“Men, Men, Men, Manly Men…”, principalmente, essenzialmente uomini, per la precisione Due Uomini e Mezzo (disponibile in streaming su Prime Video). L’accattivante sigla della sitcom dichiara da subito il proprio punto di vista mascherato da prodotto mainstream. Il successo della serie ideata da Chuck Lorre e Lee Aronsohn è immediato. Gli ingredienti ci sono tutti in Due Uomini e Mezzo. La chimica del cast è al primo posto. Charlie Harper (Charlie Sheen), il bello e dannato donnaiolo, impermeabile ai sentimenti tanto quanto è permeabile a qualsiasi vizio.
Alan Harper (John Cryer), il fratello sfigato e goffo, con un matrimonio fallito, sempre a corto di soldi. Suo figlio (il mezzo tra i due uomini), Jake Harper (Angus T. Jones), è la simpatica e non intellettualmente brillante canaglia che vedremo crescere (letteralmente) nei 12 anni di vita nel cast di Due Uomini e Mezzo, che prende il loro peggio per trarne il meglio per sé. Non c’è etica e non c’è morale. Due Uomini e Mezzo non è politicamente corretta, attenta alle quote rosa e alla conseguente narrazione dell’universo femminile. Manly Men, ricordate?
Ma Due Uomini e Mezzo è invecchiata o è semplicemente cresciuta?
Jake Harper è il perfetto esempio di come si possa crescere in una sitcom. Dai dieci anni corredati da guance paffute e sguardo che adesso si definirebbe da “acchiappa like”, al viso da ex bambino in un corpo da giovane adulto, Jake è stato l’elemento clessidra di Due Uomini e Mezzo, l’evidenza tangibile che il tempo passa e oltre a crescere si può invecchiare. La scommessa è riuscirci bene e non come altre sitcom come La Vita Secondo Jim che è invecchiata orribilmente. Due Uomini e Mezzo gioca sì con gli stereotipi ma a carte scoperte. Non si crea degli alibi posticci per essere irriverente e al limite dell’irrispettoso. Il punto di vista è sempre “manly men”, ma l’ironia e l’autoironia fanno da filtro per depurare, almeno in parte, le battute sessiste di Charlie, parte integrante del bagaglio del personaggio.
In lingua originale Due Uomini e Mezzo fa uso di una percentuale di linguaggio scurrile e offensivo soprattutto per identificare attributi sia femminili che maschili. Nella versione italiana, il doppiaggio ha eliminato totalmente i giochi di parole con allusioni esplicite, per altro intraducibili, e tradotto con termini non volgari altro. L’uso del linguaggio senza o con pochi freni inibitori è stato anche un motivo dell’immediato successo ottenuto da Due Uomini e Mezzo. Ecco, in una caratteristica così dirompente e moderna si trovano proprio le poche rughe di questa sitcom.
Ne uccide più la lingua che la spada
Nel 2003, anno in cui ha iniziato il suo percorso televisivo, non c’era un’attenzione così focalizzata nel sentire artistico sul linguaggio e gli argomenti trattati. Il politicamente corretto non si era ancora evoluto nel “mostro” attuale. Nato da giuste necessità e forme manchevoli di rispetto, l’ansia da prestazione del politically correct non era ancora dirompente ai tempi della prima messa in onda di Due Uomini e Mezzo che non è caduta sotto la scure della censura.
Anche il movimento metoo non era abbastanza agguerrito e pronto a contrastare la violenza verbale verso i personaggi femminili. Ci sono vari esempi di serie comedy più recenti che hanno affrontato temi delicati e allargati senza risentire di questo tipo di “invecchiamento” (ne abbiamo parlato qui) ma Due Uomini e Mezzo ha mantenuto lo standard verbale sfacciato e impudente che di fatto ha portato la Serie al successo. I personaggi femminili passano dall’egoismo fatto persona della madre di Charlie e Alan (Holland Taylor), all’apparente stupidità di Rose (Melanie Lynskey). L’unica donna vincente è la domestica Berta (Conchata Ferrell) che gioca col linguaggio ad armi pari ma esprimendo spesso gli unici punti di vista di spessore.
Tutto merito (o colpa) di Charlie
Charlie Harper è morto, evviva Charlie Harper! Impensabile credere che Due Uomini e Mezzo potesse proseguire per ben quattro anni dopo la scomparsa del personaggio catalizzatore. Morto Charlie Harper, morta la serie, l’equazione sembra facile eppure non è stato così (ne parliamo approfonditamente qui). Lo spirito di Charlie Harper non ha mai abbandonato la serie e si è diviso tra il fratello Alan, con il suo opportunismo sfrenato, e il nuovo proprietario della villa di Malibù Walden Schmidt (Ashton Kutcher) con le sue mille avventure.
Gli stereotipi si ingigantiscono per sopperire alla mancanza del vero genio del male Charlie Sheen, che solo in tempi recenti ha ammesso i propri errori. Il vero segno di vecchiaia è stato proprio questo, non voler ammettere che non si possono più fare le stesse cose di quando si era più giovani, un po’ come non voler prendere l’ascensore sapendo che si devono salire cinque piani. L’anima di Charlie Harper, che continua pervicacemente ad aleggiare tra le battute pesanti e le situazioni limite, è rimasta giovane e integra nella sua freschezza. Cresciuto Jake e rimasto solo come personaggio ricorrente, ha lasciato il suo “mezzo” all’essenza di Charlie sempre e comunque presente tra i due uomini.