«Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece infelice a modo suo»
Lev Tolstoj – Anna Karenina
Quella di F is for Family non è una famiglia come tante. Eppure cosa potrebbe mai andare storto nei ruggenti e e scintillanti anni ’70? Nel caso dei Murphy molto, per non dire tutto.
Appena mi approcciai, ormai molto più tempo addietro di quanto creda, alla visione di F is for Family, pensavo di incontrare una famiglia sui generis in stile I Griffin o tutt’al più I Simpson, ma in entrambi i casi mi sbagliavo di grosso. Nessuna comicità slapstick e neanche battute da far ridere a crepapelle, anzi, a dirla tutta F is for Family non fa molto ridere. Fa molto più spesso sorridere che ridere, e lo fa come riescono a farlo tutte le grandi dramedy che in questi anni hanno accompagnato la nostra militanza nel mondo delle serie tv, e riesce a farlo nonostante tutto, nonostante si tratti di una serie animata ambientata negli anni ’70. ‘Fa ridere ma anche riflettere‘, che poi è quello che diciamo quando guardiamo uno spezzone di uno spettacolo di stand up comedy, solo che F is for Family, se fa ridere lo fa solo involontariamente, così come quando ci fa riflettere facendoci specchiare nelle mille contraddizioni dei rapporti umani, peggio ancora se familiari.
I Murphy a primo acchito sono sì, una famiglia come tante. Papà Frank, mamma Sue e i loro tre figli Kevin, Maureen e Bill. Ceto medio, bel quartiere, e una di quelle casette con il giardinetto un po’ spoglio davanti ma la determinazione inscalfibile di volerlo rendere rigoglioso, continuando a fallire ogni volta in cui l’ennesima nuova pianta appena arrivata decide di lasciare la nostra e la sua terra. Basta avvicinarsi un po’ però per scovare l’infelice unicità dei protagonisti di F is for Family, e a farmelo intuire per primo fu il confronto con tutte le altre serie animate che vedono come protagonista una famiglia, come ad esempio i già citati Simpson.
Si tratta in entrambi i casi di famiglie disfunzionali, ma se i Simpson lo sono solo per estensione del termine, I Murphy rappresentano a pieno quello che è il significato descritto dalla psicologia ”Le famiglie disfunzionali si caratterizzano per avere problemi di comunicazione: le idee e i sentimenti non espressi vengono trasmessi attraverso comportamenti difensivi che danno adito a fraintendimenti e incomunicabilità. Non esiste empatia e le richieste basiche di amore e affetto vengono puntualmente disattese.” Se nel caso de I Simpson a ogni ‘brutto bagarospo’ segue il fatidico momento della riappacificazione dove tutti si dicono ti voglio bene stretti tra le coperte di fronte a un camino, nella famiglia Murphy il livore dura ben più a lungo.
Ogni Murphy cova nel proprio cuore un po’ di astio nutrito giornalmente dalla propria inesorabile fonte di frustrazione servita su un piatto d’argento, senza mancare mai l’appuntamento. Frank è ossessionato da quel lavoro che tanto odia, è ossessionato dai soldi e, figlio lui stesso di una figura paterna tossica, non fa che veicolare a sua volta i suoi malumori sulla propria famiglia. A Frank basta accendere la tv per vedere qualcosa che non sopporta: la pubblicità troppo lunga, la voce antipatica del nuovo giornalista, l’insignificante ritardo del suo programma preferito. Gli basta sedersi a tavola, dopo una lunga giornata lavorativa, per rimpiangere di non aver fatto gli straordinari. Un serpeggiante fastidio albera nella sua vita da sempre e dopo essersi sentito per anni urlare addosso, ora che è adulto può alzare finalmente la voce.
Poi c’è Sue, sua moglie, l’angelo del focolare, che però si sente stretta in questa definizione che la società vuole cucirle addosso. Vuole emanciparsi o più semplicemente vivere secondo i propri standard senza chiedere mai il permesso di fare ciò che le va. Il matrimonio con Frank è un altalenante rapporto tra giorni buoni – dove a entrambi sembra di rivivere i tempi in cui erano ancora fidanzati, nel fiore della loro età e del loro amore – e giorni pessimi, in cui il fastidio di entrambi, alimentato dal difficile vivere quotidiano implode su se stesso in una straripante orda di odio. E non parliamo delle edulcorate litigate tra coniugi che vediamo nelle più celebri comedy, niente affatto. Parliamo di un risentimento che ha radici profonde e che in uno di quei giorni pessimi non può fare altro che uscire fuori, perché non c’è più alcun modo per contenerlo.
Infine i tre figli: Maureen che vorrebbe solo essere vista, Bill che, vittima di bullismo, vorrebbe solo sparire e Kevin, il maggiore dei tre, che fa da parafulmini alle ire di Frank, il quale rivive con lui il controverso rapporto che ebbe con suo padre in un loop di tossicità che non ha ancora la forza e la consapevolezza di potere spezzare. Eppure, in tutto questo marasma di insoddisfazione, in ogni protagonista di questa storia si cela un po’ di dischiusa bellezza.
In questa improbabile ma bellissima serie animata ambientata negli anni ’70 c’è molto di più di una comicità un po’ scontata e buoni pensieri come morale di fine episodio. In questa stralunata e ben riuscita opera di Bill Burr e Michael Price, c’è quanto di più reale si possa trovare in ogni famiglia infelice, anche se i protagonisti sono disegnati a matita. F is for Family è unica proprio nella sua scelta narrativa – oltre che per la sua insolita ambientazione spazio-temporale – proprio perché ci dà uno specchio in cui guardare e rivivere in replay tutte quelle situazioni vigenti nell’intricato quadro dell’assetto familiare, senza mai darci l’impressione di averci passato uno specchio tra le mani, ma lasciandoci alla visione universale di quell‘unica infelicità.