Vi è mai capitato, nel vostro spulciare manicale in piena notte sul catalogo Netflix, di imbattervi in una serie tv semisconosciuta chiamata Easy? Se la risposta è si, è presto detto allora chiedervi se l’avete anche vista oppure se avete preferito metterla da parte dimenticandovene. Perché Easy è effettivamente uno di quegli show che o vedi in preda a un raptus furioso alla due di notte, non sapendo cosa altro guardare perché hai già visto tutto, o di cui semplicemente ti dimentichi. Non ha un titolo acchiappa like, non ha avuto nessun tipo di campagna marketing degna di nota (anzi possiamo tranquillamente definirla inesistente) e non la trovi mai menzionata in nessuna lista delle “migliori” o “peggiori” serie tv dell’ultimo decennio.
Distribuita su Netflix dal 2016 al 2019, Easy è, effettivamente, una serie tv outsider ben contenta del suo status. Con un cast stellare ma probabilmente nessuno lo sa.
Nella Chicago dei giorni nostri, Easy (che potete vedere sul catalogo Netflix qui) esplora con autenticità e sensibilità la complessità delle relazioni umane. Ogni puntata racconta una storia indipendente ma, allo stesso tempo, interconnessa l’una all’altra, offrendo uno spaccato variegato e realistico della vita moderna. In ogni episodio della prima stagione vengono quindi presentati nuovi personaggi e situazioni, che fanno di nuovo capolino nelle stagioni successive. Sia come protagonisti assoluti che come comparse nelle puntate di altri personaggi, permettendo agli spettatori di seguire l’evoluzione delle loro storie nel corso del tempo. Quel che viene fuori è un mosaico di esperienze che riflettono la diversità di decine di vite uniche. La narrazione di Easy è, di fatto, flessibile e dinamica, perché ogni puntata può essere analizzata quasi come un cortometraggio a sé stante, ma che, nel complesso, contribuisce a un lungometraggio ampio e coeso.
Creata da Joe Swanberg, la serie antologica affronta la quotidianità in maniera genuina e spontaneo. I personaggi e le storie che li riguardano sono quelle di persone comuni alle prese con gli stessi problemi che potrebbero benissimo riguardare anche noi. O quasi. Si perché per quanto Easy voglia proporsi come uno show “facile”, appunto, semplice e vicinissimo a noi, in realtà risulta molte volte pretenzioso, esagerato e finto. I personaggi ricalcano dei tipi umani in cui pregi e difetti sono esasperati e persino determinate tematiche, così attuali ai nostri giorni, vengono esasperate alla ricerca di uno scandalo che nessuno ha chiesto.
Easy affronta una vasta gamma di temi pertinenti alla vita moderna, tra cui l’amore, la sessualità, la tecnologia e la ricerca della felicità.
La serie esplora le relazioni romantiche (qui la nostra analisi sulle storie d’amore anni 2000 della serie) in tutte le loro forme e complessità: dalle coppie sposate alle avventure occasionali, dalle relazioni monogame alle dinamiche poliamorose. Attraverso queste storie, Easy offre una rappresentazione sincera e non edulcorata di quanto possano essere complicate le relazioni umane. Ogni episodio è un viaggio emotivo che svela le sfumature delle relazioni moderne, mettendo in luce sia le connessioni profonde che le dolorose fratture. Il colpo di fulmine è dietro l’angolo ma lo è anche la delusione amorosa.
In un episodio, vediamo, per esempio, la coppia sposata formata da Anfy e Kyle che cerca di riaccendere la passione nella loro relazione esplorando nuove fantasie sessuali. Il loro disperato tentativo di salvare qualcosa che, triste ma vero, forse non può essere salvato li spinge a crearsi delle vite parallele. La ricerca continua e spasmodica di nuovi partner sessuali che possano sopperire alla mancanza di passione nel matrimonio non è per niente eccitante. Solo molto triste a vedersi. In un altro episodio, il personaggio di Gugu Mbatha-Raw si confronta con le difficoltà dell’amore a distanza. In un altro ancora viene affrontata la dinamica amorosa professore-alunna.
La tecnologia è un altro tema centrale della serie.
