Trasmessa negli Stati Uniti per sette stagioni sulla CBS dal 2012 al 2019, arrivata in Italia nel 2013, in chiaro su Rai 2 e a pagamento su Fox Crime, e attualmente disponibile su Sky e Now, Elementary è una nuova rilettura in chiave moderna del personaggio di Sherlock Holmes arrivata due anni dopo la proposta di Mark Gatiss e Steven Moffat. Arrivare due anni dopo l’ormai leggendaria Sherlock con Benedict Cumberbatch e Martin Freeman – che è diventata subito oggetto di venerazione di massa (cosa è andato storto nel rapporto tra Benedict Cumberbatch e Martin Freeman) – è stata una fortuna molto sfortunata. Da un lato, Elementary ha beneficiato del successo della cugina inglese, dall’altro, però, è stata fortemente penalizzata dal confronto. Il crime con Jonny Lee Miller e Lucy Liu doveva fare i conti con un ostacolo insormontabile, ma è comunque riuscita a ritagliarsi il proprio spazio. L’annuncio della messa in produzione di una nuova versione di Sherlock Holmes è stato accolto come uno smacco personale a Conan Doyle e alla britannicità, anzi, un affronto a Benedict Cumberbatch. Dopo la negatività iniziale, però, la prima stagione di Elementary ha conquistato oltre 10 milioni di spettatori, assicurandosi subito il bis. Eppure qui a Hall of Series abbiamo battuto infinità di caratteri per Sherlock (una vera e propria ossessione seriale: 30 cose che rischi di fare se guardi troppo Sherlock), mentre per Elementary ci siamo limitati a scrivere qualche confronto tra le due cugine. E purtroppo non siamo i soli. Anche altri magazine nazionali e internazionali tendono ancora a tirare in ballo la versione di Rob Doherty solo quando si parla della sorella britannica. Cosa sarebbe stato, quindi, della versione con Jonny Lee Miller e Lucy Liu se quella della BBC non avesse mai visto la luce del Sole? Non lo sapremo mai. Quello che sappiamo è che Elementary ce l’ha fatta nonostante Sherlock, che in questa storia sembra essere la sua nemesi.
Sherlock è il Moriarty di Elementary
Non c’è dubbio che l’inizio del 2000 sia stato un periodo d’oro per il personaggio immaginato da sir Arthur Conan Doyle. Nel 2009 arrivò al cinema con Robert Downey Jr., Jude Law e Rachel McAdams. Nel 2010, in formato seriale, arrivò invece la creatura britannica di Mark Gatiss e Steven Moffat, che fece incetta di premi e riconoscimenti ambitissimi, mentre nel 2012 sul piccolo schermo arrivò Elementary, con una riscrittura alternativa. E per alcuni sacrilega e imitatoria. Questa volta eravamo a New York e a fianco del celebre investigatore, un tossicodipendente in via di guarigione, a vestire i panni di Watson, c’era una donna asiatica. Lampi e fulmini squarciarono il web! Non solo Elementary doveva competere con il successo di due rivali illustri che hanno riacceso un fenomeno mediatico incredibile, ma anche con le aspre critiche che le furono mosse ancor prima del suo debutto. Come avviene fin troppo spesso, anche in questo caso, un libro era stato giudicato solo dalla copertina.
[L’annuncio della CBS] è interessante, dato che ci hanno contattato qualche tempo fa per rifare il nostro spettacolo. A quel tempo, hanno dato grandi assicurazioni sulla loro integrità, quindi dobbiamo presumere che il loro Sherlock Holmes modernizzato non assomigli in alcun modo al nostro, poiché sarebbe estremamente preoccupante.
La produttrice di Sherlock, Sue Vertue
Elementary non sopravvivrà al debutto, dicevano. Invece la qualità della prima stagione non solo contribuì a dissipare lo scetticismo e ad allontanare le critiche negative (superficiali) che erano state mosse al riadattamento, ma conquistò il cuore di milioni di spettatori. Il team di Robert Doherty partiva in netto svantaggio, è vero. Eppure è bastata una sola stagione per dimostrare quanto l’opinione pubblica e la stampa sbagliassero. La critica è rimasta soddisfatta non solo delle performance del nuovo Sherlock, Jonny Lee Miller, e del suo braccio destro, Lucy Liu. Ma anche della scrittura e in generale del nuovo approccio al materiale originale, cioè quello che aveva attivato l’allarme “sacrilegio”. Lo stravolgimento è diventato, insomma, il punto di forza del crime della CBS. C’è di più, Elementary aveva un tono curiosamente leggero, familiare e divertente che non lasciava indifferenti, soprattutto gli amanti di serie tv come Castle, Bones o House.
Il canone contro la libertà creativa
Il riadattamento di un’opera – letteraria, cinematografia o pittorica che sia – è una pratica antichissima che dovrebbe essere un’operazione creativa svincolata da regole predefinite e soggetta solamente alla sensibilità dell’autore. Eppure, ogni volta che qualcuno ripropone una nuova versione (specialmente di un oggetto di culto), le polemiche scorrono a fiumi. C’è chi urla al sacrilegio, chi esclama “nessuno tocchi X” e via discorrendo. Come avevamo scritto in un precedente articolo intitolato Sherlock vs Elementary: chi incastrerà meglio il pubblico?, Rob Doherty ha capovolto quanto era stato scritto da Conan Doyle tanto che i detrattori erano convinti che la CBS lo avesse fatto solo per una questione commerciale, cioè per sfruttare la “Sherlock Mania”. Una mossa che – se questa teoria fosse vera – le si sarebbe ritorta contro come un boomerang.
