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Chi è Dostoevskij? La colpa che nessun padre dovrebbe sopportare

Enzo Vitello e sua figlia Ambra in riva al mare (Sky Original)
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Ci porteremo ancora a lungo il senso di incommensurabile vuoto e repulsione con cui ci ha investiti sin dall’inizio Dostoevskij, la prima opera seriale dei fratelli D’Innocenzo per Sky. Per tutti e sei gli episodi, attraversiamo strade impervie e acque oscure, inseriti in un alone di inquietudine e ribrezzo senza precedenti. C’è della pregnante arte cinematografica in questo prodotto per il piccolo schermo. Nulla è lasciato al caso e tutte le riprese più statiche e silenziose, comunicano molto più di mille parole. Dostoevskij indossa di fatto la maschera di un thriller poliziesco sui generis, che però ci vuole raccontare tutt’altro. Pertanto la ricerca di una serial killer (ecco a voi 10 serie tv sui serial killer) di provincia che si portava sulle spalle un difficile passato in orfanotrofio e una grottesca attitudine, diventerà l’ultima ragione di vita di Enzo Vitello.

Parliamo di un poliziotto al limite della sociopatia e dell’apatia più abnegante. Un individuo che si è trovato a contaminare nel tempo la sua stessa natura umana e che ad oggi non ha più nessuna voglia di difenderla. È taciturno, scorbutico, burbero e autoritario. Tuttavia i suoi uomini non lo ascoltano più in quanto ha smesso di essere un esempio professionale. L’unico ad avere a cuore la sua condizione è il suo capo Antonio, nonché unico e reciproco amico in quell’esistenza tanto arida e affannosa. Ma Enzo non sente nulla da un po’ ed è convinto di non avere più bisogno di nessuno. Vuole soltanto rivelare da sé l’identità del folle Dostoevskij per scoprire chi è colui che impugna quella penna e partorisce i macabri e illuminati pensieri accanto ad ogni sua ecatombe.

Enzo Vitello, protagonista di  Dostoevskij
credits: Sky Italia

Perché in Dostoevskij abbiamo a che fare con un assassino-scrittore

Siamo di fronte a un cultore dell’arte più sublime e nobile, propria dell’essere umano e di nessun altro. E che in realtà si tratti di una psicopatica come Patrizia Piscopo, pupilla di un visionario insegnante di letteratura del suo istituto, non ci deve importare più di tanto. È la smania di Enzo nel leggerle, interiorizzarle, ricopiarle e appenderle intorno al suo letto nella sua decadente casa di campagna, a doverci interessare. Andando avanti con il racconto, capiamo infatti che lui riuscirà ad avvicinarsi sempre di più alla sua preda perché la sente incredibilmente vicina al suo stato esistenziale. Non è un caso che all’inizio del primo episodio lo vediamo mentre scrive una lettera d’addio simile a quelle dell’omicida, prima di suicidarsi con le sue innumerevoli pastiglie.

Eh sì, di quelle ne prendeva tante purtroppo. Lo conosciamo infatti che, dopo lavoro, beve birra e tende a “farsi” senza motivo, divertimento o compagnia. Ma sarà solo verso la fine che assorbiremo la tragica verità che riguarda lui e l’altra controparte femminile di Dostoevskij. Si racconta di Ambra, una ragazzina che vive la sua prima adolescenza senza una madre né un padre, bensì alla mercé di zingari, droghe, abusi e finte amiche.

ll padre in realtà esiste, ma l’ha abbandonata quando era ancora piccola. Soltanto quando beve o prende le sue medicine, per l’appunto, la chiama per sapere come sta. Per sapere se è ancora viva. Ambra quindi è la figlia di Enzo, (qui trovate 10 film sul rapporto padre-figlia) nonché fragile vittima di questa storia e di tutte le altre che raccontano la stessa atrocità. Per questo motivo, tocca andare un po’ cauti e cercare di analizzare la vicenda da un duplice punto di vista.

È infatti fuori discussione che nessun genitore voglia fare del male ai propri figli

Tuttavia c’è una variabile che spesso viene ampiamente demonizzata. Non è soltanto Dostoevskij-Patrizia ad avere seri problemi mentali. Anche Enzo è nato con una croce di cui non si libererà probabilmente mai se non recidendo la sua stessa vita. Detto ciò, stiamo davvero parlando di attenuanti che vanno a giustificare le intenzioni o le azioni più discutibili in assoluto?! Assolutamente no. Né ora né mai. Però va detto che questi in nessun’altra vita sarebbe voluto essere una persona così, un padre così, un mostro così. Egli conviveva con il terrore di se stesso e con il potenziale rischio di finire per soddisfare le sue più peccaminose pulsioni, dal momento che Ambra è venuta al mondo.

