La terza puntata di Fargo si presenta sotto forma di assoluta novità per la struttura a cui la Serie dei fratelli Coen ci ha abituato; infatti, abbiamo assistito ad un episodio “stand-alone” dedicato alla poliziotta capo (o ex capo) Gloria Burgle, intenta a ricavare la verità sulla morte del suo patrigno. Ovviamente, come sempre in Fargo, siccome la morte è frutto di un grande equivoco, tutte le mostruosità che emergeranno in merito al signor Stussy saranno di fatto irrilevanti. Ma ci sono elementi che meritano attenzione, perchè per la prima volta è in evidenza ciò che si era sempre immaginato e pensato guardando le puntate di Fargo: i piccoli paesi del Minnesota sono una mistificazione della realtà legata al resto degli Stati Uniti.
Dal piccolo paese di Eden Valley in Minnesota, Gloria parte per Los Angeles in California, città dalla quale sapeva provenisse il suo patrigno e che immaginava fosse luogo pregnante di risposte per i suoi interrogativi. Per la prima volta, vediamo un personaggio di Fargo uscire dalla realtà dei piccoli paesi e confrontarsi con la città; con il solito tono caricaturale che contraddistingue la Serie, Gloria si imbatte in una realtà estremamente distante da quella dalla quale proviene.
Oltre al forte contrasto tra la neve del Minnesota e il sole della California (paesaggio insolito dunque), le differenze si avvertono ancor prima dell’appuntamento nel pub con il poliziotto, in cui stereotipi e realtà si incrociano fortemente; infatti, già al momento del furto della valigia c’è un atteggiamento di superiorità/maschilismo che l’agente pone in essere verso Gloria per il solo motivo di essere donna e di provenire da un piccolo paese. Il citato incontro al bar, conclusosi con la volgare proposta sessuale del poliziotto, mette in evidenza quanto secondo gli stereotipi americani nel paese, ad esempio, non sia “arrivato” l’utilizzo di Facebook (come se esso fosse effettivamente sinonimo di progresso).
Tuttavia, è innegabile, il senso di disorientamento di Gloria è ciò che l’audience si aspetta: il distacco tra la città e la campagna è troppo netto per i ritmi, il numero di persone e il modo di intrattenere i rapporti umani. Ma sappiamo bene che in quei paesini sperduti del Minnesota sono avvenuti delitti spiacevoli, esattamente come ci viene mostrato sono accaduti anche a Los Angeles; quindi qual è il messaggio?
Il messaggio è che il male non è nel luogo, ma nell’uomo: non importa se sei un abitante di Eden Valley o di Los Angeles, se hai il male dentro lo porterai ovunque tu vada.
Male che emerge con forza da quello che si rivela essere un viaggio inutile (ma della cui inutilità gli spettatori erano già a conoscenza), visto che il tutto nasce paradossalmente da un errore: è stato Maurice, a sua volta morto, la causa della morte del patrigno di Gloria, per la quale si aprono le strade della risoluzione del caso (perchè sappiamo che in Fargo è così che va a finire).
Finora rimasta in disparte, Gloria si prende le sue attenzioni e si rivela essere un personaggio che ci regalerà interessanti spunti di analisi: è, a suo modo, una donna tutta d’un pezzo con una difficile situazione familiare da gestire e soprattutto con un’incombente tempesta criminale da affrontare. Tempesta dalla quale, probabilmente, uscirà vincitrice.