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Angus Cloud, la biografia: storia di un personaggio in cerca d’autore

Angus Cloud
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Il signor conte si levò per tempo, alle ore otto e mezzo precise… La signora contessa indossò un abito lilla con una ricca fioritura di merletti alla gola… Teresina si moriva di fame… Lucrezia spasimava d’amore… Oh, santo Dio! e che volete che me n’importi?

Bisogna partire da qui, dalle prime pagine del Fu Mattia Pascal per capire chi era Angus Cloud, per capire come mai di quel giorno che avrebbe cambiato per sempre la sua vita lui non ricordi né la strada in cui si trovava né il motivo per cui ci si trovava. Angus Cloud non si ricorda neanche perché fosse a Manhattan quel giorno. “Oh, santo Dio! e che volete che me n’importi?“, avrebbe detto Mattia Pascal e dietro di lui Luigi Pirandello, pronto a cambiare per sempre i canoni della narrativa tradizionale e a servirsi di una figura radicalmente nuova, soggettiva, di narratore. E allora, per parlare di Angus Cloud anche noi dobbiamo rifarci a una narrazione soggettiva e senza dettagli superflui, senza inutili descrizioni, quelle che Angus ha deciso di rimuovere dalla sua storia lasciando che restasse solo l’essenziale.

Angus, e dietro di lui Fezco, è stato personaggio in cerca d’autore per tutta la sua vita, straordinario character che aspettava solo l’opera giusta per poter finalmente iniziare a vivere davvero.

Come Fezco anche Angus era un uomo dalla sorniona, sardonica saggezza. Una persona capace di ridurre all’osso ogni cosa, di spogliarla di orpelli inutili, di calarla nell’autenticità della sua essenza. Era così, Angus: in grado di trasformare cose complesse in semplici, di sollevare domande apparentemente elementari ma spiazzanti, come quelle di un bambino con i suoi perché. Fezco e Angus si sono stati vicini per tutta la loro vita, si sono condizionati a vicenda, hanno attinto l’uno dall’altro modellandosi l’uno sull’altro tanto che alla fine non era più possibile distinguere il Mattia Pascal dall’Adriano Meis.

Fez
Angus Cloud nella parte di Fezco (640×360)

L’uno e l’altro sono “nati” insieme, tanti anni fa, molto prima di quell’incontro – su cui torneremo – avvenuto lungo un’ignota strada di Manhattan in un giorno non meglio precisato. Inizia tutto quando un ragazzo, allontanatosi dai suoi coetanei finisce in fondo a un fosso. Non è importante come ci sia finito né dove sia questo fosso, quello che conta è che un giorno, questo ragazzo cade in un fosso. Angus perde conoscenza, tutto si fa nero. Passano dodici ore, finalmente rinviene. La testa gli duole da morire, pulsa e ha un aspetto strano: ha subìto un violento trauma cranico, c’è una commozione cerebrale. È in quel momento che “Ho trovato me stesso“. In fondo a quel fosso, con le ossa rotte, con un versamento interno, senza che nessuno sappia dov’è, Angus si rialza con flemmatica ma incrollabile decisione. Ha l’adrenalina a mille, sa che se vuole sopravvivere può solo affidarsi a sé stesso e senza sapere come, con le forze di un improvviso istinto di sopravvivenza, esce di lì.

Come se nulla fosse, ancora confuso, sconvolto, prende un autobus, torna a casa. ‘Dove sei stato?’, “Ma’, voglio solo dormire”, fa per andare in camera sua, la madre lo ferma, lo guarda fisso negli occhi: ha le pupille dilatate come se avesse assunto droga. È in realtà l’adrenalina ancora in circolo. Prova a spiegare cosa gli è successo ma dice appena una parola e si accascia a terra. Quando si risveglia è nel letto di un ospedale -non importa quale- e ha subìto un serio intervento al cervello. “Mi hanno aperto la testa, hanno messo delle viti e una piastra nel punto in cui mi sono rotto il cranio e – m**da, mi hanno richiuso, e questo è tutto“. Sì, tutto, o almeno tutto l’essenziale. Quella cicatrice gli rimarrà per sempre, come pure quella tipica parlata appena rallentata, frutto di un leggero danno cerebrale. “Niente di cui valga la pena parlare“.

Fezco e Angus Cloud si sono finalmente trovati, sovrapposti, fusi in un unica persona, insieme maschera e identità profonda.

Ho trovato me stesso“. Ma se il personaggio è già sulla scena nella sua iconica cicatrice, nella sua ancor più caratteristica parlata, nel carattere calmo e meditabondo, quello che manca è l’autore. E l’opera. Angus inizia così a vagare nella sua vita, nel mondo, guardando gli altri fermi nei loro scopi, nel perseguire obiettivi e sogni che lui non pensa di avere. O meglio di meritare. Perché in realtà Angus una passione ce l’ha, anche se non lo sa. Ha una propensione che lo spinge costantemente verso qualcosa.

