Euphoria, ultimo prodotto eccellente sfornato dal canale HBO e creato da Sam Levinson basandosi sulla omonima miniserie israeliana, è come direbbe la sua protagonista Rue: “Una caz*o di figata!“.
Per chi non l’avesse ancora vista, e magari pensa anche di non farlo pensando di trovarsi di fronte all’ennesimo teen drama con protagonisti adolescenti drogati e promiscui che hanno perso la fiducia nel mondo a causa degli adulti, si ricreda!
Perché ciò che rende bella e assolutamente diversa Euphoria da tutte le altre serie del genere è la sua totale mancanza di sensazionalismo.
Entrare nel mondo degli adolescenti della East Highland High School, accompagnati per mano da Rue e dalla sua visione sfocata e spesso assente della realtà che la circonda, è un viaggio nel mondo delle nuove generazioni diverso da quello fatto con altre serie.
Ok, anche in questo universo gli adolescenti si drogano e fanno casini con il sesso, si emarginano e si attaccano, strumentalizzando il sesso per guadagno o per opportunismo, o anche solo per “semplice” bullismo.
Soprattutto però, a differenza delle serie che l’hanno preceduta, si prende la responsabilità di spiegare ciò che può esserci dietro a tanta trasgressione e noncuranza del pericolo.
Molti aspetti dell’adolescenza vengono messi sotto la lente d’ingrandimento, raccontando attraverso le storie di ognuno dei protagonisti una sfaccettatura nuova del loro mondo che pensiamo (erroneamente!) di conoscere anche noi. Sentendola attraverso le scoraggianti notizie che arrivano dai telegiornali ma anche, appunto, vedendola raccontata in altre serie meno “profonde”.
Euphoria però racconta senza giudicare. Anzi, spiega!
E lo fa anche in modo molto centrato.
Si potrebbe persino dire che, per tutti quelli svantaggiati da un’età ben lontana da quella dei protagonisti dello show e che osservano la loro adolescenza con un profondo senso di rassegnato dispiacere, la serie (con protagonista la sempre più lanciata Zendaya, di cui potete leggere qui qualche curiosità sul suo conto) permette paradossalmente di placare l’ansia che ci prende segretamente quando pensiamo che quelli, un giorno, potrebbero essere i nostri figli.
Perché ogni aspetto della trasgressione viene analizzato e restituito allo spettatore arricchito di un contesto che ne spiega le origini e le motivazioni.
Il rapporto autolesionista che Rue ha con la droga fa un po’ meno paura se spogliato della facile etichetta droga = sballo. Osservandola e ascoltandola, episodio dopo episodio, ci rendiamo conto della sua difficoltà di inserirsi come i suoi coetanei nel tessuto della società che la circonda.
Dell’ansia che l’assale quando deve fare cose estremamente semplici come stare in classe o a tavola con la sua famiglia.
Vediamo come la droga, nella sua affabile e distorta semplicità, le offra un deviante rifugio silenzioso in cui potersi nascondere e allontanare dalla chiassosa realtà con cui non è in grado di sintonizzarsi.
Anche grazie a un uso della musica semplicemente efficace e geniale, che scandisce pedissequamente le emozioni dei protagonisti facendocele percepire sotto la pelle, attraverso le note che escono dirompenti dallo schermo raccontando alla perfezione la scena che si sta svolgendo sullo schermo.
Un’altra cosa che aiuta a smettere di avere paura di questi bambini sperduti è sicuramente vedere come, anche nell’ennesima trasgressione riprodotta, ci sia sempre un lato molto umano e inaspettato che lo segue.
Un padre di famiglia – pilastro della comunità in cui vive – che ha rapporti omosessuali clandestini in camere di motel, è di per sé una cosa disgustosa già mostrata in altre serie. In Euphoria, però, il personaggio di Cal Jacobs, interpretato da Eric Dane, ci viene mostrato anche come una vittima della stessa società che lo obbliga alla perfezione e al machismo.
Impedendogli di vivere la propria inclinazione sessuale alla luce del sole, a differenza della generazione a cui appartiene il figlio e che invidia segretamente. La stessa Jules, forse il personaggio simbolo della poliedricità di Euphoria, in altre serie verrebbe raccontata come un’emarginata o una deviata, mentre qui è solo una degli altri adolescenti che stanno sperimentando e affrontando le proprie diversità.
Al di là del bullismo e della violenza, che ormai vengono raccontate ovunque proprio perché sono parte integrante delle generazioni di oggi, in Euphoria è possibile percepire un’ottica finalmente differente.
Per ogni bullo che umilia e discrimina, esiste un adolescente di mentalità aperta che non sfotte un ragazzo che si veste da donna.
O come la ragazza più grassa della scuola sia anche la più forte, la più sveglia e la più sicura di sé, oltre che l’unica a capire il vero potenziale della sua femminilità e a usarlo per divertirsi e non per divertire.
Per ogni padre che pretende dal figlio una perfezione irraggiungibile, ne esiste un altro che cerca di capire e seguire il proprio, attraverso una transizione delicata che richiede una sensibilità e una dolcezza non indifferenti.
Ed è soprattutto bellissimo vedere quanto, anche in un mondo ultra moderno, esistano comunque alcune fondamenta inamovibili che ritroviamo in tutti gli universi vissuti. Come l’amicizia e la voglia di innamorarsi, che restano gli aspetti più belli dell’adolescenza.