Il ripugnante agente Enzo Vitello, aveva abbandonato la figlia Ambra perché desiderava il suo corpo piccolo, la sua voglia, i suoi gemiti di piacere o forse dolore, il suo sguardo inerme e innocente. Queste esatte parole, gridate così tutte d’un fiato , risuonavano nella testa di quell’uomo sfinito dalla sua mente e dal destino infame. Tutto il resto si commenta da solo, però un breve tributo verso di lui è doveroso. Quanto deve essere dissacrante e insostenibile portarsi dentro un segreto così marcio, una consapevolezza così vergognosa e disagevole! Non può essere facile condurre un’esistenza sapendo che qualsiasi fine faccia la propria figlia sarebbe sempre meglio di starle accanto. Niente può andare peggio di così se ci pensiamo. E solo chi c’è passato potrebbe capire cosa sentisse costantemente Enzo e cosa abbia provato Ambra, quando suo padre le ha dovuto ammettere il motivo della sua sparizione.

Enzo e la figlia Ambra in Dostoevskij
credits: Sky Italia

Già la piccola aveva sofferto l’abbandono

Tuttavia infinitesimale deve essere stato il suo profondo rammarico per l’unica agghiacciante risposta alle sue annose domande. A questo proposito Dostoevskij prepara il suo pubblico sin dall’inizio a non cascare nella spirale senza fine del giudizio becero e distruttivo. Di fatto, a parte la stucchevole reazione di chi assiste al quarto episodio e le argute connessioni con situazioni precedenti, non possiamo fare altro. Riguardo a queste ultime, antitetiche e impattanti sono le scene in cui padre e figlia si ritrovano insieme. Mi riferisco a quella della colazione, della vasca di palline al luna park e infine, a quando la giovane coppia che prenderà la casa di Enzo, gli chiederà un nome femminile per una loro ipotetica figlia. A lui brilleranno gli occhi a quel punto. E il suo pensiero lo farà ricadere per un attimo alla sua inerme Ambra, nei deplorevoli termini che col senno del poi, possiamo ben immaginare…

Pertanto noi, proprio per non comportarci da giustizieri, finiremo per apprezzare la sua propensione all’auto-punizione. Speriamo così che non riprenda mai a sorridere e che Ambra non lo perdoni mai più. Ci convinciamo che la caccia a Dostoevskij sia il sentiero verso la sua morte! Impariamo poi a credere che i colori freddi e opachi intorno a lui torneranno luminosi dopo la sua scomparsa. Tuttavia, arriva concitato la fine della sua corsa all’assassino e nonostante si dimostri anche feroce seminando qualche morto qua e là, è proprio sulla conclusione che rinneghiamo tutto e speriamo che si salvi.

Controverso è dunque i legame che istauriamo con Enzo lungo tutta Dostoevskij

Ed è proprio nel faccia a faccia di questi con Patrizia che capiamo chi è il vero e unico antagonista di tutto il delicatissimo capolavoro. Lui nel torturare e vedere Dostoevskij morire ha visto la sua stessa anima fuggire via dal corpo, diretta ad un inferno privo di redenzione. Dimostrerà a se stesso di non aver mai avuto il coraggio di farla finita (qui per voi le più scioccanti morti delle serie tv) da solo! Piuttosto si sarebbe dovuto servire sin dall’inizio di una controfigura con un lato oscuro all’altezza del suo.

Voleva soltanto fare un’uscita di scena “a effetto”, attraverso una sua cruenta catarsi. Una morte in cambio di un’anima rinnovata che però nessuno avrebbe mai conosciuto. Enzo infatti, da lì in avanti voleva soltanto sentirsi privo dei sensi di colpa che lo schiacciavano ogni volta che stava a contatto con le persone a cui voleva bene. Doveva farsi credere finito, lontano e mai più vivo. Anche se forse non aveva mai saputo discernere davvero il bene dal male. Quindi chi è Dostoevskij, alla fine di tutto? Di certo non un orfana ormai adulta che si divertiva a recitare la parte di un Terrifier travestito da poeta maledetto!

una scena di Dostoevskij
credits: Sky Italia

Ad ogni foglio inciso con quelle poesie sangue, Enzo si sentiva sempre più vicino alla sua rivalsa

Sapeva che lui in fondo, avrebbe fatto anche di peggio e neanche per un istante aveva avuto paura del demonio della città. Così, nell’arena sospesa nel tempo e nello spazio in cui si articolano i flemmatici e grandangolari episodi, l’assassino porta lo stesso nome del protagonista. Mentre il cattivo non fa altro che diventare il suo capro espiatorio.

Preziosa è pertanto la cura ai dettagli, alle pochissime ma efficaci parole dei personaggi e all’idea madre da cui si è eretto il muro del pianto che è Dostoevskij. Tuttavia noi decidiamo di non versare lacrime. Vogliamo assaporare l’amaro in gola ed elevare il nostro spirito a temi tanto forti, per risvegliarci dal torpore dei nostri tempi. L’orrido esiste e va elaborato come il lutto (a tal proposito, 5 serie per elaborare il lutto). Non tutto è giusto, accettabile e bello. Ed Enzo ha voluto raccontare che non sempre la vita fa meno male della morte.