Angus Cloud
Angus Cloud (640×360)

Inizia da ragazzo, impugnando una piccola camera, girando ed editando video di amici che vanno sugli skate. Li monta, li taglia, ne aggiunge la musica, li carica su Youtube. Cose di poco conto, certo, ma che assorbono già allora molte sue attenzioni. Non pensa lontanamente di poterci stare lui davanti alla telecamera. Lui è soltanto, o piuttosto si sente soltanto, uno come gli altri. E però qualcosa lo spinge all’Oakland School for Arts. Non che abbia aspirazioni da attore, no, no. Si limita a specializzarsi nel montare palchi, nella gestione dell’attrezzatura, nelle luci. Tutto qui. Su quelle scene, nello stesso periodo passa con ben altri sogni anche una ragazzina minuta e molto decisa. Tutto l’opposto di Angus, lei sa bene cosa vuole fare e sa di essere brava a farlo. “Avevamo alcuni amici in comune forse ma non ho mai conosciuto direttamente Zendaya“, si limiterà a dire Angus Cloud.

Sicuramente, però, di Zendaya doveva aver sentito parlare, lei che già allora era considerata una delle più promettenti allieve della scuola. Ad Angus però non pesa il suo ruolo subalterno, ama occuparsi degli attrezzi di scena. Oh, santo Dio! e che volete che me n’importi?. Nella sua filosofia di vita fa semplicemente ciò che ama fare, senza porsi troppe domande, senza guardare troppo in là, senza aspirazioni vanagloriose. “Non so esattamente come dirlo, ma mi piace fare quello che mi sento di fare sul momento. Mi piace fare tutto ciò che sento giusto e fare solo quello che voglio“. È il suo credo, la saggia semplicità che porta con sé e che spiazza gli altri nella tranquillità fiduciosa che sempre sembra alimentarla.

In cuor suo però si agita già quel Fezco che brama un palco e un autore che lo facciano brillare.

Si trasferisce a New York, senza un apparente perché, ma forse… Chissà! “Non avevo piani, seguivo la corrente“. Lavora in un ristorante, fa il cameriere. A distanza di anni un fan eccitato rivedendo una registrazione il giorno del suo compleanno scoprirà di aver catturato in video proprio Angus mentre lo sta servendo al tavolo. Incredibile la vita. Incredibile come la corrente cambi in un lampo e Angus finisca per esserne chetamente trasportato. Non ancora però. Per ora fa un lavoro come un altro per tirare avanti e passa il resto della giornata quasi come un novello Socrate, in giro per Brooklyn a fare domande e ascoltare storie. “Amo ascoltare le vicissitudini delle persone“. Nel dirlo, Angus sorride appena con gli occhi, che gli si illuminano.

Angus Cloud
Angus Cloud (640×360)

I like to listen to people’s hustle. Hustle. Angus non sceglieva mai a caso le parole, le ponderava, non si preoccupava di prendersi del tempo per pronunciarle, di accentuare quella impercettibile lentezza nell’esprimersi. Hustle. Hustle, indica l’assillo, il caos, il trambusto, la frenesia, perfino il raggiro. Un termine perfetto per New York e per Brooklyn, per quelle strade che non dormono mai e in cui tutti vanno sempre di corsa, ingannando se stessi e gli altri. Ingannando tutti tranne Angus, che ama fermarsi, parlare, ascoltare, camminare lento lungo la strada, riflettere e lasciare che tutto scorra, che la corrente proceda incessante. “Se hai una buona storia, ti ascolto, forse pure che valga un dollaro o due“. Ed è questa sua apertura al mondo e alle persone a cambiargli la vita.

È lì a Manhattan quel giorno, un certo, imprecisato giorno in una certa, imprecisata strada con certi indefiniti amici. Come sempre la corrente di persone, macchine, cose scorre veloce attorno a lui ma Angus chiude gli occhi e lascia che tutto scivoli via. Incede lento, tranquillo, con quella serenità nello sguardo di chi sembra aver capito qualcosa della vita che a noialtri sfugge immancabilmente. A guardarlo, alcuni devono pensare che sia uno sfaccendato, altri uno strambo ma qualcuno segretamente non può fare a meno di ammirarlo e invidiarne la pacata spensieratezza. Come Eléonore Hendricks che passando di là, su quella strada senza nome, ne rimane folgorata. Quel solenne incedere, quel volto placido, quello sguardo fermo portatore di una qualche sorta di verità nascosta le ruba l’occhio. Vuole fermarlo, deve fermarlo.

Gli si para davanti, Angus si ferma senza patemi, senza la minima espressione di sorpresa.

Eléonore inizia a raccontargli la sua storia: è la scout del cast per una serie che sta per essere offerta alla HBO, e lui, beh, lui è perfetto per esserne uno degli interpreti. Cloud quasi ride, è tentato di non farla continuare, di non darle il suo numero di telefono che pure lei continua a chiedere insistentemente. Perché hustle, a volte, significa solo truffa. Ma Angus Cloud ama troppo le storie, ama gli hustles. “E questo amore ha deposto a mio favore perché questo era davvero un signor ‘hustle’“. Dà il numero alla Hendricks e senza sapere come, si risveglia in uno studio davanti a Jennifer Venditti, la direttrice del casting.

