Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piatteforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Big Fish – Le storie di una vita incredibile.
PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Big Fish – Le storie di una vita incredibile? Ecco la risposta senza spoiler
Big Fish – Le storie di una vita incredibile è una tenera riflessione sul significato della vita, raccontata tramite le favole di un uomo fuori dall’ordinario: è Edward Bloom, eccentrico cantastorie che si identifica con le fiabe di cui è protagonista, popolate da streghe con occhi di vetro, giganti, gemelle siamesi, pesci grandi come umani. Se da bambino suo figlio Will adorava quei racconti dall’aria sognante, da adulto non li accetta più. Ormai disincantato, non perdona il padre di aver passato la vita narrando quelle storie tanto incredibili quanto razionalmente false, senza aver permesso a lui e agli altri di conoscerlo veramente. E glielo dice:
“La cosa affascinante degli iceberg è che si vede solo il 10%, l’altro 90% è sotto il livello dell’acqua. E con te è lo stesso papà, vedo solo un pezzetto che spunta dall’acqua”
Il loro rapporto così si deteriora al punto che comunicano attraverso Sandra, madre di Will e moglie di Edward. Solo di fronte al cancro terminale di quest’ultimo provano a ricomporre la frattura, portando lo spettatore verso uno splendido e commovente finale.
È Tim Burton a firmare questa meravigliosa pellicola, disponibile su Netflix (fino al 30 giugno, salvo un eventuale rinnovo successivo) e a noleggio su Amazon Prime Video, Apple Tv e Chili. Abbandonati i tipici scenari gotici e oscuri, Big Fish è un’esplosione di colore e luce. Il regista alterna la visionarietà fascinosa di quelle storie mirabolanti con momenti spogli, geometrici, emotivamente potenti del mondo reale, soprattutto nei dialoghi tra Will ed Edward. Fonde così il fantastico al dramma, la favola al sofferenza e alla malinconia degli esseri umani, regalando allo stesso tempo un film spettacolare e magico, ma anche intimo e delicato, complesso e dai tanti livelli di lettura. Si ride, si piange, ci si commuove e si viene inaspettatamente conquistati da uno dei migliori film di Burton.
E, una volta visto, continuate a leggere l’articolo per scoprirne i molteplici significati nascosti.
SECONDA PARTE: L’analisi dei significati di Big Fish – Le storie di una vita incredibile
È dunque il rapporto padre-figlio a essere al centro di Big Fish, colorato dalle straordinarie storie che Edward non ha mai smesso di raccontare. Un eterno Peter Pan così innamorato della sua vita che, però, si scontra con la maturità e il desiderio di verità di suo figlio, spettatore di quell’esistenza da bambino e totalmente estraneo da adulto. Tradito dal suo stesso padre, Will non ha più fiducia in un uomo che non gli ha mai rivelato chi sia davvero e che non vuole farlo, nemmeno sul letto di morte. Quasi è sollevato da questa notizia: libero dall’ingombrante genitore, può essere così la figura paterna di cui il suo bebè in arrivo ha bisogno. Perché Edward è un cattivo esempio e lui vuole fare meglio, vuole dire sempre la verità.
Eppure non è con lui che deve chiarirsi, ma con l’idea che si è fatto di Edward; un padre che non è stato minimamente quello che desiderava, totalmente diverso da lui. O almeno crede. In quanto scrittore, infatti, Will non fa che mettere su carta fatti mai accaduti, i medesimi che suo padre ama narrare al punto da essersi trasformato in essi. È quella la verità che ha deciso di raccontarsi e ha davvero importanza se si nasconde dietro narrazioni fantastiche, ma che lasciano trasparire un amore così grande? Will lo capisce alla fine, tanto da accettarlo e diventare egli stesso un suo personaggio, accompagnandolo nell’ultimo, incredibile viaggio.
E comprende anche che i genitori ci lasciano sempre un’eredità: nel suo caso sono le storie di Edward e tutti quei meravigliosi dettagli col quale le rende uniche, là dove si scovano innumerevoli e bellissime metafore.
La più importante in Big Fish – ed è la traduzione del titolo in italiano – è il grosso pesce presente fin dai primi fotogrammi; quell’animale che adatta le sue dimensioni al luogo in cui si trova, ma che in libertà può addirittura triplicare la sua stazza. La stessa cosa accade a Edward, poiché il pesce lo rappresenta: il suo paese è, infatti, l’acquario che lo sta limitando. Nel momento in cui riconosce quei confini e li supera, allora prende in mano la vita per plasmarla a suo piacimento. Anche e soprattutto attraverso l’immaginazione, indispensabile per rendere il mondo perfetto per noi e i nostri desideri. Come dice appunto Edward:
“Hai mai pensato che forse, non sei tu ad essere troppo grande, ma questo paese ad essere troppo piccolo?”
