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Il film della settimana: Beautiful Boy

Beautiful Boy
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Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piatteforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Beautiful Boy.

PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Beautiful Boy? Ecco la risposta senza spoiler.

Disponibile su Amazon Prime Video (a noleggio su Timvision e Apple Tv) e diretto da Felix van Groeningen, Beautiful Boy è un toccante e amaro racconto sulla dipendenza che coinvolge un padre premuroso e amorevole, il giornalista David Sheff, e il suo bellissimo ragazzo dallo sguardo profondo, ovvero il figlio Nic. La separazione dalla madre ha fatto sì che i due costruissero un rapporto intimo, profondo e confidenziale, come se fossero due amici che si confrontano di continuo, hanno gli stessi hobby e non hanno paura nel lasciarsi andare a rivelazioni personali, cavalcando le onde assieme e brindando ai successi di Nic con un’apparentemente innocua canna. Insomma, uno spinello non ha mai fatto male a nessuno, no?

Ma quegli spinelli si sono trasformati in metanfetamine, poi in eroina, poi in qualsiasi droga Nic potesse sperimentare. Solo per alzare l’asticella, solo per curiosità. Anche se la verità è più oscura del previsto.

Beautiful Boy

Inizia per Nic un viaggio autodistruttivo che non ha barriere, né limiti; un giro sulle montagne russe con risalite e cadute, che però non intacca mai l’intenso rapporto tra i due. È lo stesso ragazzo che confessa al padre la tremenda realtà: è un tossicodipendente. E accetta di andare in riabilitazione perché vorrebbe davvero uscirne, mentre David sviluppa la necessità di conoscere tutto sulla problematica del figlio.

Steve Carell e Timothée Chalamet prestano il loro immenso talento a due personaggi complessi, aderendovi con sensibilità e riuscendo a sopperire alla struttura filmica volutamente non lineare. Le performance si nutrono a vicenda, dando il meglio quando gli attori condividono lo schermo. Se il ruolo più emotivamente arduo è di Carell, la responsabilità più forte è di Chalamet, alla prova del nove dopo la candidatura all’Oscar per Chiamami col tuo nome e intento a modulare la sua prestazione, mostrando il sorriso solo nei momenti giusti.

Beautiful Boy è una lezione di cinema che tocca nel profondo, un film di attori e di emozioni, classicamente realistico e pieno di speranza, impossibile da non vedere. E quando l’avete fatto, tornate a leggere la recensione completa di questa bellissima e, purtroppo, sottovalutata pellicola.

SECONDA PARTE: La recensione spoiler di Beautiful Boy

I film che parlano di dipendenza solitamente percorrono due strade ben definite, poiché affrontano uno dei grandi tabù della nostra società, uno di quei peccati gravi perché considerata non una malattia, ma una scelta volontaria che distrugge la propria vita e quella degli altri: la prima è la durezza che condanna aspramente senza capire; la seconda è la retorica che illustra gli orrori per sensibilizzare il pubblico come in un lungo spot pubblicitario.

Ma non Beautiful Boy.

La pellicola costruisce un drammatico resoconto della tossicodipendenza e dipinge uno sfaccettato ritratto di un rapporto umano, ovvero quello di un padre che si scontra con la dura realtà di un figlio caduto nel vortice della droga. Il David di un formidabile e poliedrico Carell è commovente e distrutto dai sensi di colpa, dal dolore, dalla rabbia e dalla disperazione per la situazione di Nic. Non può credere che il suo bellissimo ragazzo possa esser stato così stupido, del resto quale motivo avrebbe per ricorrere alle sostanze stupefacenti? La sua infanzia è stata felice, la sua famiglia economicamente sta bene ed è uno studente brillante appena ammesso in sei college: il futuro sembra roseo per lui, eppure tutto cambia dopo la prima pasticca. Il rifiuto di David si trasforma in preoccupazione, poi in un’ossessione così incontenibile da rischiare di perdere anche gli altri figli. Perché vedere la sofferenza di Nic e nei volti di altri giovani drogati, incontrati per strada in una notte in cui lo sta cercando, è un fardello insopportabile. E purtroppo deve prendere atto della sua impotenza, rassegnandosi quando Nic tocca il fondo in Beautiful Boy.

Semplicemente a volte l’amore non basta; anzi, può essere dannoso perché non permette di vedere le cose con chiarezza.

