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Il film della settimana: Blood Diamond – Diamanti di sangue

Blood Diamond
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Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piatteforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Blood Diamond – Diamanti di sangue.

PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Blood Diamond – Diamanti di sangue? Ecco la risposta senza spoiler

Con Blood Diamond – Diamanti di sangue (disponibile su Netflix e a noleggio su Amazon Prime Video, Apple Tv e Timvision) Edward Zwick confeziona una pellicola che catapulta lo spettatore nella drammatica e straziante situazione dell’Africa alla fine del ‘900, nel tentativo di fargli aprire gli occhi su una pagina contemporanea fin troppo dimenticata.

Lo scenario si concentra sulla Sierra Leone del 1999; lì Danny Archer, contrabbandiere di diamanti, viene colto in flagrante con il suo carico e arrestato al confine con la Liberia. In prigione conosce Solomon Vandy, un pescatore catturato dal RUF (Fronte Unito Rivoluzionario) e costretto ai lavori forzati per cercare i diamanti. Archer scopre che Vandy ne ha nascosto uno rosa di grandissimo valore e, una volta usciti di galera, i due stringono un patto: se Danny lo aiuterà a trovare la sua famiglia, Solomon lo porterà alla pietra. Così si ritroveranno ad attraversare un paese infestato dalla guerra, accompagnati da una giornalista americana, Maddy Bowen, in cerca dello scoop della vita.

Incisiva, ricca di pathos ed emozionante, spettacolare e significativa, tanto che la lunghezza della pellicola non si percepisce, l’opera di Zwick riesce ad equilibrare eccellentemente le tematiche sociali (e le critiche all’Occidente) con la classicità dell’intrattenimento di stampo hollywoodiano. Pur con qualche ingenuità, il film non fa mai retorica, dimostrando coraggio e attenzione nella trattazione di tematiche crude quali la distruzione di famiglie, la guerra civile, i bambini soldato, i mercenari senza scrupoli. La regia alterna diligentemente le elettrizzanti scene d’azione con le lunghe sequenze in campo aperto dei meravigliosi paesaggi africani. E la fotografia, infatti, è mozzafiato nella sua bellezza. A tutto ciò si aggiunge un trio d’attori impeccabile: Leonardo DiCaprio nei panni di Archer, Djimon Hounsou come Vandy (entrambi candidati all’Oscar per i rispettivi ruoli) e Jennifer Connelly nella parte di Maddy.

Blood Diamond è, dunque, una storia avvincente e incredibilmente attuale, tanto da far male e far riflettere più del dovuto. Come noi, che le abbiamo dedicato la nostra recensione nella successiva seconda parte.

SECONDA PARTE: La recensione (con spoiler) di Blood Diamond – Diamanti di sangue

L’Africa, terra preziosa e piena di materie prime, è da sempre un luogo di conquista, dove i paesi occidentali hanno portato avanti le loro politiche imperialistiche e, dopo la decolonizzazione, hanno creato territori liberi sulla carta, ma strettamente dipendenti dai loro interessi nella realtà. Determinati Stati e multinazionali, la lobby delle armi, con il desiderio di diventare sempre più ricchi e potenti, hanno alimentato guerre civili, macchiandosi del sangue delle popolazioni locali e permettendo il domino di spietati signori della guerra. Il risultato sono delle vere e proprie stragi di civili; in Sierra Leone, ad esempio, il conflitto interno tra il 1991 e il 2002 causò più di cinquantamila morti. Ed è in zone del genere che proliferano i contrabbandieri, che non si fanno scrupoli nell’accaparrarsi la risorsa più importante della nazione, ovvero i diamanti. Quelli che andranno a costituire il 15% del mercato mondiale, giungendo in Europa e negli Stati Uniti. Non una cifra da poco.

E sono insanguinati perché frutto dello schiavismo, della guerra, dell’eccessiva violenza del RUF, di quelle persone rese vittime di un crudele vortice di morte e distruzione. Dove nemmeno i bambini vengono risparmiati; indottrinati e addestrati a imbracciare un fucile fin da piccoli, trasformati in strumenti di un massacro terrificante.

Dei soldati in piena regola.

In questo drammatico contesto Blood Diamond inserisce il dramma di Solomon Vandy, umile pescatore la cui esistenza viene sconvolta dall’attacco del RUF al suo villaggio. Per recuperare i suoi cari, è disposto a tutto, anche a scendere a patti con chi il suo Paese lo sta rovinando, ovvero il contrabbandiere Danny Archer. Quest’ultimo vuole il diamante perché vede in quella pietra la possibilità di lasciare per sempre una vita e un passato tragico, che l’ha visto vittima e complice del ciclo di sangue e corruzione del suo Continente. Due uomini agli antipodi, eppure entrambi genuinamente africani (Archer è nato nello Zimbabwe), accumunati dallo stesso obiettivo: recuperare qualcosa che cambierà in meglio la loro storia, riscattandoli dalla miseria e dalla tragicità.

Blood Diamond

Come successe nel bellissimo L’Ultimo Samurai (sempre di Zwick), il loro incontro crea un conflitto di culture e idee, che trova un punto d’incontro in una causa più grande.

Inoltre, è attraverso il loro emotivamente coinvolgente viaggio che veniamo trasportati all’interno del ferito e pericoloso Continente africano, con i due che si muovono in un luogo dove l’umanità è stata accantonata in nome del Dio denaro.

