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La seconda stagione di Euphoria impiega esattamente i primi 15 minuti a mettere in chiaro le cose

Euphoria
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Se c’è una cosa che la seconda stagione di Euphoria è riuscita a fare, nel bene e nel male, è stata quella di sorprenderci non dandoci quello che ci saremmo aspettati, quello che avremmo voluto tra i neon viola e il make up glitter bagnato di lacrime, e ce lo fa capire nei primi fottutissimi 15 minuti, con una convinzione disarmante. Dove anche la più sfavillante delle feste diventa un triste cerimoniale tra adolescenti soggiogati dalla propria stessa bellissima e tragica giovinezza, i mostri vengono a bussare con impeto feroce come spiriti maligni pronti a rubare l’anima in cambio di un corpo in cui agire indisturbati, regnanti di quelle carni assorte nel dolore dei loro 17 anni.

E’ così che va, funziona così: come eternamente sull’orlo di una scenata folle, straripanti di veleno auto inflitto in endovena, mossi in danze convulse mentre dentro non c’è la morte, i protagonisti di questa nuova stagione di Euphoria non hanno più armi a loro disposizione per fare collassare i propri pensieri, mettere a tacere quelle fottutissime bocche. Specchi appesi, apparenze sospese, in barba a tutti i gruppi di auto aiuto e a quel sostegno spergiurato degli amici più cari.

Sono bastati solo 15 fottutissimi minuti per fare redimere le nostre coscienze, mettere bene in chiaro le cose, non lasciare niente in fase di rielaborazione. Sarà un disastro, siatene certi.

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Il primissimo frame della seconda stagione di Euphoria ci mostra una mano un po’ raggrinzita stringere con truce ardore una pistola. E’ la nonna di Fezco, e sta per scegliere il destino di suo nipote con la convinzione di chi non vuole sentire ragioni e non pensa di averne affatto se non di inossidabili e proprie. Ho parlato con tuo padre, vieni a stare da me. Fezco con il capo fa sì. E’ così che deve andare, si fa così.

Nonna ha a che fare con persone molto pericolose e Fezco silenziosamente lo subodora nei gesti più minuziosi che le vede compiere. Quella piccola aggiunta mattutina nel caffè, lo strillare del telefono, i soldi, tantissimi soldi, e un bambino di cui prendersi cura in attesa che, previo debito saldato, qualcuno se lo venga a prendere.

A capofitto in un burrone di insicurezze: è esattamente così che venne inghiottita la vita di Fezco. Chiavi in mano del nuovo business di famiglia. Niente male avere un lavoro sicuro già a 14 anni: sai che pagherebbero per essere al tuo posto? Fare quello che vuoi, saltare scuola e cominciare a guadagnare. Quello che ti insegnano a scuola non è la legge che vige fuori da quelle aule consumate e prima lo impari e meglio è. Magari finisce anche che guadagni un pugno nero senza aver fatto niente: un’amnesia di qualche giorno ma hey, non è forse come ricominciare?

Non c’è salvezza, o almeno non sembra essercene. Né per Fezco e né per Rue. Legati a doppio filo, strettissimo, l’uno nella vita dell’altra, nel dolore e nella malattia in un matrimonio coatto con più perdite che profitti, per sempre.

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Lo spacciatore e la tossica, il carnefice e la sua vittima: Fezco e Rue non sono niente di tutto ciò, se non il risultato più sgualcito di quel che succede quando la vita di accade, ti piomba addosso, ti cade sulle scarpe e ti trascina nelle sue viscose sabbie mobili. Facci l’abitudine, è così che va. Tu incassa e vai, non sarà mica un tragedia, dai.

Come lucciole sopra l’alta tensione pronte a regalarci la più scintillante delle morti, come se non si trattasse della loro stessa vita. Attratte da quel buio spigoloso, serpeggianti ballano intorno all’ignoto consce che da un momento all’altro potrebbe succedere, potrebbe anche succedere di smettere di volare.

E di brillanti il cielo di Euphoria è costellato: ricchissimo al limite dello sfarzo. Costellazioni e galassie intere, pronte a spogliarsi di loro stesse, di quelle apparenze che le tengono imprigionate e di quel fottutissimo veleno che una volta insidiatosi non molla la sua morsa, non cede di un millimetro, fa a gara a chi non scoppia prima. Sui fili dell’alta tensione, in questa seconda stagione di Euphoria sembriamo davvero esserci tutti noi.

Come la pistola della nonna di Fezco, che tra pochissimo sparerà dritta nelle gambe di quel bastardo, come direbbe lei, così le vite dei protagonisti di Euphoria sembrano essere aggrappate alla sua canna. Strette fortissime in quel cilindro oscuro, timorose che il proiettile arrivi, le travolga e lasci dietro di sé solo un bossolo argenteo.

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Esploderà, o ci lascerà appesi?

La seconda stagione di Euphoria impiega esattamente i primi 15 minuti a mettere in chiaro le cose, a metterci spalle al muro con la chiara evidenza che qualcosa sta per scoppiare, che Rue, che Fezco, che Cassie, Nate e tutti gli altri siano arrivati al limite, a un passo dal precipizio. Va così, fattene una ragione: succede sempre così e succederà anche questa volta.

L’abitudine al declino sembra essere l’unica tossica certezza a cui i protagonisti di Euphoria vogliono ancora dare credito, a discapito di tutto il resto del mondo che invece vorrebbe convincerli nel contrario, portarli con sé via da quelle rovine per restituirgli una pagina in meno nel manuale di autodistruzione in cui l’inchiostro delle loro esistenze non vorrebbe mai arrestarsi.

Qualcosa accadrà, e non sarà affatto facile, e noi come loro non potremmo fare altro che incassare o esplodere, sul limite della vertigine guardare giù, prendere fiato e aspettarsi di tutto.

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