Uscire dall’acquario, però, è spaventoso perché l’ignoto lo è. Edward potrebbe rimanere per sempre ad Ashton, perché i suoi compaesani lo stimano molto, e dunque ottenere grandi cose anche nel luogo in cui è nato, nella zona di confort dalla quale è difficile andarsene perché lì ci sentiamo sicuri. Però, con le sue limitazioni in ciò che si può fare e imparare, Edward non potrebbe mai coronare i suoi sogni. Allora vince il terrore dell’ignoto, esce dal conformismo e vive alle sue condizioni. E quello che permette davvero a Edward di farlo è la visione della sua morte nell’occhio di cristallo di una strega. L’accetta – anche perché in fondo è quello il destino di tutti noi – e, quando si trova in una situazione pericolosa da cui sarebbe più facile scappare, l’affronta senza paura ripetendosi che non è in quel modo che morirà, potendo così proseguire serenamente nel suo cammino.
Giunge quindi in un paese utopico, bucolico e ameno. Spectre, infatti, dovrebbe rappresentare il capolinea di un viaggio, quella città immersa nella felicità e nella tranquillità sognante di un mondo spensierato. Perfetta sì ma non finisce per diventare noiosa? Per porre dei paletti che la trasformano in un’altra zona di comfort, in un altro acquario? Perché la libertà che si raggiunge in Spectre si paga con la prigionia nella città stessa, lasciandosi alle spalle quel che poteva essere. Come succede al poeta Norther Winslow.
Ciò viene ottimamente esemplificato dalla rinuncia alle scarpe, fondamentali in Big Fish.
Proteggono i piedi quando usciamo della nostra abitazione, ma al suo interno non ne abbiamo bisogno. Chi vive a Spectre, dunque, ha raggiunto un luogo da chiamare casa, in cui rimanere e potersi togliere le scarpe, vagando allegramente scalzo per la cittadina. Si sono guadagnati così una libertà illusoria nel lasciarle a penzoloni su un filo per il bucato, posizionato alle due estremità di Spectre quasi come fossero le porte d’ingresso nella città, una spada di Damocle che pende sul viandante che vi arriva dopo aver attraversato la foresta.
Ma Edward non sopporta di non poter creare altri sogni, altre storie, altre straordinarie avventure, anche se abbandona le sue scarpe a Spectre rimanendo senza protezione, anche se come dice lui stesso:
“Neanche mi aspetto di trovare un posto migliore”
Il nome, poi, non è casuale, riferendosi a spettri e apparizioni. Dunque è una citta ingannevole, a tratti inquietante e ciò è dimostrato dal pesce che Edward scambia per una donna: infatti, a seconda di chi lo guarda, assume la forma della cosa che desidera di più. E il protagonista vuole una donna, vuole l’amore eterno e durevole. Come il pesce con il quale si identifica che, dopo aver evitato diverse reti, viene catturato da un anello nuziale, simbolo del suo desiderio, simbolo di Sandra. Supera molti ostacoli per arrivare a lei, dopo il loro bellissimo e fulminante primo incontro in Big Fish: un momento magico di poesia dolcissima, dove Edward la vede in lontananza per poi perderla bruscamente tra la folla.
Nell’istante in cui i loro occhi si incrociano, il mondo si ferma e gli permette di avvicinarsi a lei. È meravigliosa con i capelli biondo rossastri che le incorniciano il viso, gli occhi dalla bellezza naturale, il vestito azzurro che contrasta e risalta sul rosso delle tende, illuminato da riflettori che la fanno sembrare la più importante attrice dello spettacolo. Un angelo sceso dal cielo, una presenza eterea che, come è apparsa, scompare, seguendo il copione di una favola. E il tempo ricomincia a muoversi a velocità doppia, facendola dissolvere come aria al vento.
Solo dopo tre anni conosce il suo nome, la trova e la corteggia, regalandoci una delle scene più meravigliose e famose del film: quella nel campo di asfodeli.
Esplodono i colori in un’esaltazione visiva straordinaria, soprattutto il giallo e l’arancione che, completando uno schema analogo, donano un look armonioso e rassicurante, senza tensioni. Rimandano alla gioia e alla felicità con il giallo; trasmettono entusiasmo, estro, creatività e l’idea di un nuovo inizio con l’arancione. Niente baci tra Edward e Sandra perché ora sarebbe prematuro, perché hanno tutta la vita per farlo e per conoscersi. Il solo guardarsi negli occhi e sorridere è sufficiente in quell’istante, incarnando il raggiungimento di un sogno, l’idillio che blocca lo scorrere degli eventi. In quel frangente esistono solo loro due; quello è il reale momento perfetto, che supera di gran lunga Spectre.
Tuttavia, la guerra si mette in mezzo ai due amanti. Edward, però non può perdersi la sua vita. Come in una fiaba, riappare dietro un lenzuolo steso in giardino e riabbraccia la principessa, annullando la sua morte. Se non fosse tornato, non avrebbe potuto essere il protagonista del suo finale e non se lo sarebbe mai perdonato. Perché, in fondo, quello che Edward, Tim Burton e Big Fish vogliono dimostrare è che ognuno può fare cose straordinarie, superare le paure, uscire dal noto e tracciare la propria strada. Se la realtà e il cinema sono fantasia, allora il cinema è realtà; è lo strumento attraverso il quale questi due piani si sovrappongono, che permette a giganti, gemelle siamesi, streghe, pesci, umani di ritrovarsi assieme al commovente funerale finale, ricordando le tante avventure vissute insieme. Non è meraviglioso?