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Assassinio a Venezia e l’antica notte di Halloween – La Recensione

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Assassinio a Venezia, una delle uscite più attese dell’anno, concentra interamente la sua narrazione sulla notte del 31 ottobre, quella che identifichiamo oramai come la notte di Halloween. Durante il film viene narrato che, in quell’autunno del 1947, Halloween viene festeggiata perché è stata portata dagli americani durante la Seconda guerra Mondiale. Sorprende però vedere già, dopo così poco, una simile partecipazione e una simile gioia nei confronti di questa serata (persino le suore partecipano!). Infatti durante la narrazione Leopold Ferrier, il figlio del dottor Ferrier, ricorda che da tanto si narra che durante la notte di Ognissanti i morti tornano sulla terra, creando così un legame tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti.

In occasione di Halloween 2023, vogliamo quindi parlare nuovamente di questo film di Kenneth Branagh, e fare un breve approfondimento riguardante proprio le antiche origini della festa di Halloween, le quali non sono affatto americane come si crede. Si trattava invece di una delle notti (non l’unica!) che simboleggiava un momento di passaggio importante durante l’anno. Una notte che segnava l’inizio di un periodo di 12 giorni, com’era spesso usuale per molte feste passate, come lo Yule celtico (e sempre una festa celtica, il Samhain, potrebbe essere il progenitore di Halloween). Terminava dunque con quello che per noi oggi è il giorno di San Martino, l’11 novembre, la fine del periodo nel quale i morti tornano sulla terra.

Ecco quindi un approfondimento su una festa che, nell’ambito delle serie tv, ha una grande importanza con tanti episodi dedicati a questa giornata, se non addirittura veri e propri filoni. Vogliamo però mettere le mani avanti: nella narrazione di Assassinio a Venezia, per quanto sia plausibile indicare i soldati americani come “responsabili” della nuova diffusione di Halloween, è difficile che ci sia molto di vero. A quanto ci risulta la vera diffusione di Halloween in Italia avviene qualche decennio dopo. Il fatto che la festa potesse attecchire già allora, ricollegandosi alla precedente festa pagana e all’amore dei veneziani nei confronti delle maschere, non è inconcepibile; ciò non toglie però che diffuse prove di bambini che si travestono (anche se ci sono testimonianze di zucche illuminate già negli anni ’50 in Italia!).

Oggi rimangono solo alcune testimonianze e ricordi provenienti dalle campagne. Può fare sorridere ma era forte la credenza che i morti si aggirassero tra noi, e che dovessero svolgersi determinati “rituali” per accoglierli

Assassinio a Venezia (720×400)

La festa di San Martino rappresenta una delle prove più significative del fatto che alcune feste o tradizioni legate alle popolazioni locali hanno origini estremamente antiche. In queste possono essere notate le credenze e le idee dei popoli che le festeggiano molto più che in altre feste, oggi di maggior successo, le quali hanno però origini territorialmente distanti. Inoltre questa festa e quella di Halloween non sono semplicemente simili, ma sono esattamente la stessa festa, la quale in un caso ha perso una parte delle caratteristiche che aveva un tempo, mentre nell’altro è stata mantenuta e si è adattata all’epoca contemporanea. Nel folklore italiano vi sono numerose feste le quali lasciano intendere che in passato fossero dei Capodanni, ovvero dei momenti nei quali si chiudeva un ciclo e si cominciava un periodo nuovo, dopo essersi purificati da ogni forma di impurità. Ciò avveniva perché la civiltà contadina, basando la propria vita su produzioni dipendenti dalla natura, aveva adottato una concezione del tempo ciclica, nelle quale si ripetevano le stagioni e gli eventi naturali. I Capodanni erano numerosi e cambiavano a seconda della comunità e, secondo alcuni studiosi, a seconda del tempo.

