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Il film della settimana: Brooklyn

Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piatteforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Brooklyn.

PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Brooklyn? Ecco la risposta senza spoiler.

Disponibile su Disney+ (a noleggio su Amazon Prime Video e Apple Tv), Brooklyn ci trasporta nell’Irlanda di inizio anni ’50. A Enniscorthy vive Eilis Lacey, una giovane ragazza con poche opportunità di lavoro in un paesino piccolo come quello, limitandosi a un misero impiego domenicale da commessa in un negozio. Così, grazie all’aiuto di Padre Flood, un prete irlandese emigrato negli Stati Uniti, decide di trasferirsi a New York, precisamente a Brooklyn, dove trova lavoro in un grande magazzino e inizia a studiare per diventare contabile. La sua vita cambierà in meglio anche grazie all’incontro con Tony, un ragazzo italiano che le ruberà il cuore. Purtroppo, un lutto improvviso costringe Ellis a tornare a casa e si troverà così a scegliere tra due Paesi, due vite e due amori differenti.

John Crowley dirige e Nick Hornby scrive l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Colm Tóibín con eleganza e semplicità, regalandoci una storia intimista, dolce, che sa narrare la complessità dei sentimenti senza per questo risultare ruffiana o eccessivamente melensa. Quasi come se ci stessero accarezzando sulla guancia delicatamente, ne emerge un melodramma classico ma estraneamente riuscito; un racconto di formazione della giovane Eilis che, con gran coraggio, abbandona le sue radici per andare incontro a una nuova vita. Riesce, infatti, a cogliere perfettamente il conflitto interiore ed emotivo della protagonista, divisa tra due mondi, tra passato e futuro, tra aspettative e sogni.

Se la ricostruzione degli anni ’50 è piuttosto accurata (ed è interessante, a livello visivo, la diversa rappresentazione dell’Irlanda e dell’America), Brooklyn si poggia sull’incredibile interpretazione di Saoirse Ronan che dona grandissima forza a Ellis, trasformando le parole in emozioni e dando al film la giusta profondità per narrare in maniera commovente e delicata questa vicenda che da personale diviene universale. Sorretto da un’ottimo cast (tra cui Domhnall Gleeson, Julie Walters, Jim Broadbent e Emory Cohen), candidato a diversi importanti premi ed esteticamente bello, Brooklyn merita una chance e, dopo averlo visto su Disney+, vi aspetta la nostra recensione.

SECONDA PARTE: La recensione (con spoiler) di Brooklyn

Brooklyn
Saoirse Ronan nel film su Disney+

Ci sono pochi luoghi che riescono a creare storie universali come l’Irlanda e, in qualche modo, pur non sperimentando quella realtà, riusciamo a riconoscerci nei suoi racconti, nel suo passato, nei suoi colori. Brooklyn ne è un’esempio e molto di più, dato che non si concentra solo su questa Nazione. Definendolo un film classico nella sua connotazione positiva (con tanto di citazione alla storia d’amore de Un uomo tranquillo di John Ford e le riprese di Eilis come una diva d’altri tempi), Nick Hornby ci regala uno spaccato sull’immigrazione femminile negli anni ’50 e sulla società dell’epoca attraverso Eilis che, senza futuro per mancanza di opportunità e oppressa da una precarietà che soffoca la sua vera essenza, parte da sola per raggiungere la terra dei sogni, ovvero gli Stati Uniti. Quella del viaggio, sia verso New York che dentro sé stessa, è l’unico modo per uscire dalla situazione in cui si trova. Non è facile lasciare ogni cosa, stravolgere la propria vita senza avere l’appoggio della famiglia, e quel suo turbamento viene rappresentato dal malessere fisico che prova sulla barca.

Inoltre, all’epoca le persone erano costrette a emigrare per sfuggire a una realtà poverissima, spesso in guerra, solo per raggiungere un livello di vita accettabile. E nel luogo dove arrivavano erano soggetti a lotte classiste, discriminazioni e razzismo. Tutto ciò in Brooklyn viene alleggerito senza superficialità, ispirando comunque una riflessione sui rapporti sociali e sul modo in cui ci trattiamo l’un con l’altro, trasformandolo così in una visione facile per tutti e usando ironia e stereotipi senza mai sfociare nell’insolenza e nell’esagerazione; il che non è semplice nell’era del politically correct. Eilis, però, cela in sé più di quanto non faccia vedere e, a New York, emerge la sua vera natura perché si trova in un luogo che le permette di sbocciare, riuscendo grazie alla sua forza a inserirsi in quel contesto così antitetico al suo.

L’amore è fondamentale in ciò, perché capace di rompere ogni barriera, non conoscendo differenze di alcun tipo.

Quel sentimento lo prova nei confronti di due uomini che rappresentano i suoi due mondi, il suo dilemma interiore ed esistenziale: Tony Fiorello è l’America nuova, cosmopolita e piena di opportunità; Jim Farrell è l’Irlanda della tradizione e dei valori con cui è cresciuta. Da un lato c’è la terra che generosamente l’ha accolta e le ha dato una vita migliore, dall’altro la nostalgia delle sue origini e il luogo dei suoi affetti. A questo proposito, sono ottime le prove di Domnhall Gleeson (Jim), lanciatissimo in quel periodo per aver partecipato a tre film da Oscar – Revenant, Ex Machina e, appunto, Brooklyned Emory Cohen (Tony), esponente di una classica famiglia italiana che non cade mai in cliché gratuiti e fondamentale nel rendere struggente e dolce (ma mai melensa) la storia d’amore con Eilis.