In un’era in cui le nostre vite sono sempre più mediate da dispositivi digitali e social media, Easy esamina come questi strumenti influenzino le nostre interazioni e connessioni. Gli episodi spesso mostrano personaggi che navigano le complessità degli appuntamenti online, le pressioni dei social media, e l’impatto della tecnologia sulla comunicazione e sull’intimità. Viviamo in un’era indubbiamente digitale, e Easy non ignora l’influenza pervasiva della tecnologia sulle nostre vite. Tutt’altro mostra come, in un mondo dove siamo sempre connessi, questa iperconnessione possa sia facilitare nuove connessioni ma soprattutto creare nuove barriere.
Un episodio memorabile vede un personaggio alle prese con l’ansia da social media. Mentre un altro esplora le complicazioni di un triangolo amoroso nato da un’app di incontri. Attraverso queste storie, Easy invita gli spettatori a considerare il ruolo della tecnologia nelle loro vite e a riflettere su come influenzi le loro interazioni quotidiane. L’io è al centro di numerosi episodi. Un io chiamato a confrontarsi sia nel rapporto con l’altro che con se stesso. Vengono affrontate anche questioni di genere, di identità i cui i protagonisti sono a un punto incerto della loro vita, scissi tra chi vorrebbero essere e chi la società vuole che siano.
Ogni storia vuole raccontare un’esperienza di vita che permetta allo spettatore di riflettere sulle proprie esperienze.
E, per buona parte, Easy riesce nel suo scopo. È un viaggio attraverso le vite di persone comuni, raccontato con una certa sensibilità. Sono storie semplici stilisticamente e narrativamente parlando il cui fulcro si riduce a situazioni di vita moderna tra le più comuni (anche se non è tutto facile come sembra, come potete leggere qui). Il cast è stellare. Attori come Orlando Bloom, Dave Franco, Zazie Beetz e Aubrey Plaza, regalano performance al contempo intime e potenti. La loro capacità di immergersi completamente nei personaggi e di reagire in modo organico alle situazioni rende Easy una serie che si distingue per la sua umanità palpabile (la serie tv è una finestra sul mondo, come abbiamo detto qui).
D’altronde Joe Swanberg è noto per il suo stile mumblecore. Lo showrunner adotta un approccio minimalista e naturalistico alla regia, privilegiando l’improvvisazione e la recitazione spontanea. Uno stile che conferisce alla serie un senso di autenticità e immediatezza, facendo sembrare le storie e i personaggi incredibilmente reali e riconoscibili. Eppure, c’è una parte di Easy che è talmente semplice da risultare banale. Belli i primi episodi. Bella persino tutta la prima stagione, poi la novità lascia il posto al già visto e Easy si perde in una serie di storie tutte uguali a se stesse.
I personaggi diventano stereotipi e le situazioni cliché.
Difficile catalogare quindi una serie tv che vuole far ridere ma raramente riesce a strapparci una risata (ma che rimane una delle migliori serie tv antologiche recenti insieme a queste 8). Vuole far pensare ma non approfondisce mai le tematiche che mette in campo. E vuole far commuovere ma scimmiotta le relazioni amorose. Con l’avanzare della trama, Easy appare più come il delirio nevrotico di un Woody Allen che è rimasto un po’ troppo a bazzicare Tinder. Non riusciamo davvero a immedesimarci con le storie raccontate perché vengono tirate per le lunghe fino a non sapere più come chiuderle in maniera degna di nota. Sono storie che vogliono criticare ma non si azzardano a compiere delle scelte davvero coraggiose preferendo la via del politicamente corretto a tutti i costi.
Anche il sesso, la tecnologia e l’identità di genere finiscono per diventare temi raccontati solo per il piacere della massa senza aggiungere nulla di nuovo alla discussione.
Nessuna delle storie di Easy è davvero all’avanguardia. Cosicché la serie tv stessa finisce per nuotare in questo limbo di incertezza in cui non possiamo definirla né un drama né una comedy. Né tantomeno una satira sociale perché si ride poco o nulla. Ogni storia di Easy diventa ridondante perché, nel corso delle tre stagioni, viene ripresa da personaggi diversi ma mantenendo la stessa sostanza. Diventa inevitabile allora percepire una sorta di incertezza. Come se, nel tentativo di trovare una strada propria, Easy abbia finito per non imboccare alcuna strada.
Rimane in questa posizione di stallo in cui sai bene come descriverla perché non ha le caratteristiche del dramma ma neppure quelle della comedy. Non è eccessivamente scandalosa, non è distopica, non è paurosa. Di fatto, se qualcuno dovesse chiederci che cosa sia esattamente Easy gli risponderemmo proprio che è quella serie che o guardi alle due di notte oppure non guardi affatto.