Tre sono i suoi momenti significativi: David stremato che chiede sostegno a un collega per salvare Nic; il loro saluto all’aeroporto avvenuto anni prima con l’impattante frase “non ho parole per rappresentare il mio amore per te”; il crudo, drammatico e inevitabile rifiuto ad aiutarlo dopo l’ennesima notte di droghe, mentre in macchina di Nic c’è una ragazza in overdose. Ed è angosciante vedere David nuovamente attaccato al telefono e piangere la distruzione del suo tesoro più prezioso. D’altronde, come ribadisce Beautiful Boy, il terrore più grande di ognuno di noi è vedere il proprio figlio soffrire senza poter fare nulla per soccorrerlo. Il film così ci permette di entrare nella mente smarrita di David e di allinearci alle sue paure e alla sua frustrazione. E lo fa grazie alla grandissima performance di Carell che, assieme a Chalamet, regge baracca e burattini: questa non è una cosa negativa perché, per mostrare la sofferenza di un genitore, non servono particolari strumenti di scrittura, quanto l’autenticità dell’attore.

Beautiful Boy, infatti, ci illustra gli effetti terribili che l’abuso di sostanze ha non solo su chi ne è dipendente, ma anche sui loro cari. Oltre a David, c’è la matrigna di Nic, Karen, affezionata a lui da sempre: straziante è la scena in cui si butta al suo inseguimento con la macchina e si ferma piangendo, capendo di essere impotente. Senza dimenticare l’impatto devastante e il turbamento in noi suscitato da quella donna in lacrime che confessa il senso di liberazione per la morte della figlia drogata, perché in realtà lei se n’era già andata da tempo.

David fa di tutto perché la stessa cosa non capiti a Nic, che noi conosciamo per la prima volta in Beautiful Boy quando è un diciottenne. È in camera sua, così bello e dannato, come lo stacco sul libro di Fitzgerald ci suggerisce. Ma non è solo affascinante, è anche intelligente, innamorato della lettura e della scrittura, un attraente fragile solitario che cerca il colore nel bianco e nero della vita. A ogni costo. Provando ogni tipo di droga, ha sperimentato una sensazione di benessere al quale non vuole rinunciare, riempiendo quel buco nero che lo risucchia senza pietà e facendogli percepire l’inganno dell’esistenza e l’eccitazione della follia. Un ragazzo descritto perfettamente dai versi della canzone di John Lennon che dà il titolo al film:

“La vita è ciò che ti capita mentre sei impegnato a fare altri progetti”

Beautiful Boy

Chalamet ci cattura con una performance straordinaria, intensa, genuina e straziante, dove evita di romanticizzare il suo personaggio e riesce a incarnare ogni drammatico aspetto della tossicodipendenza: dagli scatti di rabbia alla paranoia, dal nervosismo all’aggressività. In ogni gesto, parola o azione possiamo cogliere la fragilità di Nic che vorrebbe smettere ma non ci riesce, la vergogna per quello che fa, il senso di colpa per scaricare sui suoi familiari questo fardello. Perché non c’è un vero motivo dietro il suo uso di droghe: semplicemente, come dice al padre in un momento di lucidità, gli piacciono e il film non ci dà una risposta, dato che risposta non c’è.

Uscire da quel tunnel è difficilissimo. E allora la dipendenza diventa la metafora di quell’abisso che ci costringe a osservare un’immagine di noi che non vogliamo vedere, che desideriamo cancellare.

Nonostante una narrazione un po’ troppo frammentata e didascalica, con estremo realismo dato dal quel circolo continuo di ricadute e guarigioni, Beautiful Boy pone l’accento su un problema molto più diffuso di quanto non crediamo. Pensiamo che l’infinito sia alla nostra portata e cerchiamo di raggiungerlo col veleno più congeniale, dimenticando la nostra condizione mortale. Come fa Nic. È la storia di tutti noi, quando un mostro senza cuore può impossessarsi anche delle famiglie dove regna affetto e amore; è la narrazione straziante di un dolore che non trova pace, di un’incessante battaglia tra impotenza e coraggio. La sofferenza, espressa in ogni sua forma, coinvolge sia i personaggi che noi. Perché la verità è che, nel momento in cui ci troviamo immersi in un dramma così autentico, si smette di essere spettatori.

Eppure ricorderemo sempre quelle scene in cui Nic guida con il vento tra i capelli per le strade della California; quando si ferma a piangere e a parlare con chi non può ascoltarlo; quando si accascia sul pavimento del bagno di un bar dopo un’overdose; quando corre come un ragazzo qualsiasi sullo skateboard, gioca con il fratellino sulla sabbia, abbraccia il padre. E se questo non bastasse, Chalamet ci regala un’ultima emozione nei titoli di coda, leggendo una poesia che rende universale la situazione di Nic e che conclude il film con commozione, come meglio non poteva.

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