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A me, fra 500 anni

Fargo
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Cinquecento anni sono tanto tempo. Cinquecento anni cambiano la tua percezione del mondo, delle cose, dell’esistenza. Ole Munch in Fargo 5 vive più di quanto un uomo abbia diritto e desiderio di vivere. Vive oltre i limiti umani, oltre il significato stesso di uomo. E, così, diventa disumano. Ole Munch non parla molto e quando parla lo fa con flemma e fare riflessivo perché quando hai l’immortalità davanti e cinquecento anni alle spalle il tempo si dilata.

Ogni secondo acquista meno significato e il carpe diem perde di valore.

Allora non cerchi più di vivere il momento, di carpire il frutto di un’emozione improvvisa e fugace ma lasci che il tempo fluisca stanco e invidioso della tua immortalità, frustrato dalla sua incapacità di farti sentire umano e caduco. Ole Munch in Fargo 5 è solo, perché nessuno può condividere con lui questo stato. È un dio maledetto, costretto nel suo isolamento, sottratto all’umanità e quindi alienato. Contempla, stanco e compassato, lo scorrere degli anni, l’affaccendarsi e l’avvicendarsi di generazioni di uomini. Uomini che come formiche si affannano per poi finire nel vuoto cosmico della morte.

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Fargo 5, Ole Munch mangia il peccato

Ole Munch comprende più di ogni altro l’insensatezza della vita e dell’uomo perché vede entrambi scorrere davanti a sé, disperdersi nell’aria come polvere che ritorna alla terra. Ole Munch in Fargo 5 desidera quella terra, brama di tornare a sentirne il profumo e anche l’olezzo, il preludio alla morte che implica però che ci sia stata la vita. Munch vive il paradosso di essere vivo per sempre e non potersi sentire vivo. Lui, dio dimenticato e condannato a portare su di sé il peccato di un altro (come vediamo in Fargo 5×03 – La Recensione: rituali oscuri per peccati reali).

Fargo ci restituisce l’ennesima filosofia del male.

Crea sadicamente un altro antieroe che nel pensiero è deputato a fare il male come risultato della sua esperienza. In Lorne Malvo, nella prima stagione, troviamo l’idea che homo hominis lupus ma non possiamo sapere da dove la sua dottrina provenga. Ora Fargo 5 ci restituisce un villain che capiamo e sentiamo vicino perché di lui conosciamo il passato.

Sappiamo che ha preso su di sé i peccati dell’uomo, ha mangiato quei peccati e si è sottratto alla morte. Condannato a vivere nella materialità di quel peccato, a perpetuare il peccato stesso, a farsi lui stesso peccato. C’è tutto il peso di una non-esistenza in questo, nel portare stancamente a termine i proprio compito, dandosi una filosofia di vita che impone che i debiti vengano sempre saldati. Non c’è più l’antimorale di Malvo, non si ha più interesse nella sopravvivenza, nell’imposizione violenta sull’altro. Perché Munch non lotta per la sopravvivenza. Ole Munch non lotta per nulla.

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Fargo 5, Munch aiuta Dorothy

Vive stancamente la necessità di andare avanti, di accettare l’eterna pena che sembra costretto a subire. Quella condanna l’ha accettata tanto tempo prima, cinquecento anni nel passato, e, se è giusto che lui la subisca, è altrettanto giusto che gli altri tengano fede alle promesse. Che tutti paghino i propri debiti. Questa è l’unica cosa certa, questa la sola filosofia che il titano Munch può permettersi. Sa solo questo, che ogni cosa esige qualcos’altro in cambio. “La morte, vita per vita: la mia o la tua“. E chi prova a sottrarsi allo scambio deve essere rimesso al suo posto.

Tutto il resto è polvere che svanisce nell’aria e nel tempo, nella corruzione di anni, uomini e paesaggi.

Nell’eterno cambiamento di ogni cosa. Non c’è altro punto fermo, nessun’altro significato che Ole Munch può trovare. Eppure, senza rendersene conto, un senso alternativo lo cerca disperatamente. Lo cerca a modo suo, nella follia di installarsi a casa di una vecchia signora. “Perché sei qui?“, “pancake” (Fargo 5×04). È la sua ricerca di affetti, di maternità, di quell’umanità che gli è stata tolta sottraendolo al tempo e al suo incedere.

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Fargo 5, il finale della serie

E che ritrova, improvvisa, inaspettata, in totale controtendenza con quanto aveva creduto fino a quel momento. La ritrova nella vera e unica eroina (vi abbiamo raccontato quanto Fargo 5 sappia essere femminista senza femminismo), in Dorothy, che come lui aveva patito il peso del peccato e l’obbligo di scontare il peccato. Ma che pure da quell’asfissiante prigione si era sottratta trovando così nella sua mortalità la felicità degli affetti. Ole Munch nella scena finale di Fargo vede quegli affetti, vede il sentimento che agita l’uomo, che sopravvive all’uomo stesso, che lo rende immortale non in terra ma in spirito.

E d’improvviso si schiude in lui un senso alternativo. La consapevolezza tutta evangelica di rimettere agli altri i peccati per scoprire così che possiamo rimetterli anche a noi stessi.

Per cinquecento anni io, Ole Munch, ho pensato di dover portare il peccato. Di dover saldare un debito che per fame e bisogno ho deciso di contrarre. Ma ora, cinquecento anni dopo, ho capito. Imponevo agli altri il rispetto dei debiti perché credevo non avessi altra scelta che pagare il mio debito. Perché credevo fosse giusto così. Ma non lo è. Mi ero autoimposto una condanna perché non credevo nel perdono. Ora ho capito. Posso rimettere agli altri i loro debiti e rimettere a me stesso i miei. Ora so che posso vivere. Ora divento di nuovo mortale. E torno alla vita. Torno a me, cinquecento anni dopo.