Trasformando Blood Diamond in un resoconto delle problematiche fin troppo attuali di una terra distrutta e usando la storia per sensibilizzarci su tematiche atroci e più vicine del previso, Zwick punta il dito contro l’indifferenza e la colpevolezza dell’Occidente, perché loro hanno iniziato tutto questo, perché è più facile girarsi dall’altra parte e non vedere. Ma scava anche dentro le contraddizioni di un popolo che, invece di scacciare l’oppressore, si prodiga in una lotta fratricida dove nessuno ne uscirà vincitore. Se non l’invasore. Insomma, che vittoria potrebbe mai esserci nel trasformare dei bambini in soldati? Togliergli un’infanzia allegra, spensierata e metterli in mano un fucile, per uccidere? Straziante e lancinante è, a questo proposito, quando Solomon, con le giuste parole e solo facendogli sentire il suo amore, riesce a recuperare il figlio, che gli punta una pistola addosso, da un destino peggiore della morte.

Al mercenario e al pescatore, poi, si unisce la giornalista. Personaggio importantissimo in Blood Diamond, poiché rappresenta il testimone di un mondo spesso ignorato e abbandonato. Tenace e idealista, Maddy è inizialmente mossa da un tornaconto personale (come Archer e Solomon): trovare una connessione tra i contrabbandieri di diamanti e una nota multinazionale di gioielli. Sono tre tipi che non mancano nella cinematografia, ma che sono calati in un contesto che difficilmente si vede a Hollywood, ovvero quello sociale di un’Africa dilaniata dai combattimenti. Viene allora scandagliata la loro interiorità e, piano piano, riescono a capirsi e a empatizzare con l’altro. Regalandoci anche un platonico amore (quello tra Archer e Maddy) che non diventa mai banale, che è perfetto nel suo rimanere irrealizzato.

Il vero valore aggiunto di Blood Diamond, però, sono le interpretazioni dei tre attori principali.

Djimon Hounsou non è nuovo a ruoli del genere, come dimostrano ad esempio le performance nel Gladiatore o in Amistad di Spielberg. Il suo Solomon non nasce eroe, ma è costretto a esserlo. In lui vediamo la sofferenza e la disperazione di un africano costretto in catene dai suoi simili; di un marito a cui si riempiono gli occhi di gioia quando vede sua moglie nel capo di rifugiati (momento di un impatto potentissimo, che ci fa stringere il cuore e ci dà un’idea della dolorosa situazione in Sierra Leone); di un padre ferito, arrabbiato, distrutto per come stanno trasformando il figlio in un’arma, ma combattivo e deciso a riprenderselo. A ogni costo. Jennifer Connelly, intensissima e bravissima come sempre, lascia emergere tutta la forza, la grinta, l’astuzia e la dolcezza di una donna la cui missione è più importante di ogni cosa. Persino dell’amore, persino della vita.

Ma la scena di questa incisivo thriller, espressione di un denuncia sociale che arriva fino ai giorni nostri, se la prende tutta il (sempre) magistrale Leonardo DiCaprio.

Danny Archer è un ruolo complesso, un personaggio pieno di sfumature e contraddizioni. Diverso da quelli che aveva impersonato precedentemente e, per questo, un’autentica e complicata sfida, le cui difficoltà però non traspaiono affatto. DiCaprio, raggiunta ormai al tempo la maturità artistica, mette anima e corpo nella costruzione di un anti-eroe intenso, avido, rabbioso, arrivista, cinico ma non insensibile alla situazione circostante. A trent’anni Danny ha voltato le spalle a tutto e l’unica cosa che gli interessa è sé stesso e le sue egoistiche soddisfazioni. È stata la vita a corromperlo, partendo dall’omicidio dei suoi genitori. Lì ha compreso che poteva affrontare il mondo solo nel suo personalissimo modo; che l’unica cosa davvero importante è sopravvivere, pensare a sé e rimanere a galla; che nessun ideale merita di essere seguito, di rischiare tutto per lui.

Blood Diamond

Il merito più grande di questo personaggio – in cui DiCaprio crede fortemente, come nell’intera pellicola, e si vede – è che non scende mai nella retorica, né in finti buonismi o patetiche redenzioni. Perché, anche quando salva Solomon e il figlio, anche quando fa la cosa giusta, rimane sempre il solito cinico e disilluso uomo. Non c’è la magica trasformazione da freddo trafficante a eroe senza macchia e senza paura. Inutile cercare nel suo cuore una purezza che non c’è; la vita gliel’ha tolta tutta. Come dice Archer stesso, nel corso degli anni non ha incontrato buoni o cattivi, solo persone.

E lui è semplicemente questo, una persona.

Qualche volta sbaglia, altre si comporta bene; ha lati positivi e aspetti negativi, zone d’ombra rese ancora più buie dallo splendente sole della sua Africa, bellissima e selvaggia, con quei raggi che sembrano essere solo suoi quando tramontano insieme a lui, salutando per l’ultima volata quella terra che non ha mai potuto lasciare. L’unico posto dove voleva morire, che poteva davvero chiamare casa. Lasciandoci con le lacrime agli occhi, un potente e impattante messaggio, una riflessione su un problema reale la cui soluzione è ancora lontana, e una domanda dritta al nostro cuore: siamo ancora disposti a pagare questo prezzo?

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