Élite ha riscosso un enorme successo con la sua prima stagione.
Un successo forse inaspettato per i produttori che si sono trovati a fare i conti con una serie tv ormai divenuta globale.
Nonostante le ottime apparenze, questo show non ha ricevuto soltanto critiche positive, anzi: protagonista di giudizi affrettati e forse sin troppo oggettivi, è stato messo alla gogna ancor prima di essere analizzato a fondo. Forse quello di cui ha proprio bisogno Élite è questo: essere esplorata, conosciuta, approfondita nei suoi dialoghi più banali e nelle azioni più impulsive dei personaggi.
Una serie dalla trama apparentemente classica si rivela essere il filtro di un’adolescenza complessa, opaca ed estranea al mondo degli adulti.
Meritava un’occasione e noi gliel’abbiamo concessa.
Ma ha davvero soddisfatto le nostre aspettative? Ci ha davvero così coinvolto da richiedere una seconda stagione?
Il paragone con le altre serie tv di stampo americano avviene sin da subito. Il setting della storia fa pensare ai classici licei statunitensi, ed è inutile criticare la mondanità un po’ stereotipata di tale decisione. In un mondo così eterogeneo si tende a rincorrere spesso ciò che è degli altri, assumendo i caratteri e le peculiarità di culture straniere eppure affascinanti.
È quello che avviene in questo show di origine spagnola. In una scuola per privilegiati, frequentata dai figli di una società elitaria, è guerra aperta per ottenere il primato.
Non vi è in palio nulla per chi ha già tutto, meno che il titolo di essere effettivamente “primo” rispetto agli altri, il numero uno.
Si osservano dei ragazzi che, passivi, subiscono una trasformazione che non vogliono accettare. Diventano tutto ciò che odiano della propria famiglia e del proprio ceto sociale. E non vi è alcun nesso tra il seguire il brio dell’adolescenza e l’estraniarsi completamente da una realtà che, tristemente, è ingiusta.
Lo è per Guzmàn (Miguel Bernardeau), che ha visto entrambe le proprie famiglie (biologica e adottiva) autodistruggersi. Per Nadia (Mina El Hammani), che si scontra con i privilegi di chi nelle proprie mani ha tutto: denaro, potere, libertà. Lo è per Omar (Omar Ayuso), lo è per Polo (Álvaro Rico), per Carla (Ester Expósito), per Nano (Jaime Lorente).
I personaggi di Élite cercano il loro posto nel mondo, un posto che sembra non essere né sicuro né tutelato. I loro problemi si susseguono, uno dopo l’altro, seguendo il ritmo del tipico dramma spagnolo. La passione si mescola alla difficile esuberanza adolescenziale e il risultato non può che sfociare nel ridicolo.
I difetti sono tanti e notarli è sin troppo semplice. Ma i suoi punti di forza sono altrettanto intriganti: questa serie tv è partita dal nulla, facendo leva sulla sponsorizzazione mediatica di attori già conosciuti (vedi i ragazzi de La Casa De Papel) e sul carattere seducente della trama.
I temi affrontati nella serie tv sono molteplici e, prima che si scateni il putiferio, è importante sottolineare questo concetto ormai universale: c’è superficialità in Élite. Tanta, troppa.
C’è leggerezza nel trattare temi importantissimi e delicatissimi come l’HIV, la religione musulmana, l’omosessualità, la criminalità. Ma non per questo si deve esclusivamente scartare e condannare questo show. D’altronde, altri prodotti hanno raggiunto più o meno il medesimo livello di superficialità della serie spagnola, trascurando buchi di sceneggiatura profondi come abissi. Le americanate trash ci vanno più che bene, ma la condanna parte nell’immediato quando si cerca di comunicare coi giovani.
Si pensa che la vittima della serie tv sia Marina, ma in realtà lo sono tutti. Nessuno viene escluso, perché nessuno viene risparmiato da un crudo giudizio estraneo che distrugge persino il più piccolo sogno che si è riuscito a costruire.
Tre ragazzi di modesto ceto sociale che vincono una borsa di studio per la scuola più prestigiosa della Spagna, si ritrovano a perdere tutto. La propria innocenza, la propria spensieratezza.
E lo scetticismo verso il futuro si diffonde come un virus.
