Io, un uomo di cultura: “Alex l’ariete”
La mia bolla social:
La domanda è: “Come si giunge dal punto A al punto B?”. Qualcuno potrebbe dire “Vabbè, facile, è talmente brutto che oggi ce lo ricordiamo per quello!”. E invece no perché, negli ultimi trent’anni, di film italiani discutibili ce ne sono stati parecchi, e nessuno ha lasciato questa eredità d’affetti come avrebbe detto il poeta. Non ci credete? Quando ne abbiamo parlato nella nostra pagina, non solo Alex l’ariete è stato il film più citato, ma anche il più difeso perché, rispetto a tutti gli altri, nel tempo aveva saputo acquistare una propria dignità. In pratica, per questo film, l’essere brutto è stato un traguardo da raggiungere, non un inferno in cui cadere.
Ma com’è stato possibile tutto questo? Oggi siamo qui per raccontarvelo e, se avete letto i miei ultimi articoli, sapete già come tutto comincia: facendo un passo indietro…
Vi va di fare un gioco? Un indovinello, dai, facile facile. Pronti? Ok. Allora, se vi dico “poli televisivi in Italia”, cosa vi viene in mente? Beh, abbastanza ovvio, Rai e Mediaset (ma ve l’avevo detto che era facile!). E se non fosse sempre stato così? E se in un momento specifico la storia fosse stata diversa? Preparatevi, che vi porto in un tempo che qualcuno di voi non conoscerà, e qualcun altro avrà preferito dimenticare, ma è ora di ricordare chi eravamo e chi (non) potremmo ritornare ad essere.
Siamo negli anni ’90, Internet esiste ma la sua diffusione globale è ancora di là da venire e per l’intrattenimento di massa non c’è ancora molta alternativa al cinema e alla tv. Tradotto, chi arriva su quei mezzi, arriva al pubblico e può portargli tutto ciò che vuole. Rai e Mediaset ovviamente si spartiscono la torta di produzione, distribuzione e conseguenti introiti pubblicitari, ma quello che pochi ricordano è che al tavolo c’è un terzo giocatore, non solo potente quanto loro ma anzi, spesso, capace di mettere i piedi in testa al duopolio costituito dalla tv di Stato e da Berlusconi. Sto parlando di lui.
Il fatto che l’ultima generazione non lo conosca, è comprensibile: del resto, il declino di quest’uomo è cominciato proprio agli inizi degli anni 2000, ma fino ad allora era stato, insieme al padre e poi da solo, a capo del più grande gruppo di produzione e distribuzione cinematografica del nostro paese. Una storia da film se pensiamo che il padre, Mario Cecchi Gori, nasce come autista di Dino De Laurentis e Vittorio De Sica e finisce per produrre alcuni dei più grandi successi della commedia all’italiana. Il figlio lo affianca e, alla sua morte, avvenuta nel 1993, prende in mano le redini dell’azienda di famiglia, che tutti conoscono come Cecchi Gori Group, anche se negli anni ha cambiato diverse volte nome.
Vittorio Cecchi Gori, divenuto il capo assoluto del marchio, ha un’idea clamorosa e decide di fare il grande passo. Il suo pensiero è più o meno questo:
I miei più grandi avversari, Rai e Fininvest (il gruppo da cui poi nascerà Mediaset, ndr) possiedono tutti tre canali televisivi: la Rai i primi tre canali e Berlusconi quelli subito successivi. Ma il telecomando è fatto di nove canali, e gli ultimi tre non hanno ancora una proprietà unica.
Detto, fatto: citando da Wikipedia, Vittorio Cecchi Gori “acquista le reti televisive Videomusic (poi divenuta TMC 2 tra il 1996 e il 1997) e Telemontecarlo (poi diventata l’attuale LA7 nel 2001) ed entra nell’azionariato di Telepiù”. Tradotto, Cecchi Gori partecipa alla nascita di LA7, MTV e Sky che nei fatti, dopo diverse acquisizioni, fusioni e vendite, compreranno e marchieranno degli spazi che senza di lui non sarebbero probabilmente mai stati così appetibili.
Ok, ma forse stiamo divagando. Che c’entra tutto questo con Alex l’Ariete? C’entra perché Vittorio Cecchi sembra una quota indie nel panorama italiano. Uno che gioca allo stesso gioco degli altri, intendiamoci, ma con regole tutte sue, ed è il primo che capisce, insieme a Berlusconi, che la vendita dei suoi prodotti passa innanzitutto per la vendita di sé stesso e, come Berlusconi, accetta di far parlare di sé anche in maniera greve se serve ai suoi affari.
