Vai al contenuto
Home » Emily in Paris

Emily in Paris ha davvero esagerato con gli stereotipi sui francesi?

Emily in Paris
Ma prima di continuare con la lettura abbiamo entusiasmanti novità da condividere con te. A breve sarà disponibile Hall of Series Plus, il nostro servizio in abbonamento che ti permetterà di accedere a moltissimi contenuti esclusivi e in anteprima.

Inserisci il tuo indirizzo email e clicca su ‘Avvisami’ per essere notificato quando Plus sarà disponibile.

* campo obbligatorio

Il 2 ottobre 2020 è stata distribuita su Netflix Emily in Paris, la serie televisiva creata da Darren Star denominata la nuova Sex & The City. Da quel momento si è diffuso un grande chiacchiericcio sulle avventure della stilosa Emily, interpretata da Lily Collins. C’è chi ha urlato al trash, chi ha apprezzato l’ironia e la leggerezza di questa fiaba parigina, chi l’ha bollata come serie inutile e priva di senso, insomma, l’accoglienza è stata piuttosto variegata. E non è bastato nemmeno il rinnovo per una seconda stagione a porre fine alla bufera, perché c’è un aspetto in particolare che ha sollevato un polverone: gli stereotipi sui francesi.

La solare, ambiziosa e (soprattutto) americana Emily Cooper viene spedita in una grande azienda di marketing francese per cercare di portare un punto di vista americano che regali un po’ di freschezza e novità. Già questa premessa ha fatto storcere il naso a qualcuno: è davvero indispensabile un tocco americano per salvare una situazione lavorativa francese? Per tutta la durata dei dieci episodi della prima stagione sembra che nulla possa essere risolto senza l’intercessione della ragazza americana, quasi a voler dire che i francesi non sono in grado di sciogliere i grattacapo.

Un altro problema sembra essere la (presunta) arroganza con cui Emily si presenta in Francia senza nemmeno avere idea della lingua e con la pretesa di riuscire a comunicare con tutti in inglese, anche se è vero che la ragazza ha ricevuto la proposta lavorativa all’improvviso e quindi non avrebbe avuto modo nemmeno volendo di frequentare un corso linguistico prima della partenza. Ma non sono soltanto le premesse ad aver suscitato reazioni da parte del pubblico – soprattutto quello francese.

Emily in Paris

Secondo una parte non irrilevante di spettatori, Emily in Paris sarebbe un tripudio di stereotipi sovrapposti che creano un’immagine distorta e non veritiera di Parigi e dei suoi abitanti.

La città è dipinta come un luogo fiabesco, quasi fatato, dove tutto è improntato al romanticismo e all’eleganza, creando di fatto un ambiente superficiale e ovattato. La Parigi presentata dalla serie tv è più un sogno che una realtà e secondo i suoi veri abitanti non rispecchia per niente la vera essenza della capitale francese. Sembra che non ci siano problemi, difficoltà o profondità. Anche la fotografia di Emily in Paris contribuisce a questa caratterizzazione magica della città: i colori sono brillanti, luminosi, come se un’aura di positività avvolgesse sempre tutto quanto.

Per quanto riguarda i francesi stessi, invece, troviamo un commento di Charles Martin di Premiere che espone il problema:

In Emily in Paris scopriamo che i francesi sono tutti cattivi (sì, sì), che sono pigri e non arrivano mai in ufficio prima della fine della giornata, che sono provocanti, (…) sessisti e soprattutto hanno un discutibile rapporto con le docce. Esatto: nessun cliché è stato risparmiato, nemmeno il più fragile.

E le recensioni sul web rincarano la dose:

È una serie che sarebbe potuta essere fantastica, se non avesse reso i francesi delle caricature. In questo show i francesi sono descritti come arroganti, sporchi, pigri, cattivi, acidi… ma fortunatamente questa giovane americana arriva e ci spiega come funziona la vita.

