Un uomo una volta disse: “il dado è tratto“. Tale espressione divenne nei secoli successivi un modo di dire molto diffuso. Grazie a una traccia di rassegnazione mista a frustrazione questa frase è l’emblema di qualcosa che non torna più indietro, di un sasso scagliato. Ed è questa la reale chiave di lettura che bisogna utilizzare per la terza stagione di Fargo.
Una volta che hai premuto il grilletto puoi nascondere la mano ma non il fumo che fuoriesce dalla canna della pistola. Fargo ancora una volta esaspera le conseguenze che derivano dal blando approccio a una menzogna.
Non ci sono volute tutte le 10 puntate per capirlo ma sono serviti gli ultimi cinque minuti per confermare l’assenza di una via d’uscita dal labirinto. Perché una volta iniziate certe strade non vi è modo alcuno per aggirarle.
Lo sa Varga, lo sa Nikki, lo sa Gloria e lo sa Emmit. Unici superstiti di una carneficina che si è diramata pian piano da un contesto familiare e grottesco. L’inadeguatezza dei soggetti coinvolti a reagire a determinate situazioni ha permesso che l’influenza malevola del caos abbia potuto proliferare indisturbata. L’ultimo Stussy rimasto deve perciò adeguarsi alla scoperta della verità. Un tentativo può consistere nel rubare a casa dei ladri e ingannare l’ingannatore. Ma a differenza di Nikki egli non riesce a rendersi credibile. Varga non crede neanche per un secondo che Emmit possa utilizzare una pistola per fermarlo. Nemici del genere riescono a influenzare la sorte pur di assicurarsi un abile via di fuga tra i meandri del caos.
Ma che succede quando il caos scontra il caos?
La battaglia finale tra Nikki e Varga giunge finalmente all’epilogo. L’incontro tra i due avversari è palesemente una trappola allestita dall’aguzzina, ma Varga sul suo piedistallo di altezzosa saccenza decide di cascarci. Meemo sente puzza di bruciato e prova con un disperato suggerimento intriso di paura a intimare la ritirata. Mai presagi furono più azzeccati. Il percorso in ascensore di Varga e i suoi sembra una scena da film horror. L’orso diventa agnellino davanti la spaventosa prospettiva di un corridoio buio dove il maleodorante olezzo di paura pervade la scena.
Per la prima volta vediamo Varga in preda al terrore protagonista di una disperata fuga. Nikki ha completato il suo percorso nella consapevolezza di essere una predatrice e attende la sua cena accompagnata una suggestiva melodia. Lo scompartimento che le si presenta davanti è però vuoto. Ciò non crea sconforto o frustrazione perché il piano di Nikki era quello di ferire nel profondo il suo avversario che ora, conosciuta la sconfitta e privato del suo esercito, è irrimediabilmente compromesso.
Nikki ha vinto! Ma in Fargo la vittoria è solo un effimero boccone in un districato meccanismo di azioni-reazioni-caso.
Prendere i soldi è un oltraggio perché qualcuno potrebbe pensare che sia quello il vero scopo della crociata. Ma in realta il significato di questa guerra e vendicare Ray. E per farlo deve prendersi la vita di Emmit. La vedova insegue l’assassino del marito. Lo trova, lo spaventa, lo costringe a vomitare la verità e compie il primo errore fatale della sua nuova vita. Nella vecchia ne aveva commessi tantissimi ed era finita con il pagarli tutti in cambio della redenzione. Nikki perde tempo, blatera, si comporta come il Villain di un fumetto ignorando il fatto che la dura realtà è composta da miliardi di variabili crudeli.
Errore che gli costerà la vita e che renderà vano tutto il suo piano. Emmit ancora una volta è l’inconsapevole molla che scatena una girandola di morte e si trova nuovamente a dover fuggire davanti un freddo cadavere. Inconsapevole della piega che gli eventi hanno preso decide di stringere un patto con se stesso. Una specie di compromesso tra il vero Emmit e quello inventato dalle bugie di Varga.
Il losco trattato che Fargo ti costringe a stipulare. La frustrante attitudine umana ad amare le scorciatoie.
L’ultimo degli Stussy si adagia sugli allori di una confessione che ha il sapore di pentimento egoista: accettare di diventare l’uomo che ha firmato quei documenti pur di voltare pagina. Ignaro del fatto che scappare dal passato è impossibile … la vendetta silenziosa giunge su di lui.
Gloria ha perso tutte le sue battaglie perché schiava di un sistema che sembra fungere da repellente alla verità. La sua battaglia continua anni dopo lontana dalla sua fredda casa. Varga, stavolta col nome Daniel Rand, è davanti a lei. Con una nuova maschera, con una nuova verità ma con gli stessi intenti malvagi. Il perfido boss non è spoglio e inerme davanti le minacce di un agente di polizia. Lui non ha solo cambiato il nome ma come un serpente ha cambiato tutta la sua pelle. Non ci è dato sapere quale sarà la giusta versione della realtà. Non sappiamo se a Gloria mangerà la sua barretta di cioccolato fritta o se dovrà ubbidire all’ennesimo ordine ipocrita della sua vita.
Però possiamo scegliere di credere che il male è solo una spina nel fianco del bene e rifugiarci nell’ultimo enigmatico sorriso di Gloria, oppure stabilire che il bene non esiste in modo tale da non accorgerci del male.
Un diabolico gioco di parole emblema di una stagione che vuole farci percepire piccole sfumature apparentemente ininfluenti ma che possono eclissare qualcosa di immenso.