Questi adolescenti hanno bisogno di qualcuno che li ascolti, ma nessuno vuole farlo. Vivono di alcol e droghe perché non c’è nient’altro che possa aiutarli a evadere da quelle mura che soffocano.
E forse gli spagnoli esagerano con il pathos, con il dramma, è vero. Ciò non esclude però che Élite abbia davvero c’entrato il segno, affascinando chi ha seguito questa serie.
Il calderone di tematiche affrontate nello show è forse stato uno degli elementi chiave che ha permesso alla serie di diffondersi a macchia di leopardo, venendo apprezzata e odiata, ma pur sempre discussa. Al centro dell’attenzione di tutti, ha raggiunto un successo mondiale.
Vuole farsi portavoce di tantissimi insegnamenti, ma fallisce nel suo intento, non riuscendo a essere credibile.
La crescita emotiva dei protagonisti rapisce lo spettatore che si affeziona a loro, prova pietà, empatia. Élite è la serie perfetta per quella generazione che continua a porre domande a una società silente e non riceve alcuna risposta.
L’incertezza verso il futuro è quello che rende questo show realistico. Non si può cercare la perfezione, perché i ragazzi sono così: confusi, arrabbiati, indecisi. Combinano un guaio dopo l’altro e se ne pentono nell’istante successivo.
Non è l’omicidio nel liceo di Las Enchinas, né i party a base di sesso, droghe e rock and roll a rendere Élite interessante, ma i suoi protagonisti.
I personaggi mirano al cambiamento, bruciando le tappe del proprio percorso verso la maturità troppo velocemente, diventando adulti perché non c’è altra scelta.
Sono diversi tra loro, mutano con il passare degli episodi.
E la domanda sorge spontanea: davvero questi ragazzi dovrebbero avere solo 16 anni?
Ci si ritrova a provare empatia nel vedere questi adolescenti spiazzati, incerti, messi di fronte a un bivio e incapaci di scegliere la giusta strada da percorrere.
Gli adulti in questa serie tv sono forse peggio di questi ragazzini. Si passa dall’insegnante che si fa comprare da una ragazzina apparentemente viziata, sino alla preside della scuola che fa la spia al genitore tradizionalista davanti l’intera scolaresca. Non ci sono giustificazioni per spiegare il comportamento assurdo e diseducativo di questi personaggi adulti.
L’idea che potrebbe palesarsi all’improvviso nella nostra mente sarebbe quella che l’intera storia sia stata creata in questo modo di proposito. Suddetti personaggi, dalla personalità incompleta, vorrebbero essere d’esempio (negativo) per rispecchiare una caricatura dell’odierna società.
Il contrasto tra gli adolescenti disillusi e gli adulti insoddisfatti delle proprie vite, ai quali non rimane nient’altro che la maschera dell’ apparenza, colpisce con forza chi ha seguito Élite.
Ci si aspetta che il finale sia positivo. Che venga trovato il colpevole e che la storia riparta con più azione. Ma non succede, perché la verità viene coperta da infinite bugie che costringono questi adolescenti ad aprire gli occhi dinanzi a una realtà che, da questo momento in poi, non sarà mai più rosea.
Arriviamo al dunque: questa serie tv ha davvero qualcosa di speciale? Ha quel quid capace di farci dire a fine episodio “Woah, non me l’aspettavo”?
Sinceramente, no.
Malgrado sia una fiera sostenitrice della locuzione latina “de gustibus non est disputandum” , non si può negare che questo show pecchi di superbia. Dà per scontato che il prendere in esame più tematiche sia più produttivo, rendendo la serie più moderna, contemporanea.
Élite celebra la menzogna, l’indifferenza, la ricerca del proprio tornaconto personale. Sembra una serie per adolescenti, ma in realtà va più a fondo con i suoi mille difetti e i suoi pochi pregi. Rivela una sottile verità, spingendoci a riconsiderare cosa è davvero importante.
Non è il denaro, non è la fama e non è neanche l’amore. È la cieca fedeltà verso se stessi, immutabile dinanzi ai cambiamenti di un mondo che non ascolta e non rallenta. D’un tratto, il discorso finale di Marina, colmo di egoismo e ipocrisia, sembra essere l’unica piccola morale che Élite è riuscita a partorire con un’effettiva oggettività.