Emily in Paris

Emily in Paris ha dunque esagerato con gli stereotipi? La risposta a questo interrogativo non è così scontata. Ci sono diversi elementi da tenere in considerazione, primo fra tutti la natura stessa della serie. Il prodotto ideato da Darren Star si presenta come un racconto ironico e frizzante, senza particolari pretese, con lo scopo di far rilassare il pubblico e magari strappargli anche una risata. Così, avremmo qualcosa di più originale e di spessore senza la pioggia di cliché e stereotipi che abbonda in Emily in Paris, eppure proprio i cliché sembrano essere l’ingrediente di base di questo tipo di intrattenimento. Il pubblico sorride perché accade ciò che si aspetta e perché i personaggi sono delle caricature.

Forse è sbagliato divertirsi con delle caricature, dei personaggi che sembrano tirare fuori le caratteristiche peggiori dei francesi? Certo. Però siamo sicuri che gli americani siano esenti da questo trattamento? Emily stessa è un personaggio grottesco, sotto alcuni punti di vista. Veste in modo stravagante, è ingenua, fin troppo solare, come se non fosse a conoscenza degli aspetti più deleteri della vita. Non è quindi anche lei una caricatura? Senza parlare del fidanzato americano che si scoccia dopo cinque minuti di lontananza della propria ragazza e la scarica per telefono. Lo stereotipo riguarda quindi anche gli americani, non soltanto i francesi.

Pensateci: se Emily si fosse trasferita semplicemente in un altro stato americano, quindi senza approdare in Europa, le cose sarebbero state diverse?

Emily in Paris

Probabilmente no. Se la ragazza fosse arrivata in un’azienda dove il capo era uno zuccherino, i colleghi tutti disponibili e aperti e non ci fosse stato alcun fraintendimento… cosa avrebbe smosso la storia? Era quasi necessario trovare un capo così arrogante, colleghi antipatici e diffidenti, situazioni grottesche, altrimenti la narrazione non sarebbe decollata.

E che dire di questa Parigi fin troppo magica e romantica? La visione idealizzata che viene data della città in Emily in Paris – come già puntualizzato – non corrisponde alla realtà. Eppure è uno degli elementi che hanno catturato parte del pubblico: colori incantevoli, feste eleganti, scenari mozzafiato con la torre Eiffel che la fa da padrona sullo sfondo. Le immagini della serie sono state postate ovunque sui social proprio per la loro bellezza magica. Non un dipinto realistico della capitale francese, quindi, ma nemmeno un dipinto negativo. L’ambientazione va a coincidere con l’atmosfera quasi onirica della serie tv, che in un certo senso è proprio una fiaba moderna, come abbiamo detto nella nostra recensione.

Sì – qualcuno potrà contestare – ma il troppo stroppia. Se Emily in Paris fosse un dolce, sarebbe uno di quei cupcake colmi di zucchero che ti fanno venire una carie solo a guardarli. Quelli nemmeno troppo buoni, alla fine, proprio perché lo zucchero maschera il sapore di tutto il resto. Con una ricetta diversa, si sarebbe potuto avere un dolcetto migliore, più appetibile. Eppure, sono gli stessi cupcacke di cui – comunque – ci si strafoga. Troppo o non troppo, esagerazione o meno.

In parole più semplici, sicuramente la sensibilità di ognuno è un metro diverso per capire se la serie tv con Lily Collins ha veramente esagerato con gli stereotipi sui francesi. Di sicuro è comprensibile la reazione dei diretti interessati e sarebbe forse utile nella seconda stagione una mano meno calcata sul cliché oppure un ventaglio più ampio di rappresentazione dei parigini. Dall’altro lato, il successo della serie è probabilmente dovuto proprio alla sua matrice trash e stereotipata, il cui scopo è quello di ironizzare e intrattenere.

Leggi anche – Quanto c’è di Sex & The City in Emily in Paris?