Valerio Lundini è un equilibrista. Un acrobata della comicità, un giocoliere del nonsense. Un trapezista della satira ben fatta, indirizzata a una tv stantia. Un funambolo della risata finalmente intelligente, più di ogni altra cosa.
Una risata ricercata all’interno di un laboratorio fulgido di idee, studiato con una cura al limite dell’ossessività e poi eseguita con dissacrante naturalezza. La sua è una comicità per tutti e per nessuno, senza pregiudizi né trattamenti di favore da riservare a qualcuno: è, prima di ogni altra cosa, destinata a chiunque abbia voglia di stargli dietro senza perdersi dopo la prima battuta. Non è pretestuosamente situazionista né affezionato a un’immediatezza espressiva tutta faccette che – troppo spesso – rappresenta una scorciatoia per chi non ha tanto da dire. Non offende nessuno e nessuno viene risparmiato: è scorretto, senza esserlo. O se preferite, pur privo di contraddizioni, l’esatto contrario. Una cosa, in ogni caso, è certa: Valerio Lundini è uno che non si accontenta. Fa il botto con la “pezza”, divenendo in poco tempo un fenomeno di costume trasversale e destinato anche a target apparentemente irraggiungibili? Chi se ne frega: si è chiuso quando si è voluto fare altro, con nuove idee. Con nuovi contenuti e finalità precise. Perché Lundini non si ferma mai, e sembra non volersi accomodare in una comfort zone che molti, al posto suo, avrebbero ricercato con determinazione. No, non è fatto così: lui è un esploratore. E a quanto pare, ama dare il meglio di sé quando le faccende si complicano e il terreno diventa potenzialmente pericoloso. Con l’armonia di un danzatore, senza mai perdersi dietro le invocazioni della censura preventiva.
Faccende complicate, d’altronde, è il titolo della nuova trasmissione dell’artista romano, e sembra essere il manifesto di una strada alternativa ai binari ormai imposti da chi si aggrappa rigidamente al politically correct – procedendo per sottrazione – e da chi, invece, si nasconde spesso dietro la scorrettezza per lamentarsi a proposito di una presunta mancanza di libertà. Sia chiaro: torti e ragioni coesistono d’ambo le parti e la questione, se affrontata con la necessaria onestà intellettuale, è parecchio seria e bisognosa di approfondite riflessioni, ma davvero non si può prescindere in alcun modo da ciò? Davvero non è possibile percorrere un’altra via? Non si può più dire niente, sul serio? Abbiamo ancora bisogno di dire tutto, oggi?
Le lezione di Valerio Lundini è chiarissima, in questo senso: si può fare ogni cosa, a patto di fare altro senza mai dimenticare l’obiettivo finale. E si può farlo meglio di chiunque altro, senza precludersi niente se si giostra tra i temi più scomodi con la sacrosanta lucidità di un abile equilibrista.
Lui lo fa, ormai da anni: la sua è una comicità vera, sagace ma non saccente, gentile senza mai essere buonista, inclusiva e non divisiva, libera e mai reazionaria. Svincolata, soprattutto, dalle soffocanti narrazioni che fanno un gran male al nostro tempo: si permette di ironizzare su tutto senza mai prendere in giro qualcuno, facendo degli oggetti del gioco i soggetti principi. Al punto da capovolgere una realtà platealmente grottesca in una grottesca realtà da accompagnare con una sana risata: il surrealismo, allora, diviene mezzo e non fine, trovando così un’alchimia speciale in cui riesce a essere allo stesso tempo generalista e di nicchia. Perfetto per chi ne coglie la brillantezza all’interno del contesto, districandosi all’interno della sua stratificata narrazione, e anche per chi lo coglie all’improvviso in un momento furtivo. “Va bene lo stesso”, direbbe qualcuno: Valerio Lundini è ideale per la Rai pur essendo tutt’altro, fuori e dentro le ramificate esigenze di una tv lineare che necessita di rinnovarsi al più presto sotto nuove forme. E che trova in Raiplay, cantiere del domani che incombe, la casa giusta per sperimentare senza subire eccessive pressioni.
Ma di cosa parla, il suo Faccende complicate? Il mockumentary, disponibile sulla piattaforma streaming dallo scorso 12 gennaio e suddiviso in dieci puntate da 25 minuti circa, è stato presentato così da Lundini nel corso di un’intervista rilasciata recentemente a Vanity Fair: “Volevo buttarmi in mezzo alla gente. Ho pensato che se avessi fatto un programma in studio mi avrebbero detto che il precedente era migliore o che era simile e che cambiava solo il titolo. Volevo fare qualcosa di diverso da Una pezza di Lundini“. Basterebbe questo per definire la spinta creativa del comico romano: sperimentare a tutti i costi per raccontare qualcosa di nuovo attraverso la gente comune, senza affidarsi in alcun modo all’usato sicuro. “Possono uscire cose molto divertenti da chiunque incontri sulla tua strada”, d’altronde. E lui lo fa, come sempre a modo suo: ogni puntata di Faccende complicate è ambientata in una città diversa, prende di mira le convenzioni di una certa tv e affronta situazioni differenti con chiavi del tutto imprevedibili, senza alcun limite. Si può ironizzare a proposito di tematiche a dir poco sensibili, come genialmente fatto nel corso delle varie puntate? Certo che sì: il punto, però, è farlo all’interno di un contesto “sicuro” in cui non si confondono mai le finalità e gli strumenti della parodia. L’ironia si sublima nel paradosso ed è destinata esclusivamente al fenomeno, mai in alcun modo alle parti in causa che divengono parte della struttura comica. Essere gentili ma non buonisti, come si diceva in precedenza. Incisivi, non offensivi.
La formula funziona alla perfezione: Faccende complicate è quanto di più fresco stia girando in tv in questo periodo, e il pubblico sembra aver risposto positivamente alla nuova chiamata di Valerio Lundini. Niente di sorprendente: la trasmissione, pur ricca di momenti di genuina improvvisazione, è figlia di un lavoro attento e certosino che ha creato un contenitore mobile in cui è possibile aspettarsi qualunque cosa in qualunque momento, e rappresenta un gioco di scatole cinesi in cui le dimensioni del racconto si sviluppano armonicamente con disarmante leggerezza. I toni sono quelli di sempre, gli stessi che i fan hanno ormai imparato ad apprezzare da tempo. Non ricorda niente di quel che è in circolazione dalle nostre parti, per fortuna. E non ricorda, soprattutto, la vecchia “pezza”: questo, più di tutto, certifica l’ottima riuscita di un’operazione per molti versi rischiosa, in cui il comico si è messo alla prova con grandissima audacia. Un’operazione che auspichiamo possa sbarcare prima o poi anche in tv e raccogliere un pubblico più generalista ma non per questo più disinteressato, stanco di vedere le solite robe e di sentirsi dire che non si possa più dire niente, perché tutto sommato è vero solo fino a un certo punto. Grazie all’esempio di Lundini e alle sue trovate, pronte a rimettere tutto in discussione e a portarci all’interno di una nuova dimensione espressiva. Sia benedetto il suo equilibrismo, allora: è riuscito a fare ancora una volta quello che voleva dentro un network in cui spesso sembrano più complicate pure le cose più semplici. Demerito degli altri o dei gestori? Assolutamente no: qui si parla solo di meriti. I suoi meriti. Quelli di uno esploratore che ama complicarsi la vita per renderla un po’ più semplice.
Antonio Casu