Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piatteforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto American History X.
PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere American History X? Ecco la risposta senza spoiler
Vi avvertiamo subito: American History X è un pugno allo stomaco che vi scuoterà talmente tanto che ci vorrà un po’ prima di riprendersi, con quelle scene intensissime e la violenza alla Arancia Meccanica, ovvero scioccante quanto funzionale. Un film così crudo, drammaticamente vero e terribilmente attuale – nonostante sia uscito nel 1998 – che fa male. Eppure, proprio per questo deve essere assolutamente visto, anche solo una volta. Basterà per renderlo indimenticabile.
Tratto da una storia vera e disponibile su Sky e Now Tv (a noleggio su Amazon Prime Video, Apple Tv e Timvision), è la storia in parallelo di due fratelli: Derek e Danny Vinyard. Il primo e maggiore dei due è un fervente naziskin, uno dei leader di un gruppo legato alle frange più estreme del neonazismo. L’arresto per il brutale omicidio di due afroamericani e la successiva detenzione in carcere, però, lo cambiano profondamente, portandolo a rinnegare il suo credo. Ma, una volta uscito, scopre che Danny ha seguito le sue orme e fa di tutto per impedirgli di compiere i suoi stessi sbagli. O le conseguenze saranno tragiche.
Attraverso la messa in scena senza pietismi o retoriche di un mondo che terrorizza per la sua verosimiglianza con la realtà e nel quale nessuno è esente da colpe, American History X è una potente riflessione sui pregiudizi e sul razzismo, parole che tutti conoscono ma sul cui vero significato raramente si soffermano, mostrando che cosa vuol dire avere una convinzione così radicata nell’animo. È un ritratto feroce e critico della violenza insita nella democraticissima società statunitense; dove, anche senza distinzioni, l’odio non fa che generarne altro, seppur velato dalla speranza di redenzione. Tony Kaye trascina lo spettatore nell’inferno di giovane e rabbioso principe caduto, quel Derek interpretato magistralmente e intensamente da uno straordinario Edward Norton, fulcro emotivo e drammatico, eccezionale nel catalizzare l’attenzione del pubblico anche solo muovendo qualche muscolo facciale. Senza di lui parleremmo di tutt’altra pellicola, tanto che l’Oscar se lo sarebbe ampiamente meritato.
Un’interpretazione di rara potenza filmica che non può essere semplicemente spiegata a parole; deve essere vista, così come questo capolavoro di film. E una volta fatto, tornate qui a leggere la nostra analisi.
SECONDA PARTE: L’analisi (con spoiler) di American History X
American History X è un film che si misura con la storia del proprio paese, quella più controversa, dolorosa e fallimentare, per capirne le ragioni e per non ripeterla. E lo fa esplorando le vite di due persone qualunque, Derek e Danny, in un continuo rimando tra passato e presente identificato dal cambio di colore. Il primo è in bianco e nero perché rappresenta il modo in cui Derek vedeva il mondo: senza sfumature, diviso conflittualmente in un noi “amico” e un loro “nemico”. Il secondo, invece, sprigiona ogni tonalità possibile, poiché il ragazzo capisce che la realtà non è monocromatica, ma piena di scanalature, di grigi, di un unico noi.
In particolare, le sequenze del passato illustrano l’origine dell’odio che pervade la vita del protagonista.
A una tranquilla cena in famiglia, un giovane e aperto Derek parla con entusiasmo di un nuovo professore dal quale sta apprendendo molto. Il disappunto del padre è enorme quando scopre il colore della pelle dell’uomo, perché per lui il concetto di uguaglianza tra neri e bianchi è sbagliato; infatti, non metterebbe mai la sua vita nelle mani di un collega pompiere afroamericano. Insinua così nei figli il tarlo del razzismo che si fortifica ulteriormente in Derek quando il padre viene ucciso da alcuni spacciatori neri. La rabbia lo acceca a tal punto da scagliarsi violentemente contro il compagno ebreo della madre, mostrandogli quel tatuaggio con la svastica che lancia il suo messaggio ancor prima che parli, accompagnato dalle parole: “Lo vedi?! Questo significa non benvenuto!”
Una scena semplice quanto spaventosa per dimostrare che nessuno nasce con un’ideologia preimpostata nel cervello. A Derek è stato insegnato a disprezzare l’altro, prima dal padre che ne ha rovinato i valori e la mentalità, poi dal mentore che ne ha usato la vulnerabilità per renderlo uno dei suoi soldati migliori. È più facile, infatti, educare alla disuguaglianza e rifugiarsi nella sicurezza dell’identità assegnata al colore della pelle; cercare in un minoranza ritenuta inferiore il capro espiatorio per la precarietà economica, l’alto tasso di criminalità, l’emarginazione sociale, le mancanze di uno stato poco presente; non assumersi le responsabilità di quei problemi che gli stessi naziskin contribuiscono a creare. Rompendo e devastando vetrine e negozi, trasformando il tutto in una lotta frustrante tra poveri.
Se da un lato American History X apre uno spaccato su una società intollerante verso il diverso, dall’altro ne svela uno ancor più profondo e complesso. Infatti, riguarda l’eredità familiare e quanto, se mescolata con presunzione, onore e approvazione, si riveli tossica. Derek non vuole altro che compiacere suo padre e, dopo la sua morte, ne onora la memoria intensificandone la retorica perché, ai suoi occhi, è quello che avrebbe fatto il genitore. Solo in carcere scopre la stupidità nello scegliere gli amici in base al livello di melatonina nel corpo e come l’amicizia sia qualcosa che va oltre l’apparenza.
Paradossalmente per Derek la prigione diventa il luogo della liberazione.
