Ormai ci siamo abituati alla tendenza di Netflix di cancellare Serie Tv. La piattaforma streaming ha fatto strage di cuori – come al suo solito – e ovviamente non in senso positivo. Quello che però ancora non riusciamo ad accettare è di vedere altri prodotti (non così tanto magnifici) continuare tranquillamente la loro vita. Un esempio è Emily in Paris, che a parte qualche fortuito momento comico, sta regalando molti momenti confusionari. Infatti, ecco cinque momenti in cui non abbiamo proprio capito dove volesse andare a parare Emily in Paris.
L’emblema di questi momenti è particolarmente concentrato nella terza stagione di Emily in Paris. Potremmo spezzare una lancia a favore dello show di Lily Collins dicendo che ciò è dovuto solo ad una serie di sfortunati eventi. Ma la verità è che il personaggio di Emily non fa altro che scavarsi una fossa più profonda di puntata in puntata, con pessime decisioni che la portano dalle stelle alle stalle.
ATTENZIONE SEGUONO SPOILER DELLA TERZA STAGIONE di Emily in Paris
1. What’s it all about Alfie?
È il primo episodio della terza stagione e Emily ha già fatto mille casini, il più grave tra tutti è lasciare andare quel gran pezzo di manzo ingles…voglio dire Alfie (Lucien Laviscount). Diciamo che i fan di Emily in Paris hanno poche certezze nella vita, ma una di queste è che la parte più interessante dello show è effettivamente la vita sentimentale della protagonista. La carriera di Emily infatti, non è l’unica parte della sua esistenza ad essere stata stravolta dal nuovo clima francese. A questa si è aggiunta l’entrata in scena di un affascinante chef francese, che vive casualmente proprio al piano sotto l’appartamento di Emily. Abbiamo seguito con attenzione i drammi del triangolo amoroso Gabrielle-Camille-Emily per poi passare a quello Gabrielle-Emily-Alfie (su cui è incentrata l’intera seconda stagione). Abbiamo aspettato un’eternità davanti allo schermo che Netflix rilasciasse la terza stagione per scoprire se avesse vinto il #TeamAlfie o il #TeamGabrielle. E quando finalmente abbiamo ottenuto la nostra risposta, Emily in Paris ha deciso di mandare in fumo i nostri sogni prima che qualcuno avesse il tempo di urlare: “Ringarde!”. Questo povero meraviglioso ragazzo che era disposto a provare una relazione a distanza viene ignorato e maltrattato dal primo episodio, con tanto di canzone dedicata. Lasciando Emily e soprattutto noi spettatori delusi e confusi. Possiamo solo dire che meritavi di meglio.
2. Il diavolo veste… Emily in Paris
Intorno agli ultimi episodi di Emily in Paris fa capolino totalmente dal nulla un forte risentimento da parte di Julien (Samuel Arnold) nei confronti di Emily. Sappiamo bene che il personaggio di Lily Collins non è mai stato particolarmente ben voluto dal team parigino. Sì, ci sono state scambi di battute e severi nomignoli francesi in passato, soprattutto in merito alla qualità del suo “fresco punto di vista americano”, ma non si è accennato mai ad un’ostile competizione interna. Di strada ne è stata fatta dalla prima stagione quindi questa Civil War è abbastanza fuori luogo e inutile a questo punto. In particolare se consideriamo che fino all’ottavo episodio della terza stagione i personaggi sono andati d’amore e d’accordo, rispettando il lavoro dell’altro senza cercare di sabotarsi come bambini capricciosi.
3. Ma Madeline da quanto tempo è incinta?
Tra i vari dettagli no-sense di Emily in Paris un posto è riservato sicuramente al personaggio di Madeline, il capo di Emily a Chicago. Forse è dovuto alla modalità di distribuzione di Netflix che fa passare quasi un anno tra una stagione e un’altra, ma questa donna sembra incinta da un secolo. Nella terza stagione Madeline (interpretata da Kate Walsh), meravigliosamente irritante atterra prepotentemente a Parigi. L’arrivo di questa fin troppo gonfia Zia Sam manda all’aria tutto il duro lavoro che Emily ha fatto per guadagnarsi la simpatia e il rispetto dei suoi colleghi, portando l’intera serie fuori dai binari. Poi, quando finalmente dà vita a questo bambino miracoloso, anziché prendersi il suo giusto e meritato congedo per maternità continua a lavorare con tiralatte in ufficio e cambi di pannolini durante le riunioni. A noi spettatori non resta che fissare lo schermo confusi su cosa stiamo realmente guardando e sul perché.