Fezco e Lexi
Fezco e Lexi (640×360)

Angus non ha il minimo tentennamento, nessuna ansia, non ce l’ha avuta dentro un fosso nero con un’emorragia cerebrale in corso, figuriamoci ora. Oh, santo Dio! e che volete che me n’importi?. Fa semplicemente quello che sa fare: essere se stesso, o almeno una parte di sé, quel Fez che vive da tempo dentro e accanto a lui. Si permette perfino di modificare qualche battuta che gli appare troppo posticcia, ridondante, inutilmente descrittiva. Accade qualcosa che a detta della stessa Venditti non era mai accaduto. Tutto lo staff dopo appena pochi secondi di audizione si gira all’unisono e inizia a vociare confusamente, con eccitazione: “Da dove diavolo è uscito? Chi è? Oddio! Wow!“.

La Venditti ne è stregata: “Non era come ti saresti aspettata, aveva questo fare grezzo da strada ma nel contempo era sensibile, curioso, aperto. Davvero tenero, incredibile davanti alla macchina da presa. Affascinante“. È l’effetto che Fezco farà a Lexi in quei meravigliosi, iconici quattro minuti di dialogo nel primo episodio della seconda stagione. L’effetto che farà a tutti noi, conquistati dal placido filosofeggiare di chi lascia che tutto scorra via.

Cloud è semplicemente perfetto, in ogni scena, in ogni ripresa, senza la minima preparazione.

Come trovare una miniera di diamanti“, secondo la regista del pilot di Euphoria. Brillante. Il personaggio ha finalmente trovato il suo autore. In viaggio verso Los Angeles non ha neanche bisogno di provare la parte, di studiare tecniche di recitazione. Oh, santo Dio! e che volete che me n’importi? Lascia semplicemente che il personaggio riemerga da sé, dal suo Io profondo. “Perché provare a essere qualcun altro se gli autori mi hanno scelto per quello che ho dimostrato di essere nel provino?“. Arriva a L.A., cerca un B&B ma nessuno vuole crederci, nessuno si fida delle sue storie, dei suoi hustles. Un attore per una serie in produzione? Sì, come no. Rischia quasi di rimanere senza casa prima di ripiegare su una pensioncina a conduzione familiare.

Zendaya
Angus e Zendaya (640×360)

E poi si inizia a girare. Zendaya diventa come una sorella. Sono inseparabili, amici veri. Il pilot è un successo: la serie sarà prodotta dalla HBO. È giugno 2019, ma non importa la data, dettaglio superfluo. Euphoria esce negli Stati Uniti, diventa un successo planetario. Fezco è uno dei più iconici e amati personaggi. Ma la fama porta con sé anche un alto prezzo. Angus non può più girare placidamente per strade ignote, non può ascoltare storie di persone qualunque come se fosse una persona qualunque. “Non amo essere speciale, non voglio essere speciale, voglio solo essere uno qualunque, mi piace la normalità. Sono solo uno qualunque, ragazzi!“. Quel filosofo che girava per le strade importunando giovani e meno giovani, un tempo guardato con sospetto e invidia, non può più essere se stesso. Ovunque è riconosciuto, assalito dall’affetto, trattato come una star. Lui si presta a ogni foto, a ogni parola dei fan con disponibilità e simpatia. Non è questo che lo infastidisce. Quello che lo turba è non poter essere uno qualunque.

È come se il mondo gli avesse tolto la sua più grande fonte di tranquillità e gli chiedesse di essere ‘qualcuno’. Di spargere quella sua saggezza da viver lento ma nello stesso tempo gli impedisse di farlo a causa della sua fama. Oh, santo Dio! e che volete che me n’importi? Che volete che glie ne importi a uno che è uscito con le sue mani da un fosso? Solo inutili descrizioni, superflui dettagli di sfondo che non servono a nulla nella ricostruzione della sua vita, della sua storia, del suo hustle.

È suo l’hustle più grande, il raggiro di chi pensa di essere un miracolato senza rendersi conto delle innate doti attoriali che ha.

Poi c’è il buio. E noi non possiamo raccontare il buio, perché là sotto, in quel nuovo fosso, ancor più nero, ancor più profondo, non sappiamo cosa Angus Cloud abbia trovato. Possiamo solo limitarci a dire, senza inutili fronzoli descrittivi, che Angus Cloud si è addormentato nel suo letto e non si è più svegliato. E con sé ha portato anche la distruttiva tenerezza di Fez. Uniti per sempre, inscindibili parti di una sola persona, di un personaggio che ha trovato il suo ruolo e il suo autore e alla fine dell’opera si è spento con un inchino mentre il sipario si chiudeva e il buio inondava la sala. Silenzio. Poi però applausi. Perché se la piéce è finita, se le luci in platea si son spente, noi non smetteremo mai di rivederlo e di ammirarlo, rewatch dopo rewatch, sorprendendoci della sua straordinaria qualità recitativa. Ancora e ancora, sulla scena, vivo più che mai, nella parte di se stesso, nella parte di Fez. Nella parte di Angus Cloud, per sempre personaggio che ha trovato il suo autore.