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Fargo 2: la malvagità degenerativa e la scelleratezza di un caso

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La società è divisa in tanti piccoli microcosmi. In alcuni di essi vige la violenza fine all’arrivismo; in altri la tranquillità si erge a priorità. Il tepore rassicurante della vita quotidiana è l’unico scopo per certi individui. Gioire del potere e incentrate la propria esistenza nell’affermazione di esso è l’unico obbiettivo di altri. Dalla separazione di questi due mondi deriva l’equilibrio. Il giusto compromesso affinché ognuno possa continuare a perseverare nelle sue convinzioni. Ma cosa succede quando la provvidenza ci mette lo zampino e mischia due realtà così differenti e incompatibili? La seconda stagione di Fargo rompe questo compromesso, generando un turbine di eventi incontrollabili, che evidenziano la naturale attitudine al caos dell’uomo.

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Il mondo non è alimentato dalla sedentarietà e dal calore della tranquillità, ma dalla scelleratezza del caos. Quest’ultimo è il filo conduttore di questa triste storia e dell’intera esistenza umana. Il principio di tutto risiede nel fuoco del disordine. La scottante velocità con cui esso contagia gli eventi è disarmante e sembra essere alimentato da un umorismo sadico. La provvidenza è fatale in ciò perché grazie alla sua imprevedibilità riesce a condurre l’uomo verso ciò che ha sempre caratterizzato la sua indole: la violenza.

È il caso della distratta e invasata, seppur innocua, parrucchiera di Luverne: Peggy. La malevolenza del caso la porterà a tramutarsi nel culmine di una scalata di violenza scellerata. La sanguinosa carneficina al Waffle Hut si concluderà con l’inaspettato esordio di Peggy che travolge Rye Gerhardt, reduce dall’aver inscenato un macabro spettacolo. Tale inaspettato episodio si tramuta nella testimonianza spaventosa dell’accanita perseveranza dell’orrore. La morte e l’autodistruzione non bastano a placare un teatrino di sangue. La strage di Rye e la sua bizzarra uscita di scena, investito dall’ignara Peggy, sono solo l’inizio di una brutalità ancor più grande.

Questo evento rompe la barriera che separava i coniugi Blumquist dal mondo oscuro e intransigente della malavita. La famiglia Gerhardt, invece brancola nel buio e dà il via ad un instancabile caccia all’uomo. Nessuna delle due fazioni è al corrente del fatto che le loro vite stanno per intrecciarsi perché Peggy, nel perseverare nella menzogna, è ignara di aver scatenato l’inferno. L’inadeguatezza di Ed e della sua consorte nel gestire una situazione inedita li condurrà inconsapevolmente in una guerra di interessi più grande di loro.

In questo frangente Fargo ci dimostra la pesantezza delle ripercussioni di una menzogna. La punizione che deriva dall’aver sforato da quella che è la propria realtà.

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Non ci si può improvvisare occultatori di cadaveri, non si può impersonare un qualcosa che non si è senza dover poi pagare il conto. Per quanto accurati e attenti i coniugi Blumquist non sono in grado di cancellare quanto fatto senza rivolgersi alle autorità. Sono come due bistecche in un oceano di squali che devono occultare ogni parvenza di sangue, perché al famelico predatore subacqueo basta anche una singola goccia per trovarli. Ed è proprio un’infima e blanda dimenticanza a condurre uno squalo verso di loro.

Nel caos i segreti vengono sempre a galla. Il fuoco non può occultare tutte le verità e una menzogna non può sgominare un magistrale inganno. Ragion per cui un cacciatore trova sempre la propria preda. E per i coniugi Blumquist esso assume le sembianze del silenzioso e letale Hanzee. L’enigmatico scagnozzo della famiglia Gerhardt.

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Tale losco individuo apparentemente immune a qualsiasi emozione assumerà ben presto un ruolo determinante, anzi cruciale. Perchè la sua presenza ed il suo operato renderanno nulle le infiltrazioni esterne. La polizia è in costante ritardo sull’Indiano che scopre la verità in maniera repentina. E, mentre la famiglia Gerhardt scatena l’inferno contro Kansas City, Hanzee comincia a elaborare il suo crudele piano di evasione.

Hanzee è la rappresentazione del caos e la metafora del male. Un uomo senza etica che nasconde una frustrazione recondita dovuta all’irriconoscenza verso colui che lo salvò dalla strada. Come se il bene ricevuto dai Gerhardt non bastasse a coprire gli orrori subiti dalla sua razza. Ed è in più di un’occasione che il misterioso Hanzee espleta questa sua paura insita.

Tutta la seconda stagione di Fargo ruota attorno alle variabili che derivano dalla congiunzione di caos e bugie.

Da questo mix letale deriva il principio per cui menzogna chiama violenza che a sua volta genera sangue, il quale si può lavare via solo con altro sangue. Il massacro finale è l’unica conseguenza plausibile per questo intrigo. L’ammasso di equivoci, bugie ed egoistici compromessi ha portato verso l’unico vero epilogo possibile.

Fargo è maestra di vita perché analizza gli aspetti più reconditi della psicologia umana e li esalta in tutta la loro infamia.

Il ribaltamento e il trionfo del caos nella seconda stagione del capolavoro FX, influenzato dall’operato dei Fratelli Coen, cementifica la convinzione che l’uomo è in grado di distruggere la propria esistenza attraverso, soltanto, una manciata di scelte sbagliate.

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