Neanche il creatore si aspettava che Elementary potesse sopravvivere alle critiche tantomeno che potesse arrivare alla settima stagione. Invece non solo lo show fu un successo, ma venne classificato come la serie numero uno tra le proposte esordienti. Si tratta, infatti, di uno dei primi lavori di Doherty come unico ideatore. L’idea di riadattare un pezzo di storia letteraria non era un mossa banalmente commerciale: dietro c’era la volontà di sperimentare. Ovvero il presupposto principe di ogni operazione di riadattamento: scomporre una vicenda, già molto nota, per guardarla da una nuova prospettiva e per farla rivivere in un contesto nuovo e attuale. Una delle sfide chiave fu, infatti, quella di impedire che tra il nuovo Holmes e la nuova Watson potesse nascere una storia d’amore, sfidando quel luogo comune secondo cui tra un uomo e una donna ci sarà sempre un interesse romantico o sessuale. Invece Doherty era interessato all’idea di mostrare una relazione professionale e umana a fioritura lenta, mantenendo così la canonica “bromance”.
Certamente, all’inizio, [Sherlock] non si aspettava un’amicizia, figuriamoci una collaborazione con lei [Watson]. Sapevo che avremmo avuto bisogno che abbassasse lentamente il suo scudo. Quindi mantenere gli aspetti più divertenti della personalità di Sherlock, le cose che continuano a renderlo diverso, è diventata una sfida nelle stagioni successive.
Rob Doherty
Sperimentare nuove strade
Anche i più scettici, soprattutto coloro che inneggiavano al fantomatico “politicamente corretto”, hanno dovuto ricredersi. Il tocco sperimentale, la sfida e il lavoro sartoriale nel reparto scrittura hanno permesso a Elementary di affermare la propria personalità. Sono il quid che la differenzia dalle altre proposte. Jonny Lee Miller e Lucy Liu sono stati parte attiva anche nel processo di scrittura. Miller ha plasmato il proprio Sherlock, proprio come hanno fatto Downey Jr. e Cumberbatch. Volveva dare energia ai dialoghi, alterando la pacatezza ai lampi di rabbia viscerale. A tal proposito Doherty ha dichiarato: “Lasciare che Jonny gestisse le cose ha dato i suoi frutti. È così intuitivo. Potevamo sederci, guardare cosa faceva Jonny, e poi iniziare a scrivere.” Lucy Liu, invece, ha dato un ottimo contributo al suo personaggio sia in un’ottica forense, sia aggiornando il ruolo di Watson, come continua Doherty: “Non siamo uno show procedurale. La bellezza di scrivere Holmes e Watson è che li guardi mentre fanno il loro lavoro e poi li guardi convivere, e permetti a quella collaborazione e a quell’amicizia di legarsi. Non c’è romanticismo. Ma c’è un grande amore e c’è un grande rispetto. Lei lo ama come una famiglia e lui prova lo stesso”. La nuova proposta non vuole aggrapparsi come un parassita alla rinata “Sherlock Mania”. Vuole sfruttare l’attenzione per proporre una nuova prospettiva. Si avvale di un materiale originale di grande spessore e notorietà per restituirci un duo moderno di protagonisti che si muovono in un contesto moderno. La tossicodipendenza e il comportamento quasi patologico dell’investigatore e una relazione uomo-donna amichevole e professionale sono dunque un’interpretazione coerente e contemporanea dell’originale.
Moriarty è stato sconfitto, non sfidandolo
Elementary ce l’ha fatta proprio perché è riuscita a sconfiggere con astuzia il suo Moriarty, cioè la Sherlock britannica, spostando sul campo della sperimentazione la propria battaglia. Mentre la versione con Benedict Cumberbatch e Martin Freeman è un rifacimento affine al canone, Elementary capovolge con coraggio e sagacia il materiale di partenza, approfondendo nuove dinamiche ma senza alterarne l’essenza. Come scriveva Rotten Tomatoes: “Potrebbe non piacere ai puristi, ma Elementary fornisce una nuova svolta a Sherlock Holmes, e Jonny Lee Miller brilla nel ruolo del protagonista”. Il Guardian scriveva invece che “Jonny Lee Miller e Lucy Liu ne fanno un doppio atto per rivaleggiare con Sherlock” , sottolineando quanto “il ritmo sembra perfetto e i dettagli sono leggeri: gli spettatori possono stare al passo con le indagini e sentirsi coinvolti, un risultato che pochi show investigativi raggiungono”.
La riscrittura di Sherlock Holmes non solo ha senso, ma è coerente con le sue premesse. Lo sviluppo delle relazioni e degli archi narrativi nel corso delle stagioni è un piacere, e una sorpresa, da guardare. Soprattutto perché sembrava impossibile che la nuova proposta, così “sacrilega”, potesse reggersi in piedi. E invece Elementary ce l’ha fatta dimostrando quale dovrebbe essere il senso di ogni adattamento. Il lavoro di riscrittura di Rob Doherty e del suo team creativo dimostra infatti come si riporta in vita un’opera, che è viva quando mantiene la sua essenza anche quando il contesto cambia.
Elementary ce l’ha fatta perché ha voluto essere sé stessa nonostante tutto. Nonostante la sorella maggiore britannica e nonostante il cinismo dei puristi.