I protagonisti del film su Disney+

Sebbene la menzione speciale vada assolutamente a Saoirse Ronan che, toltasi di dosso ruoli più infantili, ne trova uno che sembra cucito sulla sua pelle. Nominata agli Oscar per la seconda volta, l’attrice riesce a trasmettere il turbinio di emozioni nell’animo di Eilis semplicemente con la grandissima espressività dei suoi occhi; non a caso le sono dedicati tanti primi piani, come a volerle scavare dentro, e diverse sequenze che innescano una riflessione introspettiva sulla sua condizione. Percepiamo distintamente e magnificamente la nostalgia di casa, la solitudine e l’inadeguatezza in terra straniera, i dubbi sull’aver fatto la scelta corretta, la difficoltà nell’affrontare da sola la quotidianità, le palpitazioni dell’amore, il dolore per il lutto e il bisogno di tornare in patria per star vicino alla madre, ma anche quello di rivedere la sua Irlanda con gli occhi di oggi, da donna emancipata, indipendente e sposata. Perché, in fondo, non aveva ancora chiuso con quel passato.

Eilis si lascia nuovamente trascinare dalla madre nella sua comunità d’origine, nonostante la disperezzasse per come l’aveva trattata. Tutto sembra coalizzarsi per farla rimanere, senza comprendere che è lei ad avere il controllo. E sarà la sua vecchia datrice di lavoro a ricordarle che l’esser andata in America è stata la decisione giusta, perché non riesce a sopportare la cattiveria gratuita, l’ipocrisia celata da falsa comprensione, l’invidia di donne frustrate e che godono del male altrui e la chiusura mentale di un paesino in cui non sarebbe mai cambiato niente.

Del resto, la sua estraneità all’Irlanda era ben visibile nella scena del cimitero, erta quasi a emblema del film su Disney+.

Eilis si infila la fede di quel matrimonio che sta nascondendo a tutti e indossa un abito giallo acceso (messo in moltissime occasioni e non è un caso) che la risalta rispetto allo sfondo, al cielo scarico e nuvoloso, a quelle croci celtiche abbandonate – perché nessuno è al cimitero, nonostante sia domenica – e alle altre ragazze irlandesi, simbolo del suo aver abbracciato la moda e lo stile di vita degli Stati Uniti. E la croce che incombe dietro di lei è l’ennesima sfida che dovrà affrontare, o forse una maledizione da sconfiggere per poter essere davvero felice. E parlando di ciò, emerge l’accuratezza della scenografia e della fotografia, che gioca con i contrasti, i colori e i vestiti di Brooklyn. II grigio, la nebbia e la desolazione dei paesaggi sono in contrapposizione agli abiti colorati soprattutto di Eilis, che riesce sempre a far emergere il suo colore interiore per sconfiggere le avversità e costruirsi la vita che desidera. Se l’Irlanda è austera e fredda nelle tonalità, New York è pop, calda e colorata; il tutto è sottolineato dagli intelligenti movimenti di macchina, che tendono ad avvicinarsi o allontanarsi a seconda del momento che la protagonista sta vivendo.

Brooklyn
Saoirse Ronan nel film su Disney+

Non dimentichiamoci dell’ottima sceneggiatura di Hornby. Essa è viva e riesce a restituirci con grande dinamismo e frizzantezza le caratterizzazioni di due mondi così diversi tra loro. Il dramma narrato viene intervallato dagli intramezzi comici delle cene al pensionato di Eilis: sono dei siparietti divertenti tra donne diverse (in cui troviamo volti noti come Julie Walters e Emily Bett Rickards di Arrow) che rappresentano un piccolo microcosmo dell’allora società statunitense. La comicità è data anche dalla famiglia di Tony, tipica versione americana degli italiani che, però, non è in alcun modo offensiva, banale o eccessiva.

Soprattutto, Hornby costruisce quel bellissimo equilibrio di determinazione e delicatezza nel personaggio di Eilis. Non nuovo a ritratti femminili ricchi e complessi, rappresenta donne che non cercano la perfezione, che non hanno paura di sbagliare ma che lottano per quella libertà conquistata con sudore e lacrime, accettando con gioia i cambiamenti della vita. Non a caso Brooklyn ridimensiona ad esempio la tipica figura malefica che si frappone tra l’eroina e la sua felicità, perché è un film che si basa sulle conquiste e non sulle sconfitte, sulla formazione di un’identità e che racconta con Eilis i suoi luoghi, lo spaccato di due comunità e sì, una storia più universale di quanto non si creda.

Certo, rimane un tradizionale period drama e un classico melodramma, ma è realizzato e diretto magnificamente da John Crowley, con una splendida attenzione al dettaglio, un interessante simbolismo, un ritmo sorprendentemente sostenuto ma intervallato da momenti di pausa che dipingono quadri da ammirare e da contemplare, una musica estremamente funzionale e, soprattutto, un’eroina piena di forza. Eilis rivendica il diritto all’amore e a essere felice, scegliendo di lasciarsi alle spalle un triste passato, per quanto la nostalgia sia opprimente. Ma niente può battere la gioia e la bellezza di costruirsi il proprio futuro. Ed è proprio nelle parole finali di Eilis che si cela il senso di un film che chiude il suo cerchio, quando dice a quella giovane in cui si rivede:

La nostalgia sarà fortissima. Ma ce la farai e non morirai. La nostalgia è come una malattia di casa. Prima colpisce te e poi colpisce qualcun altro. Passerà! Finché un giorno spunterà il sole e ti sorprenderai a pensare a qualcuno che appartiene solo a te e capirai che la tua vita è lì per sempre”.

Il film della settimana scorsa: Buon compleanno Mr. Grape