Era essenziale riuscire a ottenere il favore dei morti, i quali erano considerati i veri artefici della buona riuscita del raccolto. Infatti le società agricole vedevano i defunti come custodi delle sementi e simbolo della fecondità, specialmente durante l’inverno. Si pensava che i morti continuassero a vivere nel suolo alimentando i raccolti, perché attraverso la loro crescita sarebbero ritornati in vita. Il focolare domestico veniva visto come il luogo di passaggio delle anime dei defunti, ma solo quelle degli antenati benevoli, i quali potevano così rientrare direttamente nelle proprie abitazioni. Il fuoco del camino era una divinità protettrice della casa, con notevoli somiglianze con i numi domestici latini, ed erano in grado spesso di trasformarsi in fate o streghe. Al contrario gli spiriti irrequieti dovevano essere allontanati dalle proprie abitazioni, funzione che veniva svolta dal pane, il quale aveva una forte valenza apotropaica. Era opportuno non macinare il grano perché questo era un periodo di prosperità, di semina appunto, e non poteva corrispondere alla sua distruzione. Oltretutto la fine delle semine veniva a coincidere con la fine del processo di vinificazione, per cui “ogni mosto è vino”, e questo periodo diventava un periodo di abbondanza, in cui si festeggiava e si auspicava che i beni futuri sarebbero stati altrettanto abbondanti.

Questo periodo però, con il temporaneo annullamento dei confini tra il mondo dei vivi e quello dei morti, era caratterizzato anche da morti che si aggiravano tra i vivi, sia sulla terra che sul mare. Si facevano riti di accoglienza e questue rituali nei confronti dei defunti, anche se avvenivano l’11 novembre e non nella notte del 31 ottobre, come si verifica oggi per Halloween. Processioni di morti, messe celebrate da un sacerdote morto e una pericolosa caccia selvaggia che si aggira per i villaggi, sono solo alcuni degli elementi che caratterizzavano questa festa. Tutto ciò veniva affrontato con vivande lasciate sulle tombe e sulle tavole, e questue rituali con persone talvolta mascherate che, in nome dei defunti, chiedevano cibo di casa in casa. La presenza di morti pericolosi, tali perché morti di morte prematura o violenta, imponeva anche la necessità di riti in grado di difendersi da essi. Molte usanze infatti possono essere ritrovate in entrambe, in particolare il ritorno dei morti e le questue rituali, con vicari dei morti stessi, talvolta travestiti, che si aggirano per il paese chiedendo offerte e dolci. L’origine della festa è molto più antica della festività di Ognissanti, che venne collocata nel giorno 1 novembre solamente nell’VIII secolo, proprio per cercare di sovrapporlo a una festività pagana presente, come era consuetudine. In seguito venne aggiunta la Commemorazione dei defunti nel giorno seguente, la quale aveva evidenti affinità con la festa pagana che veniva celebrata. Secondo gli studiosi questa festa avrebbe invece origini celtiche, nonostante venisse festeggiata anche in zone in cui i Celti non erano giunti, fatto che ha portato a ipotizzare che potesse discendere da un popolo ancora precedente.

Il ritorno di persone morte in modo violento e prematuro, in Assassinio a Venezia, è rappresentato da Alicia, alla ricerca di vendetta sulla madre

Assassinio a Venezia
Assassinio a Venezia (720×400)

Tra gli elementi segnalati, è evidente che in Assassinio a Venezia sia presente soprattutto la vendetta di una persona venuta a mancare per morte violenta. Alicia cerca vendetta nei confronti della madre per la morte da lei provocata. Di grande impatto è il finale, un finale nel quale il film decide di lasciare la questione in sospeso. Probabilmente Poirot è ancora sotto l’effetto del miele avvelenato, ma una risposta chiara non viene data. Non sa con certezza se l’anima di Alicia che torna dall’oltretomba sia un’allucinazione o una visione reale.

Ciò che conta davvero è che l’intero film presenta un’atmosfera lugubre, una notte in cui sembra che i morti abitino la villa infestata. Sin dall’inizio, in cui la villa è colma di tanti bambini travestiti da personaggi mostruosi, con lampadari che cadono dal soffitto, sembra di vivere in una notte in cui davvero i morti si aggirano per le sale. L’intervento della medium e le sue comunicazioni costruite ad arte, con la complicità di Ariadne Oliver, alimentano enormemente questa sensazione. Poirot svela ogni sotterfugio eppure, su quel momento finale, persino lui mantiene qualche dubbio. Il tutto si fa ancora più enigmatico quando il piccolo Leopold Ferrier saluta il padre, affermando che si sarebbero rivisti in futuro senza alcun dubbio. Un ultimo saluto emblematico, durante la mattina che segue la notte tenebrosa.