Al suo interno impara sul serio a vedere il mondo. Si rende conto che bianchi e neri non sono categorie nette, ma che i loro contorni si avvicinano sempre di più fino a confondersi. Tutti in carcere sono raggruppati tra gli ultimi, ma alcuni lo sono più di altri a causa del razzismo: infatti, un afroamericano che ha tentato di rubare un televisore deve scontare sei anni, mentre un bianco che ha ucciso volontariamente due uomini solo tre. E sono dei neonazisti che abusano di Derek fisicamente e psicologicamente, trascinandolo in una sorta di contrappasso dantesco.
Una punizione per le sue azioni, soprattutto il brutale omicidio con cui si apre American History X. Quello in cui l’ideologia si sublima in azione e l’uomo si trasforma in bestia. Perché il leader non è solo colui che motiva e incita, ma anche chi si sporca le mani di sangue, chi con i suoi gesti dà l’esempio. Quando la polizia lo arresta, il primo piano di Derek mette in luce il bagliore sinistro del suo sguardo e la follia data dall’odio, dal disprezzo per le regole, dal senso di superiorità e dall’appagamento perverso, che restano impressi nella mente. E non solo di Danny.
Proprio quegli afroamericani che Derek tanto disprezza lo aiutano in prigione, due in particolare. Il suo ex-professore Sweeney e il galeotto Lawrence gli provano, con calma e pazienza, che le sue paure sui neri sono infondate; allo stesso modo dei pregiudizi che Derek si è creato su di loro per giustificare la morte del padre. Soprattutto, il dialogo con il primo dopo lo stupro subito racchiude l’essenza più vera dell’essere umano:
S: Tu devi farti la domanda giusta.
D: E qual è?
S: Tutto quello che hai fatto, ti ha reso la vita migliore?
Derek crolla tra le lacrime dopo questa domanda, realizzando il vuoto dietro l’odio e di essere la causa della distruzione della sua famiglia. In questo viaggio agli inferi è stato spezzato e sacrificato, ma solo dalla metaforica morte del suo vecchio io può rinascere, diventare migliore e volare libero come gli uccelli del flashback della sua infanzia. Si purifica sotto l’acqua della doccia di casa sua, lontano da quella della prigione in cui ha subito una delle scene più violentemente inquietanti della cinematografia, ma purtroppo necessaria per il suo cambiamento e perché, alla Oz, apre un’importante finestra sulla feroce e cruda vita carceraria. Dove vige la regola del più forte, dove i deboli soccombono. Si osserva allo specchio e si copre la svastica che l’acqua non ha lavato via. Rendendosi, però, finalmente conto che ha sempre avuto una scelta e ora sta scegliendo di abbandonare l’oscurità e far entrare il colore.
La bestia torna a essere uomo e, mentre cerca di salvarsi, deve portare alla redenzione il fratello.
Un Danny che continua a portare avanti l’eredità di famiglia dopo che Derek è finito in carcere, diventando ciò che quest’ultimo vorrebbe. O almeno pensa. Danny lo idolatra, cerca sempre di coglierne le reazioni (come alla cena di famiglia), lo segue indipendentemente dall’ambiente sociale e anche se non è d’accordo con le sue idee, sta con i suoi amici e odia i suoi nemici (emblematico è il fumo che spara in faccia al ragazzino afro, come a volerlo cancellare). Perché vuole disperatamente la sua approvazione.
Si vede perfettamente nel loro incontro dopo la scarcerazione di Derek, una delle scene più significative in American History X.
I due si salutano nel soggiorno di casa e si abbracciano timidamente. Derek gli accarezza la testa rasata, guardandolo con delusione e terrore, deglutendo nervosamente. Danny da vedere con orgoglio a Derek il suo avambraccio (che Kaye inquadra ingegnosamente dal basso, mostrando solo la faccia stordita di Norton, il braccio pallido di Furlong e il soffitto claustrofobico che li avvolge entrambi). Derek inorridisce, perché quello non è un semplice tatuaggio, ma un segno malefico che cambia tutto. La vera prigione. Per Derek è arrivato il momento di invertire il ciclo di razzismo che affligge la sua famiglia. Per Danny, invece, la reazione confusa e spaventata del fratello significa che, per la prima volta, questo non è ciò che deve essere. E allora insieme rimuovono ogni cartellone, bandiera, effige e simbolo d’odio che li ha tenuti in ostaggio per troppo tempo, lasciando un muro vuoto a chiedersi “Chi sono?”. Come i Vinyard, intenti nella ricostruzione della loro esistenza.
Perché il razzismo non è una malattia incurabile, non è genetico, ma un virus culturale che può essere sconfitto con il compromesso, il confronto, l’educazione intesa come gli strumenti necessari per comprendere le differenze che rendono meraviglioso questo mondo. Nessuno ha torto o ragione nel film; è l’odio stesso a essere condannato poiché è sbagliato, distruttivo e non risolve alcun problema. Non fa altro che aggiungere dolore, sofferenza e, come dice Danny:
“L’odio è un bagaglio”.
Più consuma Derek, più lo trascina verso il basso. Più lo alimenta, più risucchia ogni cosa nel suo buco nero, lasciandolo con il letale suono di proiettile nelle orecchie e il corpo esamine del fratellino tra le braccia. Nello sconforto più totale, senza speranza, chiedendosi disperatamente che ha combinato perché le azioni hanno delle conseguenze e non è stato lui a pagarle. Ecco i motivi per cui American History X DEVE essere visto: è potente insegnamento di vita; un messaggio attuale, rumoroso, violento e malinconico per non cadere in quel nulla chiamato odio.