Questo gli permette di ottenere dei successi clamorosi nel cinema (Il postino, Seven etc.) ma lo rende anche oggetto di molte parodie, su cui torneremo.
Bene, verso la fine degli anni ’90, Cecchi Gori ha un’idea geniale: “S’è appena ritirato Alberto Tomba, facciamogli fare un film!”. Così de botto, senza senso. Ma in realtà l’idea in sé un senso ce l’ha, e pure forte; per capirlo però dobbiamo ricordare chi era Alberto Tomba all’epoca, per chi non l’ha vissuto.
Alberto Tomba è stato semplicemente uno dei più grandi sportivi italiani di tutti i tempi. In un mondo in cui Internet non esisteva con la stessa diffusione di oggi (e non sapete quanto è importante ripeterlo) non c’era nulla di più importante di quel campione, un uomo di cui sentirsi orgogliosi perché emanava un’energia attrattiva assoluta. Quando Alberto Tomba sciava, si fermava l’Italia. Non mi credete? Guardate qui sotto:
Ma questo non sarebbe mai accaduto se Tomba non fosse stato, contemporaneamente, un’assoluta icona pop, vera, ruspante e mai timorosa di mostrarsi per quel che era. Un gigante che amava la vita in tutte le sue forme, che non si era mai troppo preso sul serio e che non aveva chissà quale rispetto per le etichette. Anche per questo, tra l’altro, era bersaglio fisso di Mai Dire Gol che non solo lo ospitava “in originale” nelle interviste ma per anni ne ricreò il personaggio con un bravissimo Gioele Dix a farne la parodia.
I punti forti della parodia erano l’assoluto amore per le donne, l’abissale ignoranza (Tomba critico d’arte è stato uno dei punti più alti di quella stagione) e i tormentoni tra il suo passato (“Non son più un carabiniere”) e il rapporto incomprensibile con l’allenatore, amico e a sua volta leggenda dello sci Gustav Thöni (“Non lo capivo perché lui non parla l’italiano, ma del resto nemmeno io!”).
Ecco, alla fine della stagione sportiva del 1998 Alberto Tomba annuncia il suo ritiro. Non solo, decide di ritirarsi dal mondo dello sport professionistico in generale, facendo soltanto promozione e senza nemmeno considerare le carriere di allenatore e manager. Detta in breve, sarebbe quasi scomparso dagli schermi. Ed è allora che Cecchi Gori tenta il colpo clamoroso: dare una nuova vita ad Alberto Tomba investendo sulla sua immagine pop.
Detto fatto, un miliardo di lire e Tomba finisce sotto contratto con la Cecchi Gori Group. Non serve altro, sarà Tomba a fare tutto il lavoro e a portare la gente al botteghino. Soggetto, sceneggiatura, location e cose così le lasciamo quasi al caso, verranno da sé. L’unico altro investimento forte è la regia: lì Vittorio Cecchi Gori va sul sicuro, sceglie il migliore della sua scuderia, Damiano Damiani, tanto per capirci, colui che aveva diretto “La Piovra”, una delle migliori serie tv italiane di tutti i tempi. Dell’idea, del resto, non c’è neanche granché bisogno: all’epoca girava il progetto di una fiction Mediaset proprio con Tomba, chiamata Turbo. Non se ne fa niente, Cecchi Gori prende tutto, impacchetta e riadatta per il cinema.
Resta solo un’ultima scelta da fare, la coprotagonista femminile. E il criterio di scelta è lo stesso: un volto che sia conosciutissimo al pubblico italiano ma allo stesso tempo sconosciuto o quasi al cinema. E c’è un nome perfetto: Michelle Hunziker.
Svizzera, biondissima, modella dal fascino algido e accecante, per il cinema e la tv ha fatto all’epoca pochissimo, ma è sulla bocca di tutti gli italiani per due storie che col cinema non c’entrano niente. Nel 1995, ancora teenager, viene scelta tra centinaia di ragazze e diventa la testimonial del più famoso marchio di intimo italiano dell’epoca. Risultato? Per un anno è sui cartelloni di qualunque città.
Nello stesso anno, la modella va a un concerto del suo cantante preferito, uno che negli anni ’90 macinava successi di vendite uno dopo l’altro: Eros Ramazzotti. Lì si conoscono, ed è un colpo di fulmine: nonostante Eros abbia 32 anni (differenza d’età che creò grosso scandalo all’epoca) la passione è travolgente, un anno dopo nasce Aurora, la loro prima figlia, e nel 1998 si sposano in una cerimonia da favola al Castello Orsini-Odescalchi di Bracciano. Per una generazione cresciuta con Cioè e Top Girl che mostravano cantanti e attori come vere icone di vita e di stile, è praticamente la storia del decennio e per anni i due sono stati sulla bocca di tutti.
