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Cassie, l’angelo morente

Euphoria
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L’abbiamo detto, ripetuto e sottolineato diverse volte: Euphoria è una serie che distrugge. Piena di scene pesanti ed estremamente crude (qui la classifiche delle cinque più conturbanti), lo show creato da Sam Levinson si è ritagliato un posto di tutto rispetto nel panorama televisivo degli ultimi anni per la sua capacità di raccontare l’età adolescenziale in maniera diretta e veritiera. Il personaggio di Cassie in particolare ha generato un clamore e un’attenzione significativa: da una parte grazie alla straordinaria interpretazione di Sydney Sweeney, dall’altra per la sua capacità di guardarci dentro. Cassie: l’angelo morente, la bambina sperduta che ha solo bisogno di essere ascoltata. E noi, oggi, siamo più che disposti a farlo.

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Ma dove eravamo rimasti? Abbiamo lasciato Euphoria, e in particolare la nostra Cassie, in una situazione sull’orlo del collasso: dopo aver assistito allo spettacolo (meraviglioso, è il caso di dirlo) messo in piedi da Lexi, qualsiasi certezza che potevamo avere acquisito nel corso della visione è crollata come un castello di carte. E Cassie, il cui arco narrativo ci aveva fatto dannare per tutta la seconda stagione, ha pagato il prezzo più alto di tutti. In una manciata di scene ha perso tutto: l’amore, l’amicizia, il rispetto per se stessa. In realtà non è proprio così, perché è dalla prima inquadratura che la vede protagonista che Cassie cammina in bilico su un filo molto sottile. E in un modo o nell’altro, ha finito per perdere l’equilibrio. E’ difficile parlare di un personaggio come quello di Cassie senza dare giudizi, ed è ancora più difficile rimanere neutrali nei suoi confronti. Forse perché, da una parte, il personaggio interpretato da Sydney Sweeney funziona proprio così: o lo ami, o lo odi. Tutto o niente, bianco o nero. La sua grande popolarità deriva in parte dal fatto che è per certi versi il personaggio con cui si fa meno fatica ad empatizzare: non perché lo spettatore la giustifica, ma perché la capisce. Chi non conosce una ragazza, o un ragazzo, che si è ritrovato a dover affrontare le stesse problematiche? O ancora meglio: chi di noi non è sentito almeno una volta vicino a lei?

Tradizionalmente ci si aspetterebbe che il percorso narrativo di un personaggio prosegua verso una direzione più o meno precisa o, per meglio dire, si dispieghi in qualche modo. Cassie, al contrario, è riuscita a dimostrarci che si può correre in tondo senza arrivare da nessuna parte. Se la prima stagione di Euphoria poteva considerarsi un racconto corale, dove ogni puntata era dedicata alle vicende di un personaggio nello specifico, Cassie nella seconda stagione sgomita, spinge e si cala perfettamente nel ruolo di protagonista. Finalmente riusciamo a vederla per quello che è davvero, brutture comprese.

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Il problema fondamentale del personaggio di Cassie (e anche la sua più grande risorsa) è il pesante realismo che lo caratterizza: che la si scusi, la si odi, la si compatisca o la si disprezzi, Cassie è vera. Piena di difetti, paure, e per questo umana e soprattutto fallace. Cassie non impara dai suoi errori e, al contrario, sembra determinata a percorrere una strada che sembra non avere lieto fine da qualsiasi angolo la si guardi. Inciampa, soffre, si rialza e va avanti a testa alta incurante degli altri e, soprattutto, di se stessa. Al contrario delle eroine cinematografiche e letterarie, Cassie sembra per certi versi scavarsi la tomba da sola più di una volta: è protagonista di una storia senza redenzione, senza sollievo e senza possibilità di riscatto. Proprio come Lucifero, l’angelo biondo che conosciamo nasconde dentro di sé una viscosa zona d’ombra. Ed è innegabile che faccia paura.

E allora perché riusciamo a capirla? Perché appare così spaventosamente vicina che quasi ci sembra che possa uscire dallo schermo e sedersi di fianco a noi. Ed è proprio questa vicinanza che ci consente di accompagnarla durante tutto il suo percorso senza distogliere lo sguardo e che ci inchioda di fronte a lei. La vorremmo aiutare ma non possiamo farlo. Perché Cassie è tante cose, molte delle quali negative, ma è soprattutto una vittima. Vittima di un padre che non c’è mai stato e che le ha lasciato una ferita insanabile, causa di molte delle sue scelte più o meno sbagliate. Vittima di un amore tossico e dannoso, che lei vive come l’ennesima possibilità di redenzione senza rendersi conto che è un male che la consuma da dentro. E, soprattutto, vittima di se stessa: perché Cassie non si ascolta, non si ama. Ma chiede, pretende, desidera che lo faccia qualcun altro. E come si fa, se lei per prima non è nemmeno in grado di guardarsi allo specchio?

Proprio per questo Cassie è uno dei, se non addirittura il personaggio meglio riuscito di tutta la serie: è così complesso da essere inclassificabile, il più delle volte incomprensibile eppure in grado di irretire gli spettatori. Attenzione: Cassie ha le sue colpe, e anche belle gravi. Ma non le abbiamo tutti? Cassie è terribilmente facile da colpevolizzare, eppure allo stesso tempo desidereremmo assolverla con formula piena e regalarle un po’ di pace.

Se si parla di lieto fine, sembra che Cassie non ne possa avere uno. Ma è ancora tutto in gioco, e una serie come Euphoria per prima ci ha insegnato che non possiamo mai stare troppo tranquilli quando si tratta del destino dei personaggi. Ma la vera domanda é: Cassie lo vuole, questo lieto fine? Per ora questo non lo sappiamo, ma di una cosa siamo certi: comunque vada a finire, Cassie Howard un segno l’ha lasciato.

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