Abbiamo usato quattro elementi per descrivere, nel breve spazio di un titolo, la serie tv Netflix Feel Good. Ma ognuno di questi apre un micromondo, una riflessione, nel senso che si concede a nuove vie di pensiero, ma anche che riflette come uno specchio i raggi della visione in altre direzioni.
Iniziamo con il dire che Feel Good è una serie piacevole, che si fa guardare nello stesso godereccio e naturale modo con il quale ingollate una birra fresca nell’arsura estiva. Non ha pretese, né sogni di gloria, ma la narrazione si dipana davanti ai nostri occhi con una delicatezza di quelle che si fanno ricordare.
Partiamo dall’inizio. La serie ha come protagonista e co-ideatrice (insieme a Joe Hampson) Mae Martin, una giovane attrice comica canadese. La protagonista di Feel Good condivide parecchio con la sua interprete: anche lei si chiama Mae, anche lei ha origini canadesi ed è una stand up comedian che sbarca il lunario (forse) grazie al suo lavoro in un club londinese. Proprio durante una delle sue performance incontra George, la sua futura fidanzata. George è eterosessuale, ma è molto attratta da Mae e dopo brevissimo tempo le due si mettono insieme.
La serie, con i suoi agili e leggiadri sei episodi da meno di mezz’ora l’uno, mette in scena le difficoltà della relazione tra le due. Da un lato George, che si è sempre considerata eterosessuale, non riesce a vivere socialmente la sua relazione, e proprio questo non fa che acuire le mai sopite insicurezze di Mae che non si sente accettata, adeguata, desiderata. Eppure la nostra protagonista ha spesso cercato ragazze eterosessuali, come racconterà sua madre (Lisa Kudrow) a George. Dietro questa parvenza di incoerenza si cela la sfida più profonda: quella di dimostrare a noi stessi chi siamo. Mae ha anche una brutta storia di dipendenza da cocaina alle spalle, questione che inizialmente aveva taciuto all’innamorata. Quello della cocaina è l’espediente per un’apprezzabile analisi circa il concetto più generale di dipendenza. Siamo tutti bravi a individuare le classiche dipendenze, persino ad additare il tossico, ma quello che sta dietro questa difficoltà, quello che determina e comporta l’essere persone dipendenti, ben oltre al proprio rapporto con la droga, ci viene raccontato con eleganza in Feel Good.
Il rapporto che Mae ha con la cocaina è, a tratti, speculare a quello che Mae ha con George e, molto probabilmente e freudianamente, legato a quello che Mae ha con sua madre.
La storia d’amore con George è la miccia che permette l’esplosione sul palco di Mae. Esplosione nel senso proprio di detonazione interiore che fa in modo che la giovane svuoti il pesante sacco dei suoi pensieri, dei suoi sentimenti proprio sul palcoscenico, regalando alla massa che è lì solo per farsi due risate gli intimi problemi sentimentali di George, sessuali e di identità di genere propri. Non c’è alcuna intenzione di ferire o mettere in ridicolo qualcuno, è solo uno sfogo che, a detta di un grande e bifolco attore che calca il palcoscenico da un po’ e piace molto a George, farà grande presa sul pubblico. Non serve per forza conoscere Ricky Gervais per rendersi conto della forza comunicativa della stand up comedy, e nemmeno per accorgersi che a volte è più facile essere sinceri – e brutali – in un monologo su un palco che nell’intimità di un dialogo in una camera da letto. Nascondere le proprie insicurezze e fragilità sotto l’elegante manto dell’ironia può essere un ottimo escamotage per sopravvivere.
Certo, ci vuole coraggio per dire certe cose davanti a tutti, ma non si è davvero disarmati: al pubblico rimarrà sempre il dubbio che quanto detto sia una gag studiata a tavolino. Per assurdo, quando sono molti gli occhi che ci guardano è un po’ come se non ci guardasse nessuno. Non fino in fondo, certamente, ma avete capito il concetto. Quando stiamo aprendo noi stessi di fronte a un’unica persona, lì sì che siamo guardati. Soprattutto se questa persona è quella che amiamo. In quel momento siamo nudi davvero e la nudità richiede tanto coraggio.
Insomma, Feel Good scorre via liscia senza che nemmeno ve ne accorgiate. Vi fa sorridere e trascorrere del buon tempo, mentre vi mette – ma con estremo tatto – davanti agli occhi la questione del genere, le difficoltà sociali legate all’orientamento sessuale, il problema delle dipendenze e quello dell’amore. Ciò che ci rimane, dopo la visione, non è un grande insegnamento o una storia indimenticabile, ma la consapevolezza ancora più profonda che ci vuole tanto e, al contempo, ci vuole poco per sentirsi – davvero – bene.