro e di quello di Mirella Gregori avvenuto pochi mesi prima, e Sabrina Minardi, la cui testimonianza ad oggi è vista come la più attendibile pur essendo in alcuni punti problematica.
Del caso Orlandi si sa ancora troppo poco. L’unica vera consapevolezza è che non si sia trattato di un allontanamento volontario ma di un sequestro in piena regola. Quanto alle motivazioni, invece, le certezze sono poche o nulle. Vatican Girl ne fa un resoconto dettagliato e approfondito, senza però chiaramente poterne trarre delle verità assolute. Le opzioni che si sono susseguite negli ultimi quarant’anni sono tante, una più intricata dell’altra, e includono soggetti nazionali e internazionali. Tra questi la banda della Magliana – la più importante organizzazione criminale del Lazio – i servizi segreti sovietici, l’attentatore di Giovanni Paolo II Ali AÄŸca, lo stesso Papa con i presunti finanziamenti all’organizzazione cattolica e anticomunista Solidarność, e il Vaticano nel tentativo di insabbiare la questione pedofilia. Ma quali che siano stati gli attori che davvero hanno avuto un ruolo nel caso Orlandi, questi hanno oggi di sicuro dalla loro parte un grande alleato: il tempo.
Il tempo è stato dalla parte dei colpevoli fin dal primo momento
Quando Emanuela non è tornata a casa e la sua famiglia ha tentato di denunciarne la scomparsa, le è stato risposto che sarebbero dovuti tornare il giorno dopo perché era ancora troppo presto, e si sarebbe potuto trattare di un allontanamento volontario. A poco è valso ribadire che Emanuela aveva appena quindici anni e nessun motivo per sparire nel nulla, quella era la prassi e le prime ore sono passate – o meglio state perse – così. Poi c’è stato il tempo di attesa tra una chiamata e l’altra dei rapitori, o anche quello perso seguendo le piste sbagliate. Tanto, troppo tempo sprecato o speso male, che ha aiutato ad aumentare la distanza tra Emanuela e la sua famiglia, e tra il momento della sua scomparsa e oggi.
Sono passati quarant’anni da quando si sono perse le tracce di Emanuela Orlandi, un’adolescente che oggi sarebbe una donna adulta. Quarant’anni di dubbi, di domande poste e di risposte mai date, di insabbiamenti e di verità non dette. Un tempo lungo, lunghissimo, che sembra quasi infinito e che diventa ogni giorno di più il miglior alleato di chi le verità vuole continuare a tenerle nascoste. Il tempo passato ci ha donato tecnologie con le quali forse ritrovare Emanuela sarebbe stato più semplice, ma contemporaneamente ha permesso a uno spesso strato di polvere di frapporsi tra i possibili indizi e la nostra capacità di vederli o percepirli come tali, regalando a chi Emanuela l’ha portata via la possibilità di restare nell’ombra. Le emozioni a caldo si sono mitigate e la vita dell’opinione pubblica – in un primo momento estremamente scossa dal caso – pian piano è tornata quella di prima. Il padre Ercole ormai non c’è più e gli stessi quarant’anni sono passati anche per tutti coloro che hanno amato Emanuela e che conservano un ricordo della bellezza del suo sorriso o del suono della sua voce. Il futuro non farà altro che allontanare Emanuela dal presente, a meno che noi non ci impegniamo per fare in modo che ciò non avvenga.
Vatican Girl è il ricordo di cui Emanuela ha bisogno
Se c’è un antidoto al veleno del tempo che passa e che spazza via dalla memoria i contorni del viso di una giovane donna, questo è sicuramente il ricordo. Continuare a mantenere viva la memoria di chi è stata Emanuela, della vita che ha vissuto e di quella che avrebbe voluto avere prima che le fosse strappata dalle mani è un compito che qualcuno dovrà continuare a portare avanti anche quando i familiari e gli amici della ragazza non potranno più farlo. In questo senso Vatican Girl si pone come uno strumento fondamentale, essendo un racconto capace di dare una visione d’insieme di ciò che fino ad oggi si sa del caso ma contemporaneamente di sottolineare l’umanità di chi di questo caso è la vittima.
È proprio per questo motivo che l’importanza di Vatican Girl – così come di prodotti che seguendo la sua stessa scia fanno luce su altri casi irrisolti – è così grande. Un documentario forse non potrà decretare chi sono i colpevoli in una vicenda nella quale troppe persone si sono impegnate a nascondere informazioni che sarebbero state fondamentali. Quello che però può fare è ricordarci l’esistenza stessa di un fatto che a distanza di tanto tempo rischia di perdersi nei meandri della memoria collettiva, facendo tornare più nitidi i lineamenti di un volto che non può essere dimenticato.