Asteroid City è arrivato nelle sale cinematografiche, atteso da tutti i fan dell’esteta Wes Anderson che sono accorsi ad occupare le poltrone rosse per non perdersi quello che doveva essere uno dei tanti capolavori del regista. Tuttavia, dopo averlo visto con estrema fatica (pur essendo una fan di Anderson), posso dire con quasi assoluta certezza che qualcosa sia andato storto. Asteroid City, proprio come le altre pellicole del regista, è un capolavoro dell’estetica, un viaggio a occhi aperti in un mondo parallelo dai toni pastello, e in questo capitolo sono più evidenti che mai, forse perché oltre a quelli c’è ben poco.
Non a molto è servito il cast stellare, che conta anche una piccola comparsa di Margot Robbie; a poco è servita una musica quasi inesistente; ancor meno è servita una sceneggiatura blanda, superficiale, perché Asteroid City non supera la prova sbadiglio, e per quanto io ami questo genere, ho faticato a tenere gli occhi aperti.
Asteroid City non ha senso
Asteroid City non ha senso, eppure non è questo il punto a suo sfavore. Si tratta di una commedia metatestuale che passa da una narrazione all’altra, da realtà a finzione, sfondando la quarta parete con una facilità che pochi possono vantare. La mia preventiva precisazione è per tutti coloro che potrebbero pensare che io sia una da film facile o lineare, perché di base è l’esatto opposto. Ciò che non ho particolarmente gradito del film è stata la superficialità di Anderson nella costruzione di una sceneggiatura che si è palesemente adagiata sugli allori di una scenografia che non è solo il suo marchio stilistico, ma una certezza.
Nel nuovo film di Wes Anderson, il presentatore interpretato da Bryan Cranston annuncia che “Asteroid City non esiste“, un piccolo insediamento nel deserto degli Stati Uniti vicino a un cratere meteorico. La città ospita l’annuale convention Junior Stargazer, dove giovani geni ricevono premi per progetti scientifici. Augie Steenbeck (Jason Schwartzman), un fotografo di guerra, arriva con il figlio Woodrow e tre gemelle. Si uniscono anche Stanley Zak (il premio Oscar Tom Hanks), suocero di Augie. Tra gli altri visitatori ci sono l’attrice Midge Campbell (Scarlett Johansson), l’uomo d’affari J.J. (Liev Schrieber), Sandy (Hope Davis), una classe con l’insegnante June (Maya Hawke), il cantante Montana (Rupert Friend) e alcuni altri. La stravagante compagnia si prepara a un evento misterioso legato all’attività extraterrestre in un omaggio al classico immaginario fantascientifico. Le basi sono queste, ma tutto il resto è caos.
La complessità del film è l’ultimo dei suoi problemi
La costruzione di Asteroid City ricorda molto la struttura narrativa a matrioska già ampiamente utilizzata in quello che è senza dubbio il più grande Capolavoro (e sì, la maiuscola qui è voluta) di Wes Anderson: Gran Budapest Hotel. Il medium è altamente sfruttato, decostruito e analizzato minuziosamente nel suo behind the scene, punto di partenza di quella che sarà una storia che inizia da un teatro e finisce per mostrarci un alieno quasi stilizzato. I confini spazio tempo sembrano perfettamente delineati dalle non solo metaforiche pareti del teatro, ma anche dai rimandi temporali che ci illudono di assistere a un presente, quello in bianco e nero con Adrien Brody per intenderci, e un passato, quello appunto nella colorata Asteroid City. Tuttavia, di delineato non vi è proprio nulla e gli spazi tempo sono solo il punto di partenza, distrutti scena dopo scena, atto dopo atto.
La contrapposizione tra lo spazio fisico del teatro e quello scenico, immaginario, spettatoriale, è forse la parte che più ho apprezzato e che maggiormente avrei voluto approfondire, forse perché tutto il resto è stato solo un contorno sbiadito e trascurato. Nonostante i colori forti.
La caratterizzazione dei personaggi
Dalla sala si esce confusi, questo è un dato di fatto, ma comunque non più confusi dei personaggi che ci vengono mostrati nel film. Augie Steenbeck è un fotografo di guerra asettico, quasi incapace di esprimere emozioni tramite le sue espressioni, ma mai quanto Midge Campbell, l’attrice dal volto di pietra, una statua truccata che la Johanson interpreta alla grande, ma effettivamente è forse uno dei ruoli più facili che ha incontrato nella sua carriera. Tutti gli altri personaggi sono appena accennati, buttati in qualche scena senza nulla che li diversifichi (Steve Carell è sprecato in tre battute), senza che ci resti impressa una frase, un’espressione o un momento in particolare.
Il fatto che risulti quasi difficile seguire i dialoghi è ancora più preoccupante se consideriamo che intorno non vi è praticamente nulla che possa distrarci. La staticità della macchina da presa, tipica dello stile di Anderson, ci pone di fronte a due finestre che sfruttano il contro-campo, proprio come se fossimo in una sala di teatro, eppure le emozioni che queste immagini e suoni ci trasmettono non sono le stesse che dovrebbero arrivarci. Non vi è neanche la musica, appena accennata e sicuramente nulla rispetto alla colonna sonora dei film precedenti. Insomma, Anderson ci ha sempre abituati a pellicole piene di personaggi (pensiamo solo a The French Dispatch), eppure questa volta non è riuscito a render loro giustizia.
Asteroid City pecca di presunzione?
Tirando le somme di quanto detto e quanto visto (una passerella sterile di attori famosi), Asteroid City è sicuramente il primo vero passo indietro del regista, che da I Tenenbaum non ci aveva poi così delusi.
I dialoghi scorrono a fiumi, così come le carrellate e i piani lunghi, eppure tra tutta questa gran regia e presentazione manca un posto per qualcuno: lo spettatore. Che Anderson abbia peccato di presunzione, spinto forse dalla consapevolezza delle sue doti da esteta, appare quasi un dato di fatto, una sorta di colpo basso nei confronti di uno spettatore che l’ha sempre provato a seguire in ogni nuova sfida narrativa. Dal teatro al deserto di Asteroid City, Wes Anderson sembra aver perso la bussola. Tuttavia non sarà questo a farmi perdere la speranza di un nuovo piccolo capolavoro, come quelli che anni fa ci facevano uscire un po’ confusi, ma felici, dalle sale cinematografiche.