“The only thing we have to fear is the fear itself” (“L’unica cosa che dobbiamo temere è la paura stessa”). Questa è la famosa citazione di F.D.Roosvelt da cui è tratto il titolo della serie televisiva statunitense creata dal regista Mick Garris. Regista già conosciuto per l’altra serie antologica Masters of Horror, formata da diversi episodi che rappresentano mini-film della durata di circa un’ora e diretti da registi conosciuti ed esperti del genere horror.
Come Masters of Horror, anche Fear Itself, andato in onda dal 2008 al 2009, si basa su episodi (13 per la precisione) slegati l’uno dall’altro e costituiti da mediometraggi della durata di 40 minuti, diretti anche questi da esperti del genere horror come: John Landis (In Sickness and in Health), che ha diretto il videoclip “Thriller” di Michael Jackson; Darren Bousman (New Year’s Day) che ha diretto la serie dei film di “Saw”.
Serie tv di tipo antologico già le troviamo negli anni ’50 con il maestro del brivido Alfred Hitchcock e la sua serie televisiva “Alfred Hitchcock presents”, che ebbe molto successo: dal 1955 arrivò al 1962 con ben 7 stagioni.
Quindi la serie televisiva “Fear Itself” rispolvera un po’ quel genere ormai passato, in cui ogni puntata fa storia a sé con personaggi diversi a ogni episodio e in cui troviamo i classici dell’orrore: vampiri, fantasmi, zombie, psicopatici e killer. Ma anche atmosfere cupe, gotiche e uno degli elementi narrativi più significativi che è la paura, la suspence, che fa da filo conduttore a tutti e 13 gli episodi.
Masters of Horror sì e Fear Itself no?
Senza andare a scomodare il grande Alfred Hitchcock, ci chiediamo come mai Masters of Horror ha funzionato e Fear Itself no.
Lasciando da parte il fatto che quest’ultima non ha avuto i registi di livello come Masters of Horror (ricordiamo tra i tanti Guillermo del Toro e Dario Argento), le libertà sono state un po’ incatenate. In Masters of Horror i registi avevano piena libertà, non c’erano regole eccetto nessuna nudità maschile frontale completa e nessuna violenza commessa su un bambino da un altro bambino. A parte questo, potevano fare qualsiasi cosa. Ciò perché era stata ideata per l’emittente via cavo Showtime. Invece, Fear Itself, ideata per la NBC, doveva stare a regole ben più ristrette. Certo gli episodi potevano essere estremi, ma c’erano delle limitazioni molto evidenti, grazie al fatto di essere su un network invece che sul cavo.
Il problema era in gran parte la struttura: in episodi come “Echoes”, su un giovane che si trasferisce in una casa con dei brutti ricordi, o “New Year’s Day”, sulle conseguenze agghiaccianti di una festa, stabiliscono il loro gancio principale all’inizio, poi spendono il resto del loro tempo in prevedibili sequenze spaventose, che sono meno sull’atmosfera che sul riempire le scene, fino alla grande rivelazione dei momenti finali.
In qualcosa sotto la mezz’ora di lunghezza, questo potrebbe essere sopportabile, ma allungato a più di 40 minuti, è una “faticaccia”.
Diciamo, però, non tutto è da evitare: in ”Chance” ,è uno degli episodi più eleganti della serie, si sarebbe potuto usare qualche ritocco alla sceneggiatura, ma la regia intelligente di John Dahl e una divertente interpretazione di Ethan Embry, tengono insieme la narrazione. È più un thriller, che un horror, e questa è una distinzione importante. Un uomo cerca di uscire dai debiti con un affare d’antiquariato che gli è stato promesso come una cosa sicura. Quando l’affare va male, la sua vita viene cambiata per sempre dall’apparizione del suo doppelgänger direttamente da uno specchio rotto. È identico in tutto e per tutto, tranne che per la sua sicurezza e la sua capacità di sapere la cosa giusta da fare per farla franca con un omicidio; “The Circle” supera alcuni elementi banali e una recitazione mediocre per generare un racconto decente, anche se dimenticabile.
I due episodi migliori di questa serie antologica
Valgono la pena di essere visti: “Skin & Bones” sfrutta al meglio la presenza di Doug Jones ( lo ritroviamo anche in Crimson Peak; The Strain), lanciandolo nel ruolo di un allevatore che sopravvive perdendosi nella natura, solo per riportare a casa qualcosa che era meglio lasciare perduto. E “Eater”, diretto da Stuart Gordon, è buono e profondamente inquietante. Elisabeth Moss ( la ritroviamo in Mad Men) interpreta una poliziotta alle prime armi costretta a difendersi da un cannibale con poteri oscuri; ciò che ne risulta è un prodotto sudato, intelligente e inquietante di cinema. Sepolti in mezzo alla mediocrità, questi due episodi dimostrano che l’antologia horror non è morta, ha solo bisogno di qualcosa di più forte da realizzare.
Con tutti questi presupposti, si capiscono i cali d’ascolto e la successiva cancellazione della serie. Infatti, vennero messi in onda i primi 8 episodi della serie, che poi venne sospesa per lasciare spazio alle Olimpiadi di Pechino 2008. Probabilmente usata come scusa per seppellire la serie televisiva. Gli ultimi 5 episodi furono comunque trasmessi all’inizio del 2009.
Se state cercando una serie horror che non sia troppo estrema per voi, questa è sicuramente giusta. Non è ai livelli di “Tales from the Crypt” ( 1989-1996) o Masters of Horror, ma è certamente un buon livello di ingresso nel genere della televisione horror.
Invece, se volete godervi una serie antologica di questo stampo, allora meglio rivedersi le puntate di Masters of Horror oppure puntare su una serie televisiva di carattere antologico più sviluppata e ben più avanti, che è American Horror Story.