Il destino di una serie tv è assai vario. Ce ne sono alcune che finiscono troppo presto mentre altre, a causa di una prematura cancellazione, non riescono a giocarsi la chance di esprimere tutto il loro potenziale. Infine altre si trascinano troppo a lungo. Ci sono poi quelle rare eccezioni in cui una serie finisce nel momento giusto, lasciando ai fan un senso di completezza. Downton Abbey rientra esattamente in quest’ultima categoria.
A nostro avviso, l’ultima puntata della sesta stagione, andata in onda il 28 febbraio 2016, aveva concluso la serie nel migliore dei modi possibili, festeggiando l’arrivo del 1926 insieme ai membri della famiglia Crawley e a tutti i servitori. Il senso di grande famiglia e la ricercatezza degli abiti, oltre al lieto epilogo degli eventi, sono stati il degno finale di una serie decisamente di alto livello per costumi, cast, trama e recitazione.
Proprio questa completezza del finale di stagione aveva lasciato nei fan (specie i più creativi), più che un rammarico, una vera e propria nostalgia di quel clima che solo i Crawley e tutto lo staff di Downton Abbey era riuscito a dare. Per questo motivo, il produttore Gareth Neame ha deciso, nel 2018, di fare un regalo al pubblico di Downton Abbey dando vita a un film tratto dalla serie e che in questi giorni è in proiezione nelle principali sale italiane.
Il film non aggiunge assolutamente nulla alla storia, che di per sé si conclude con l’ultima puntata della sesta stagione. Questo film è da considerarsi niente più che un omaggio dei produttori per tutti quei nostalgici di una serie tanto semplice nello svolgimento della trama quanto coinvolgente per la vicinanza delle problematiche familiari dei Crawley.
Attraverso l’ottica di una famiglia nobiliare, Downton Abbey ci fa vedere problemi non diversi da quelli di altre famiglie comuni. Uno spaccato della società inglese di inizio ‘900 è l’occasione per raggruppare più elementi in un’unica serie: storia, società e soap opera sono infatti ben calibrate.
Il classismo dell’epoca viene affrontato da una prospettiva non dispregiativa, con l’intento di raccontare, da un punto di vista storico, la condizione sociale di inizio ‘900, ma anche mostrare i cambiamenti radicali che avanzavano in quegli anni andando a intaccare proprio quell’ordine sociale che caratterizza in apparenza la nobiltà descritta in Downton Abbey.
In questo senso, il film non è una mera soap opera in costume, come potrebbe invece apparire a chi non ha seguito la serie, ma un omaggio a quella verosimile testimonianza storica e un rafforzamento del messaggio passato nel corso delle sei stagioni. D’altronde, anche per questo ai fan è mancata la serie (come spieghiamo qui).
La visita dei reali d’Inghilterra a Downton è l’occasione per offrire un focus sociale su un momento a cavallo tra le due guerre (1926), durante il quale è forte l’aria di rinnovamento. Il classismo inizia a vacillare, tanto che nel finale del film Violet (Maggie Smith) anticipa l’idea della decadenza sociale della nobiltà al giorno d’oggi.
Ancora, Thomas Barrow (Rob James-Collier) è il personaggio che ci mostra l’arretratezza della società di allora in merito ai diritti civili LGBT.
Questo, implicitamente, porta a una riflessione sul valore delle conquiste odierne e sull’importanza di difendere determinati diritti. Infine, il discorso di lady Mary (Michelle Dockery) sul futuro di Downton altro non è che l’idea che accompagna oggi il senso della monarchia inglese. Una testimonianza storica di un mondo, quello regale, che pur non essendo più attuale funge da collante tra passato e presente per la memoria del popolo inglese.
In generale, tenere viva la memoria storica è il modo per educare le generazioni future. Imparare dagli errori e ripartire dalle conquiste scientifiche e, soprattutto, civili è la via prospettata da Downton Abbey per lasciare qualcosa a chi ci sarà dopo. In questo, forse, consiste l’insegnamento di una serie come Downton Abbey che, dietro l’apparente semplicità del period drama, nasconde un valore civile molto forte.