Michelle è perfetta per essere la coprotagonista insieme ad Alberto Tomba. Fa niente che sia svizzera, olandese e tedesca ma che nel film debba interpretare una ragazza russa e che il suo sia un personaggio piuttosto “ingombrante” per un’attrice che ha sempre saputo dare il meglio in ruoli più leggeri e da spalla (non per niente il suo capolavoro è questo), fatto sta che la seconda anima di Alex l’Ariete è lei!
E intorno ad Alberto Tomba e Michelle Hunziker bisogna costruire un cast di volti, più che di attori veri e propri (anche se pure quelli non mancano, per fortuna), persone riconoscibili ma che non offuscassero i due protagonisti. E anche lì la scelta risulta azzeccata: un gruppo di attori che avranno poi un discreto futuro nel mondo dello spettacolo, ma che in quel film sfoderano interpretazioni “memorabili”.
Perché Alex l’ariete è un buco nero: Tomba era un attore senza alcuna esperienza e spesso in imbarazzo (fu lui stesso a dirlo in un’intervista di qualche tempo dopo) e la sua recitazione coinvolse tutti coloro che si trovavano sulla scena e pure i tecnici. Sentite cosa dice Gabriele Corsi, altro attore del film, su cosa accadeva durante le riprese:
Il risultato fu un film che sì fece flop al botteghino e fu massacrato da critica e pubblico ma che raggiunge l’ambizione massima del trash, il trash non voluto, un qualcosa di avanti vent’anni che oggi sarebbe (e infatti è) considerato un capolavoro dei film che puntano a desacralizzare i generi istituzionali come il poliziesco. Ecco, immaginatevi i vari CSI, dove tutti sanno fare e dire la cosa giusta al momento giusto, ok? E adesso immaginate Tomba che punta una pistola alla sospettata (Michelle Hunziker, of course) e deve distogliere gli occhi per leggere palesemente il copione.
Il punto è che con chi crea parodie volute dei vari generi di film e serie tv (pensate a Boris) noi dobbiamo sempre dividerci tra il ridere per ciò che vediamo sulla scena e l’omaggiare la bravura di chi ha saputo dissacrare, attività difficile oggi più che mai.
Qui invece no: in Alex l’ariete non c’è nulla ma assolutamente nulla che si salvi, e noi per questo non dobbiamo salvare nessuno. Dobbiamo solo ridere, anche su una vicenda molto seria, e possiamo liberarci, spanciarci, senza nessuno che ci osservi, ci segnali o ci giudichi. Ridere, senza censure: ma da quanto tempo non lo facevamo? Ma da quanto tempo non c’era qualcosa che ci permettesse di farlo?
Ecco, il tempo è la parola chiave. Non lodiamo Alex l’ariete, ma il tempo in cui è stato creato, perché oggi una operazione del genere non sarebbe più possibile. Evitiamo per una volta di andare sulle categorie di “giusto” e “sbagliato” ma limitiamoci a segnalare dei fatti:
- Tomba non solo non sarebbe mai diventato un attore ma avrebbe avuto anche discreti problemi durante la sua carriera, soprattutto per il suo rapporto con la stampa;
- Il casting che ha portato alla ribalta Michelle Hunziker su tutti i cartelloni italiani non sarebbe mai esistito, perché oggi nessun brand nazionale si sponsorizzerebbe con cartelloni di quel tipo. Non ve li ricordate? Ecco un servizio della tv svizzera al riguardo;
- Nessuno avrebbe portato al cinema un’idea così folle. Al massimo sarebbe finita nei cataloghi dei servizi di streaming, ma molto in profondità.
Il punto non è la qualità o meno del tutto; il punto è l’incompatibilità. Incompatibilità che a sua volta fa rima e cozza con libertà. Non ci manca Alex l’ariete per la trama (fateci caso, non c’è nessun meme famoso sul film, nessuna citazione) ma per la libertà di cui ha goduto nel processo creativo, che vuol dire anche libertà di realizzare qualcosa di completamente diverso dalle intenzioni del produttore.
Libertà di credere seriamente in un fenomeno mediatico di un altro campo e fargli fare qualcosa che non punti alla popolarità social ma a un intento artistico. Tradotto, Alex l’ariete fa ridere proprio perché non vuole far ridere, ma ci manca, e lo ricordiamo, perché è libero dagli schemi da cui oggi noi stessi siamo ingabbiati.
In poche parole: Tomba non ha padroni, Tomba è un elfo libero. Di quanti di noi potremmo dire lo stesso?