4. L’amore è nell’aria? E chiudiamo le finestre
Avremmo potuto tranquillamente schierarci dalla parte di Camille dopo il tradimento di Gabrielle ed Emily. Le avremmo perdonato anche i sotterfugi da telenovela per riprendersi il suo uomo perché lo ha fatto con stile. Ma non possiamo fare finta di niente sul suo tradimento, anche se avvenuto oltre i confini francesi. Una brutta scivolata per il personaggio di Camille Razat, che è passato da essere uno dei personaggi più amati ad essere il più ipocrita e incoerente. Non vedo la necessità di rovinare un personaggio così bello. Si sarebbe potuta introdurre la variante sulla sua sessualità molto più fieramente senza seguire lo stereotipo dei francesi come amanti passionali. Invece si è deciso di toccare il fondo con l’indecente (ma furbo) teatrino che Camille ha messo in scena sull’altare piuttosto che ammettere di aver cambiato idea. Invece, si è preferito far ricadere la colpa di una scelta legittima su Emily, distruggendo due coppie in un solo colpo.
5. Politically Correct… ma non troppo
Parliamo di Sylvie e della sua storia d’amore. Fin dal primo episodio abbiamo riconosciuto la professionalità e il talento di Sylvie Grateau come della sua controparte reale Philippine Leroy-Beaulieu. Lei che si è immediatamente ritagliata il suo posto sullo schermo, nel ruolo dell’autoritario capo di Emily, in un’originale versione francese che rende omaggio a Miranda Priestly (del film Il diavolo veste Prada). Con la sua personalità francese per eccellenza, sarcasmo tagliente e una sigaretta senza tra le dita, il personaggio di Sylvie è forse l’unico che alza un po’ l’asticella di Emily in Paris. Un’icona della moda e un’incarnazione del libertino spirito francese, fondato sulla passione, Sylvie si distingue anche per la sua vita sentimentale. Nell’episodio 2 della seconda stagione, conosciamo per la prima volta suo marito, Laurent G., che possiede un club alla moda a St. Tropez. I due stanno insieme da 20 anni ma sono essenzialmente in un matrimonio aperto: Laurent vive a St. Tropez per gestire il suo club mentre la carriera di Sylvie è basata a Parigi. In partica, i due non vedono un senso nell’abbracciare i tradizionali ruoli coniugali e infatti sappiamo che nella sua fitta agenda di doveri, Sylvie trova spazio anche per qualche passatempo a Parigi. Un fotografo in particolare, diventa un appuntamento fisso per la donna nella seconda stagione. Stravolgendo ancora una volta i valori tradizionali della società, Sylvie aveva difeso impavida ed elegante la sua relazione con quest’uomo più giovane. Ma si vede che il personaggio di Lily Collins e gli autori di Emily in Paris condividono questo senso di continua indecisione che li porta a prendere decisioni affrettate (e sbagliate nella maggior parte dei casi). Emily in Paris ancora una volta si contraddice da sola. Da una parte si mostra progressista, aggiungendo un colore della bandiera LGBTQ+ alla trama. Dall’altra però si rimangia il tema innovativo del matrimonio aperto che ancora non è molto trattato in televisione. Infatti, anche questa relazione viene distrutta a favore di un ritorno di fiamma, non richiesto e un po’ banale. Non essendo pratica al tradizionale e alla “normalità” non abbiamo chissà che aspettativa per il destino di questa storia. Si aprono le scommesse.
In generale purtroppo questa terza stagione di Emily in Paris è quasi completamente inutile. Ad eccezione degli ultimi due episodi, non si aggiunge nulla di nuovo alla trama. I pochi colpi di scena che ci sono, infatti, arrivano all’ultimo secondo e in maniera non troppo eclatante, quanto più frettolosa e trascurata.