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Tutto quello che ho imparato da Euphoria

Euphoria
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Lo confesso, Vostro Onore: non volevo guardare Euphoria. Mentre il mondo urlava il suo nome, io mi sentivo come dentro al traffico durante l’ora di punta, ma con le cuffie al massimo volume. Ero indifferente a quel caos. Non mi disturbava, ma non avevo intenzione di togliere le cuffie. Continuavo ad ascoltare la musica senza farmi distrarre troppo. Io, reduce da un’esperienza immersiva fatta nella Serie Tv Skins, pensavo che Euphoria non fosse altro che una brutta copia americana di una storia che non si poteva ripetere. Quando comincio a nutrire pregiudizi nei confronti della serie è quasi la fine. Non mi smuove niente, neanche le montagne. Insomma, guardare Euphoria mi sembrava quel tipo di cosa che non avrei mai fatto. Eppure, proprio durante l’inizio della seconda stagione, qualcosa cambiò. Come spesso accade in questi casi, qualcuno è venuto a tirarmi via le cuffie dalle orecchie. E menomale che lo ha fatto. Qualche volta, quando posso, glielo dico ancora che almeno una cosa buona l’ha fatta.

Ringraziate chiunque vi aiuti a trovare una Serie Tv in cui intercettare piccole parti di voi perché saranno proprio quelle a insegnarvi qualcosa. Come ha fatto Euphoria con me

sydney sweeney
Euphoria (640×360)

Quando ho cominciato la mia storia con Euphoria sono rimasta spiazzata. Non solo non era il solito teen drama, ma era perfino ciò che stavo aspettando di trovare. Sam Levinson aveva messo sù un miscuglio di ingredienti tali da affascinarmi e farmi male allo stesso tempo, tali da imporsi come croce e delizia, cura e veleno. Euphoria non ha alcuna intenzione di andarci piano. Non ti permette momenti di pausa per metebolizzare. Ti costringe ad andare avanti nella storia scatto dopo scatto, scossa dopo scossa. Quando cominci a entrare nelle dinamiche della serie capisci che non potrai passare il tempo a giudicare troppo i suoi personaggi. Euphoria non richiede giudizi o schieramenti. I suoi protagonisti non si dividono tra buoni e cattivi. Sono il frutto di legami disfunzionali, autodistruzione. Alcuni sono più coraggiosi di altri, più equilibrati. Ma nessuno gioca il campionato per diventare la persona dell’anno. Sono tutti disillusi e arrabbiati con loro stessi e gli altri e, soprattutto, sono convinti che ovunque loro passino appassiscano i fiori.

Quando una persona come me si interfaccia a una storia così distruttiva, il destino si scrive da solo. Dovrei cominciare a guardarmi le comedy leggere, togliermi un po’ di angoscia almeno per venti minuti al giorno, ma non c’è niente da fare: anche quando si tratta di Serie Tv io ricerco la mia inquietudine. Tra una scena e l’altra Euphoria ha fatto però qualcosa di più di farmi male: mi ha insegnato qualcosa.

C’è sempre un modo. Non importa se pensi che sia assurdo, non importa neanche quando riuscirai a metterlo in atto. Un modo ci sarà sempre, e prima o poi lo troverai. Rue, d’altronde, sembra un personaggio scritto proprio per dirti questo, ma in silenzio. Dalla prima alla seconda stagione cambia ed evolve una serie infinita di volte, ma non lo fa mai in modo teatrale. Non ti guarda mai specificandoti che nella vita si possa cambiare. Ti guarda e ti insegna, silenziosamente, che piano piano le cose faranno il loro corso, anche se a questo stenta a crederci perfino lei. Intendiamoci, Euphoria non è una Serie Tv che illude il prossimo promettendo fiori e arcobaleni. Per definirla, si potrebbe dire che la produzione HBO è una Serie Tv che cerca di mettere in scena le complesse esistenze di un gruppo di adolescenti più grandi della loro età, con addosso inquietudini di una taglia troppo grande.

Euphoria (640×360)

Euphoria non mi ha mai insegnato a guardare il futuro con fiducia. Però mi ha insegnato a dare tempo alle cose, a credere almeno che – anche se non ci sarà il sole – comunque il vento si calmerà in modo tale da permettermi di non vedere più il caos, ma una specie di quiete silente da cui ripartire. Mi ha insegnato che il rumore del caos, che tanto maledico, mi serva in questo istante per non sentire la realtà della mia esistenza, ma solo un confusionario chiasso di cui non distinguo i diversi rumori. Mi serve per non affrontare la realtà. Quel rumore, come nel caso di Cassie, mi serve per allontanare la resa dei conti e tenermi stretta solo la mia inquietudine, spoglia di qualsiasi ragione udibile al mio orecchio.

Mi ha insegnato che il dolore non conosce però soltanto chiasso. Che nel mondo esiste una serie infinita di persone che, come nel caso di Leslie, cercano di andare avanti ignorando il proprio malessere per non scoppiare. Tengono, mantengono, portano avanti, e poi – quando meno te lo aspetti – esplodono inconsapevolmente. Queste sono le stesse persone che, nella maggior parte dei casi, cercano di prendersi cura di qualsiasi cosa, degli altri e di loro. Lo fanno con l’obiettivo di non far andare tutto in fumo. Lo fanno per cercare di calmare le acque, per darsi un po’ di speranza.

Euphoria mi ha insegnato più di quanto potessi immaginare. Lo ha fatto in modo quasi contraddittorio. Nonostante la sua natura disillusa, è riuscita a restituirmi qualcosa in modo delicato, graduale. Qualche volta, quando penso a come questo sia avvenuto, ho quasi la sensazione che Euphoria mi abbia aspettato e che, al momento giusto, si sia fatta capire. E poi, si sa, ci siamo capite a vicende. Io ho imparato ad amarla e a capire in che modo lei raccontasse la sua storia, e lei che – anche se ci ho messo un po’ – alla fine non potevo che finire davanti al mio 55 pollici con la sua storia dentro lo schermo. Sarebbe stato innaturale il contrario. Alla fine tutto è andato secondo i piani, e adesso – qualche volta – ricordo l’episodio in cui il mondo dell’arte ha incontrato quello della Serie Tv, e subito mi viene in mente una cosa che ho sempre saputo: non so se sia la vita a imitare l’arte o viceversa, ma quei piccoli frammenti di vita trasformarti in opere sanno qualcosa dell’esistenza che sto cercando di capire. E che forse, ancora una volta, ha a che fare con la cura.

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